Massimo Mantellini ha iniziato a scrivere di nuove tecnologie a metà degli anni Novanta su “Punto Informatico”, primo quotidiano web italiano. Dal 2002 aggiorna Manteblog (mantellini.it), uno dei più letti blog personali italiani. Si occupa prevalentemente di temi legati alla cultura digitale, alla politica delle reti, alla privacy e al diritto all’accesso. Tra le sue pubblicazioni, Bassa risoluzione, Einaudi 2018 e Dieci splendidi oggetti morti, Einaudi, 2020

In questi anni abbiamo imparato a conoscere le grandi potenzialità della rete, dall’open source al “do it yourself”, agli esperimenti di democrazia diretta, ma anche gli aspetti più controversi, il problema dei dati, le cosiddette fake news, l’odio in rete... è possibile fare un bilancio?
Io ho cominciato a usare internet nel ’95; sono passati ormai quasi 25 anni. Quello iniziale è stato sicuramente un periodo di grande euforia, che tuttavia è durato poco: questa idea di una rete dal potere taumaturgico anche su aspetti fondanti come la democrazia, la politica, la trasparenza, si è ridimensionata abbastanza presto.
La cosa che sottolineo sempre è che mentre negli Stati Uniti le aspirazioni per una democrazia elettronica sono finite attorno al Duemila, nel nostro paese sono cominciate sette-otto anni dopo, con Casaleggio che semplicemente ripercorreva la stessa traiettoria, ignorando però tutte le riflessioni, e anche le critiche, che invece erano già diventate oggetto di dibattito altrove.
Assodato che la trasformazione digitale porta con sé possibilità ma anche rischi, fare un bilancio di questa vicenda rimane complicatissimo, anche perché noi continuiamo ad avere una visione novecentesca e quindi scontiamo il fatto di guardare alle cose con gli occhi “precedenti”, per così dire, e cioè con una presunzione negativa. D’altra parte, il determinismo tecnologico degli americani si è rivelato anch’esso inadeguato. Il fatto per esempio che Facebook sia diventata una comunità così ampia, diffusa in tutto il pianeta, certamente non è un valore. Tanto più che Internet è nata orizzontale, con tanti piccoli cluster separati e tutti allo stesso livello. Una volta che la rete diventa un unico enorme oggetto, aumentano in maniera esponenziale i rischi che riguardano gli ambienti digitali, che sono poi gli stessi della vita reale. Dare un giudizio resta quindi un’operazione molto complicata. Personalmente devo ammettere che il mio punto di vista si è lentamente appiattito verso una sorta di pessimismo... La rete ci offre tanti esempi positivi, da Wikipedia a Internet archive, a tutti quelli che citavi, insomma c’è anche un sacco di roba bella. Però, dovendo ragionare sui grandi numeri, cioè su quello che succede a una persona che oggi arriva in rete, sui vari social o anche su ambienti privati, direi che chi ha una cultura digitale (non dico ampia, ma sufficiente) troverà grandissime e straordinarie opportunità, chi non ce l’ha -cioè la maggioranza delle persone- incapperà in alcuni rischi, che non vanno sottovalutati.
Alla fine a noi non resta che cercare di governare questa fase facendo sì che le persone acquisiscano sempre maggiore competenza e consapevolezza. Non vedo alternative.
Durante la pandemia si è riaperto il dibattito su sicurezza, libertà, privacy eccetera, con l’emergere di atteggiamenti anche paradossali: non abbiamo alcuna ritrosia a mettere la nostra faccia su FaceApp e però magari non scarichiamo Immuni...
Immuni secondo me è un ottimo esempio delle tante aspettative andate perdute. Sicuramente la app era partita malissimo, questo va detto. Però, al netto di questo, a me ha molto colpito il fatto che in un momento di grave crisi, quando contavamo centinaia di morti tutti i giorni, sia partita questa discussione molto erudita e piena di sofisticate contestazioni sulla app di tracciamento.
Voglio dire, se fai il paragone tra il tracciamento nella vita “analogica” e quello nella vita digitale ti rendi immediatamente conto che il tracciamento analogico è infinitamente più invasivo di quello digitale. Cioè se io risulto positivo al tampone, devo dare i nomi di tutte le persone che ho incrociato perché è un’emergenza sanitaria, punto. È parso invece che l’emergenza sanitaria nell’ambiente digitale non esistesse. Nella fase di massima crisi, io sarei stato anche molto brutale nell’utilizzo dello strumento digitale. Non capisco perché, se uno viola la quarantena “analogica” rischia sei mesi di carcere e invece, nel caso della app, si ...[continua]

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