Claudia Marzocchi vive a Bologna.

Sappiamo che avere un figlio con gravi problemi diventa una ragione di vita quasi totalizzante. Ma poi, quando non c’è più?
Per un verso, forse è brutto dirlo, ti senti libera, perché ti riappropri dei tuoi tempi, di una vita più normale. La settimana dopo che è morta Margherita, mi sono trovata una sera a tornare verso casa meravigliandomi del fatto che quello era un orario in cui io mi ero dimenticata di poter essere in centro a passeggiare. Camminando, mi son proprio sentita strana: "A quest’ora di sera, sono in centro, cammino verso casa, non ho fretta”. Camminare alle sette di sera verso casa era anomalo… Quindi certo, c’è questo senso di libertà, di essersi sganciati da un obbligo gravoso, da una costrizione veramente, veramente difficile da sopportare. Che poi si sopporta, perché io, credo di poterlo dire, l’ho sopportata e l’ho sopportata molto bene. Però la costrizione è veramente pesante. È un po’ come se, per venticinque anni, m’avessero tenuta in una fionda con l’elastico tirato. Lì, costretta. Ad un certo punto vieni mollato e bam!, tu parti e non sai verso dove, come ti senti, cosa sta succedendo, se andrai a sbattere. Sì, comunque ti senti libera.
Per un altro verso c’è un senso di mancanza, perché l’impegno è anche una grande motivazione, è un investimento, ti senti, e sei, molto importante. Qualcuno dipende da te e questo se dà una grande costrizione, dà anche un senso forte alla tua vita. La mancanza poi la senti nel tuo quotidiano dove le tabelle di marcia forzatissime, tutta un’organizzazione precisa al minuto, una tempistica della giornata dominata da una priorità assoluta, imprescindibile, sempre e comunque; tutto questo, improvvisamente, non c’è più. Anche mentalmente perché poi metti su dei riflessi condizionati. Dalla poltrona, se guardo la televisione o leggo, e le porte sono aperte, vedo il corridoio e la camera da letto. E, i primi tempi che lei non c’era più, mi veniva da voltarmi per controllarla, perché l’ho fatto talmente tante volte… o abbassavo la televisione come se lei fosse di là e stesse dormendo.
Allora se per un verso ti senti libera, per un altro ti senti anche come se ti fosse venuto meno il terreno sotto i piedi, un po’ ti senti leggera e un po’ ti senti sgomenta. Perché poi libera di far cosa? Devi ripensare e riorganizzare completamente tutto e non hai proprio più la mano. Ecco, c’è un aspetto che è di vuoto, di vacuità.
Poi sono riuscita ad andare in Puglia a trovare un amico che era da anni e anni che mi diceva di andare, sono riuscita anche ad andare in Bosnia a incontrare delle persone di una associazione per la adozioni a distanza. Mi ha accompagnato l’altro figlio Federico che , nei primi tempi dopo la morte di Margherita, si è dedicato a me tanto. Per dire, questo proprio nei primi due o tre mesi dopo che non c’era più Margherita. Poi sono riuscita ad andare a Londra dove sono nata e non c’ero mai più tornata. Anche questo con Federico, che c’era andato abbastanza spesso e la conosce, mi aveva sempre detto: "Quand’è che vieni a Londra, quand’è che vieni a Londra?”. Soprattutto gli ultimi due o tre anni gli rispondevo: "Guarda, verrò. Non so quando, ma ti prometto che vengo”. Così subito dopo l’estate siamo andati insieme a Londra. È chiaro che tutti e due sapevamo che, quando io promettevo, voleva dire: "Quando non ci sarà più Margherita”. Così, riprendi a fare qualcosa...
Negli anni sentivi crescere la fatica?
Oh sì, e mi angosciava molto. La fatica fisica negli ultimi tempi per me era diventata proprio pesantissima. E su quello non ci puoi fare tanto. Ho anche cominciato ad avere un problema di artrite reumatoide, per cui avevo male ad un gomito, poi ho avuto male alla spalla, poi alla mano... e con lei non è che puoi dire: "Ah, oggi, aspetta, non ti lavo e non ti vesto e non ti cambio e non ti sollevo, ho male ad una mano”. E però capisci anche che i tuoi limiti stanno diventando un problema per entrambe.
Adesso i mali sono passati, non faccio più alcuna fatica, perché faccio quello che voglio, e oggi capisco che avevo bisogno di non aver più quella fatica lì a una certa età. Io sono stata una madre abbastanza giovane, avevo venticinque anni quando è nata Margherita, ma a cinquanta... Comunque avevo capito che non ce la facevo più da sola, e nell’ultimo anno di vita di Margherita ho preso una persona che mi aiutasse nel quotidiano. Anche se si fa molta fatica a delegare, perché anche per lei, pe ...[continua]

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