Lea Melandri, insegnante, giornalista, scrittrice e saggista, è una delle principali attiviste e teoriche del movimento delle donne italiano. Dal 2011 è presidente della Libera Università delle Donne di Milano. Tra le sue numerose opere: Come nasce il sogno d’amore, Bollati Boringhieri, 2002; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri, 2001; Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà, Bollati Boringhieri, 2011; Alfabeto d’origine, Neri Pozza, 2017; Il desiderio dissidente. Antologia della rivista "L’Er­ba voglio” (1971-1977), DeriveApprodi, 2018; L’infamia originaria, Manifestolibri, 2018 (1977).

Qual è lo stato di salute del movimento femminista oggi?
Come sempre non posso che partire dalla mia esperienza: non sono una sociologa, non mi interessa fare il quadro politico generale. Quello che posso dire è sempre legato a un percorso ormai quarantennale, che parte dal ’68 e dall’incontro con il movimento antiautoritario e poi con il femminismo. 
Sottolineo questa partenza perché è come se non avessi mai abbandonato l’originalità di quelle pratiche, l’autocoscienza e la pratica dell’inconscio, e devo dire che, in questa mia tenace e duratura passione, ho avuto un riscontro, una conferma proprio lo scorso anno. Nel cinquantenario del ’68 sono tornati in circolazione alcuni dei miei libri, L’infamia originaria, Il desiderio dissidente, l’antologia de "L’erba voglio”, e poi ci sono stati convegni, incontri a cui ho partecipato. In particolare mi ha fatto piacere la riscoperta di un geniale pensatore e interprete del 68 qual è stato Elvio Fachinelli. Ma la sorpresa maggiore è stata incontrare, in generazioni molto più giovani della mia, un interesse per le pratiche e per i movimenti non autoritari degli anni Settanta. Penso in particolare al gruppo di Roma delle "cattive maestre” che mi ha invitato al Festival dell’impunita, ma anche a tante altre donne incontrate.
Mi ha colpito che le esigenze radicali poste allora in qualche modo fossero riemerse in generazioni molto più giovani e sicuramente più libere della nostra, e soprattutto in grado di rendere oggi reale e possibile quello che noi abbiamo allora intuito come tale, ma che possibile allora non era. Come diceva Fachinelli, l’utopia realizzata è sommamente realista. È vero, noi l’avevamo intuito, ma ci eravamo anche rese conto di quanto fosse lungo, difficile e contrastato il processo di liberazione dal profondo che avevamo messo in atto. Un’altra sorpresa è stato l’incontro con le ragazze di questa rete internazionale di "Non una di meno”, anch’esse molto interessate al femminismo degli inizi. 
Il femminismo ha avuto una vita difficile in un paese come il nostro, fatto di familismo, clientelismo, relazioni di appartenenza, vincoli di dipendenza. Questo processo di liberazione, che andava a intaccare i ruoli fondamentali della vita familiare e quindi anche della sfera pubblica, è stato fortemente contrastato. Anche dalla sinistra. Io ho un grande affetto e una duratura amicizia con Rossana Rossanda; lei stessa non molti anni fa mi ha confessato: "Sì, è vero, vi abbiamo osteggiato”. Ho detto: "Forse andava detto prima...”. L’avevamo capito, ma averlo saputo prima ci avrebbe aiutato. Diciamo che in Italia, la grande rivoluzione culturale prodotta dal femminismo non ha avuto il sostegno di nessuno. Si parla sempre della Chiesa, ma non c’era solo quella, c’era anche la chiesa marxista, anch’essa incapace di cogliere questa grande rivoluzione. 
All’epoca, l’idea era che bastava aspettare che il femminismo finisse questo suo percorso della pratica dell’autocoscienza, questo scavo in profondità nella vita personale, per poi ricongiungersi nella grande unità di classe. Penso che per alcuni sia ancora quella l’attesa: le donne hanno bisogno di parlarsi un po’ tra di loro, di capire un po’ la loro condizione per poi rientrare in questo alveo della sinistra.
Per questo sono molto contenta che sia stato ristampato L’infamia originaria. Perché nel decennio in cui sono stata nella rivista "L’erba voglio” con Fachinelli e nel femminismo, ho intrattenuto un corpo a corpo, una conflittualità vitale con tutto quello che produceva la sinistra extraparlamentare, alla ricerca dei nessi tra sessualità e politica, tra sessismo e classismo... La parola "nessi” c’è fin dai primi documenti di Pinarella di Cervia, i famosi due convegni nazionali del ’74 e ’75. Ricordo l’insis ...[continua]

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