Vittorio Verrascina, delegato Fim-Cisl, lavora alla ex-Sata di Melfi.

Che mansione ha nella fabbrica?
Sono un operaio di Ute meccanica, dove si assemblano i motori; sono entrato nel 1993, proprio agli inizi dello stabilimento, da diplomato; anche allora entravano i diplomati...
Cos’è cambiato?
È cambiato tantissimo. Sicuramente il lavoro è meno alienante rispetto a prima. Prima c’era tutto un altro modello, l’Mtm, "Misura di tempi e metodi”. Dovevi montare, che so, un paraurti? L’Mtm calcolava quanti bulloni ti servivano e a che distanza prenderli, non che dopo mezzo turno, a furia di alzarti, andare a prendere i pezzi, tornare in postazione, ecc., la tua prestazione subiva un calo. Cosa che infatti succedeva, perché un conto è alzarsi per prendere un pezzo e sollevarlo una volta, ben diverso è farlo per otto ore di fila.
Ora seguiamo invece il World Class Manufacturing (Wcm), un’evoluzione del modello usato in Giappone dalla Toyota. Prima del Wcm, la maggior parte dell’industria utilizzava il sistema studiato da Taylor e applicato dalla Ford, passato alla storia come "fordista-taylorista”. Si andava nelle varie postazioni con i cronometri per prendere i tempi impiegati dall’operaio per svolgere le varie operazioni e di lì si cercava di ottimizzare, ricostruendo la postazione ideale per ottenere il tempo più veloce. Marchionne ha chiamato come consulente Hajime Yamashina, il "guru del Wcm” giapponese, già esperto del modello toyotista, perché implementasse quel modello anche a Melfi. L’anno scorso abbiamo certificato il raggiungimento del livello Silver.
Cos’è il livello Silver?
Il Wcm consta di vari pilastri e, in base a come vengono adottati allo stabilimento,  viene assegnato un punteggio su una scala che va da 1 a 100. Per avere l’oro bisogna superare il 70: nell’ultimo rilevamento abbiamo preso 66, abbiamo mancato l’oro per un soffio.
Per l’anno prossimo siamo tutti determinati ad arrivare all’oro, perché questo stabilimento, il modello Melfi, deve diventare quello che in gergo tecnico viene definito "standard”, non solo in Fca, ma in tutta l’industria automobilistica. Per gli operai è importante, considerato poi che uno dei pilastri  prevede che l’efficienza venga migliorata anche con le loro proposte.
Nel modello taylorista serviva solo un lavoratore fisicamente forte, capace, della giusta altezza, che non facesse altro che prendere i pezzi e montarli. Come l’operaio del film di Charlie Chaplin, "Tempi Moderni”. Nel Wcm, invece, si tiene conto dell’ergonomia delle postazioni, studiata con l’Ergo-Uas, una metrica del lavoro che tiene conto anche delle posture, dei carichi, ecc. Grazie a queste innovazioni, il lavoratore non deve più avere quelle caratteristiche assolute di forza e resistenza fisica di una volta. In postazione ci può stare una donna come un uomo, un operaio alto o uno basso, anche perché è stato immesso nel ciclo produttivo un enorme numero di robot, che portano molte agevolazioni a livello ergonomico.
Insomma, non si tratta più solo di capire quanto tempo ci vuole per montare un pezzo, ma anche quanta fatica costa al lavoratore. È ben diverso montare un pezzo in una posizione ergonomicamente scomoda, magari sotto la scocca... Là ci voleva la persona adatta, come diceva Taylor, non ci potevi mandare uno alto due metri. Oggi di questo non c’è più bisogno. Piuttosto, dell’operaio serve l’intelligenza, il suo spirito d’osservazione: è lui che, stando otto ore al giorno nella sua postazione, conosce quel ciclo produttivo più di chiunque altro, ed è da lui che possono arrivare i migliori suggerimenti per aumentare quantità e qualità.
Il Wcm si fonda anche sull’eliminazione di sprechi e inefficienze.
Sembra una stupidaggine, ma prima in stabilimento tutte le luci restavano sempre accese; oggi, invece, durante la pausa le luci che non servono si spengono. Sono costi che si abbattono, ed è un risparmio; un guadagno che poi viene redistribuito anche ai lavoratori. Poi: perché tenere linee intere di paraurti già pronti per essere montati o decine di pacchi di viti? Equivale a bloccare del capitale. È meglio che stia fermo il minimo indispensabile: in questo modo c’è un recupero di risorse economiche. Non c’è più un eccesso di produzione, si fa quello che serve, senza ingombrare il magazzino con le scorte, così nessun bene resta in attesa di utilizzazione: ogni pezzo viene montato appena arriva. Prima, invece, c’era i ...[continua]

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