Andreas Kalyvas insegna alla New School di New York. Al centro dei suoi studi ci sono le teorie sulla democrazia e la storia del pensiero politico, con particolare attenzione al rapporto tra sovranità popolare e potere costituente. Co-dirige il seminario su Pensiero politico e sociale presso la Columbia University.

Lei sostiene che esiste un legame essenziale, costitutivo, tra la democrazia e i poveri, può spiegare?
Oggi si parla molto di crisi della democrazia, imputandola all’ascesa del populismo, del neofascismo, a un ritorno del nazionalismo. Il mio è un tentativo di ripensare la democrazia, a partire invece da questa sua versione oligarchica, che pretende di essere appunto democratica, ma che a mio avviso è invece un velo che copre la dimensione classista che informa i regimi attuali.
Quello che osservo è una monopolizzazione oligarchica della politica, attraverso la rappresentanza e l’egemonia dei diversi partiti politici, che sono controllati da élites ristrette. Di qui la domanda successiva: cos’era e cosa sarebbe potuta essere la democrazia prima di questo sequestro oligarchico?
Per molti secoli, infatti, la democrazia è stata intesa come la forma politica della povertà organizzata. Come i ricchi avevano la loro propria politica, cioè l’oligarchia, la democrazia era invece il governo dei poveri politicizzati. Di qui l’idea di ripensare la democrazia attraverso una messa in discussione di queste strutture oligarchiche del presente.
Quand’è avvenuta questa separazione tra i poveri e la democrazia?
Questo mutamento è l’esito di un lungo processo, con elementi che possono essere rintracciati già nel XVII e XVIII secolo, con il XIX secolo che vede un vero spodestamento della categoria dei poveri come soggetto della democrazia, a vantaggio del concetto di popolazione. I "popoli” diventano estremamente importanti nel XIX secolo; i poveri si dissolvono così nell’entità indifferenziata della nazione e in seguito nell’ideale politico borghese della cittadinanza, dove la cittadinanza non è più associata alla soggettività politica dei poveri, ma fa riferimento a una sorta di privilegio legale legato a uno stato-nazione. Questi sviluppi, e cioè l’ascesa del popolo, della nazione, della cittadinanza, nella forma acquisita del XIX secolo, in qualche modo spazzano via la presenza dei poveri come soggetto politico della democrazia.
Ma quando si parla di poveri, di chi stiamo parlando? Chi sono i poveri?
È questa la vera domanda politica, perché i poveri possono essere definiti in termini economici, come si fa negli studi sulla povertà relativa, o sulla povertà assoluta, quando si prova a definirla in relazione a un particolare ammontare di dollari. Tuttavia nel mio ragionamento la povertà, o il povero, viene definito da quattro caratteristiche: la prima è una relazione di subordinazione, che può essere un’inferiorità socioeconomica o simbolica. I poveri, cioè, sono coloro che, nella gerarchia sociale, stanno in basso.
I poveri sono inoltre definiti dalla categoria dell’espropriazione. Il povero è un soggetto espropriato da beni, diritti, servizi, per cui c’è quest’elemento di carenza, di mancanza; il povero è qualcuno cui manca la categoria della pienezza. Perciò porta con sé una negatività, un’assenza.
La terza cosa è che i poveri sono di numero considerevole: non possono essere una minoranza. Non possono essere un numero esiguo. I poveri in generale sono i molti. La quarta dimensione della povertà è che i poveri non sono riconosciuti politicamente, cioè non hanno rilevanza, non sono importanti.
Se combiniamo tutti questi elementi, possiamo arrivare a una concezione politica della povertà, che non è puramente economica, o materialistica, per quanto la categoria dell’espropriazione comporti una dimensione materialistica. In conclusione i poveri sono subordinati, espropriati, considerati insignificanti, e però si dà il caso che siano tanti.
Questa è la mia concettualizzazione della povertà. Si tratta evidentemente di caratteri relativi, che si possono esprimere in modi differenti a seconda dei contesti storici o geopolitici. Chi è povero in Europa potrebbe non esserlo in Africa; chi è povero in America Latina potrebbe non esserlo in Asia.
Perdendo il legame con i poveri, la democrazia avrebbe perso anche il suo carattere polemico, partigiano, conflittuale. Lei denuncia una democrazia sempre più pacificata e depoliticizzata.
La relazione tra democrazia e poveri è ciò che ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!