Maria Teresa Battistini, l’amica che la seguì in Africa i primi anni, Enza Laporta e suo marito Bruno Tonelli, fratello di Annalena, sono i curatori del libro Lettere dal Kenya 1969-1985, Edizioni dehoniane Bologna, Edb 2013. Seguirà un secondo volume con le lettere del periodo successivo al 1985.

Partiamo dalla fine: pubblicando le lettere di Annalena voi un po’ disattendete quel suo "mandato” di non parlare di lei. Come siete arrivati a questa decisione?
Bruno. Intanto va detto che Annalena non ha lasciato molti scritti su se stessa, quindi, soltanto chi l’ha conosciuta, chi ha vissuto con lei può dire com’era. C’è stata la testimonianza resa in Vaticano nel 2001, poi c’è stato l’incontro, dopo aver accettato il premio Nansen, a Forlì, con la popolazione. In quel periodo devo dire di aver visto un’Annalena che sentiva il bisogno di raccontare o raccontarsi alla gente, e non solo ai familiari, come aveva sempre fatto con le lettere. In una lettera dice proprio che ha un bisogno di parlare con la gente, di raccontare, innanzitutto ai suoi, a coloro che lei si era tirata su per badare ai pazienti. Dice che non fa altro che parlare e parlare con loro e raccontare, dice che finalmente si esprime perché è troppa la solitudine in cui vive. Credo quindi che abbia sempre avuto il bisogno di raccontarsi. Però, dall’altra parte, diceva anche: "Io sono nessuno e quindi non parlate di me, ma date lode a Dio”.
Enza. D’altra parte, il 26 ottobre del ’69, lo riportiamo nella quarta di copertina, lei scrive: "Spunterà un giorno un fiore dal seme gettato e fecondato dal concime Annalena? Ne sono certa, anche se io certamente non potrò assistere alla fioritura, perché quello è un tipo di seme e il mio un tipo di concime che funzionano solo a lunghissima scadenza. Richiedono un’attesa sonnolenta di generazioni, ma che importa? Quel fiore un giorno sorriderà al mondo e rallegrerà tanti con la sua bellezza e la sua freschezza. Su questo non ho dubbi. Anche per questo credo, io sono sempre nella gioia e nella pienezza serena dell’attesa”. Questo lo dice nel ‘69 ed era da pochi mesi in Kenya...
Maria Teresa. Sì, ed era proprio un’affermazione profetica. Annalena ha scritto moltissime lettere ai familiari, ma mentre era molto riservata sulle cose più intime, il rapporto con Dio, quello che non riusciva a tacere, soprattutto quando è rimasta sola (perché dopo un po’ è rimasta sola a portare avanti il suo cammino), era il bisogno di condividere la sua passione per l’uomo. E lo dice nelle sue lettere. Voleva cercare di trasmetterci un po’ di quel fuoco che aveva fatto della sua vita, nella sua radicalità folle, assurda, la radicalità evangelica, la migliore delle vite possibili. Voleva condividere questa sua passione per l’uomo e cercare di trasmettercela. Poi, come ha scritto Bruno nella sua introduzione, scuoteva la testa mestamente, capendo che non riusciva a contagiare gli altri di quel suo fuoco.
Bruno. Allora perché è uscito il libro? Il libro è uscito perché, come dicevo, lei ha scritto veramente poco, però ha lasciato una grande testimonianza, che è tutta racchiusa nelle lettere. Ora, io non so veramente a quanti altri abbia scritto, penso che siano veramente tanti... Noi abbiamo raccolto soltanto le prime lettere, che sono diciassette anni di vita, e ci siamo fermati a quello perché è venuto già un libro ponderoso. L’altro giorno mi ha scritto un signore che lavorava per l’Unhcr, proprio negli anni Duemila - fu lui a proporre il nome di Annalena per il premio Nansen- e dice: "Guarda, Annalena mi rispose con una lettera che conservo come un qualcosa di prezioso...”. Per dire, come ha scritto a lui ha scritto a tanti altri. E poi, naturalmente, scriveva anche per il suo lavoro, per la sua professionalità, per esempio, al Who, per chiedere una medicina, un colorante, e però, anche in quelle lettere parlava del suo lavoro, si raccomandava: "Ora lavoriamo perché nulla abbiamo fatto fino ad ora. Ricordatevi che, se vogliamo avere successo, dobbiamo avere cura di questa gente...”. Perché, come sappiamo, nella medicina e in genere si può anche lavorare in maniera asettica, tu fai il tuo dovere, mandi i farmaci, può finire lì. Per Annalena no. Quindi ci siamo convinti che in ognuna delle sue lettere c’è qualcosa...
Maria Teresa. Un altro motivo per "disattendere il mandato” è il fatto che all’inizio si sono messe a scrivere e a parlare di lei persone che non l’avevano conosciuta, spesso banalizzando o facendo de ...[continua]

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