Marta Campiotti, ostetrica, è Presidente dell’Associazione Nazionale Ostetriche Parto a Domicilio e fondatrice di Casa Maternità Monteallegro. Vive a Induno Olona, in provincia di Varese.

Lei fa l’ostetrica e ha realizzato vicino alla sua abitazione una Casa Maternità per promuovere e rendere possibile il parto naturale. Come è nato tutto questo?
Lavoravo come educatrice di ragazzi con problemi fisici e psichici a Busto Arsizio e contemporaneamente mi ero iscritta a filosofia con indirizzo psicologico a Milano, alla statale. Pensavo che poi avrei fatto la psicologa ma non sapevo bene. Tutto iniziò un giorno in libreria dove mi colpì la copertina di un libro di Frédérick Leboyer intitolato Per una nascita senza violenza, in cui c’era la fotografia di un bimbo, sereno, cicciottello e con le manine rilassate. Era il 1978 e avevo 22 anni.
Ricordo poi esattamente il momento in cui, appena finito di leggere il libro, pensai che avrei voluto far nascere i bambini in quel modo e che quello sarebbe stato il mio lavoro. Provai anche una certa commozione nel sentire chiaramente che avevo trovato la mia strada, il mio progetto. Così affrettai il momento della tesi, ero già al terzo anno, per laurearmi e frequentare la scuola di ostetricia. In breve tempo mi licenziai e contattai Grazia Honegger, insegnante Montessori, perché lei aveva un asilo Montessori. Il suo nome, con i recapiti, era citato dalla rivista Satyagraha, la rivista della non violenza, l’unica che allora si occupasse di nascita non violenta. L’incontro con Grazia fu importante. Lei mi aiutò anche a contattare Leboyer e mi diede vari indirizzi e recapiti per iniziare a muovermi per la mia ricerca a 360 gradi sul tema della nascita. Ricordo che quando lo incontrai, Leboyer mi disse: "Non fare l’ostetrica, fai un figlio”, perché trovava molto strano che una donna, dopo aver letto il suo libro, decidesse di fare l’ostetrica, mentre era molto più frequente che la lettura del libro facesse nascere nelle donne un forte desiderio di maternità. Ma la mia era proprio una vocazione professionale, con in più il fatto che allora pensavo di non volere dei figli. Provengo da una famiglia numerosa, siamo cinque fratelli e ricordo che ho sempre pensato che non avrei dovuto fare come la mia mamma. Avevo voglia di una vita diversa.
Di Leboyer mi aveva colpito il suo approccio filosofico alla sofferenza che va comunque accettata, un approccio molto orientale, e per quei tempi abbastanza originale e affascinante. Adesso penso che lui sia diventato più morbido, che si sia spostato un po’ più sulla scoperta anche della dimensione dell’amore.
Io chiesi la tesi sulla nascita, perché il mio interesse principale, a differenza di molte altre mie colleghe di quegli anni che invece partivano da un discorso di femminismo, di attenzione per e sulla donna, era orientato soprattutto sul bambino, sull’attenzione e le modalità di accoglimento nel mondo di una nuova vita. Poi questi due aspetti si sono ovviamente uniti, perché quello che è bene per il bambino è bene anche per la mamma e viceversa. La mia tesi poi piacque moltissimo a Grazia Honegger, che allora lavorava per la Red Edizioni e mi propose di pubblicarla.
Così, mentre frequentavo il secondo anno della scuola di ostetricia a Firenze, uscì il mio libro Nascere dolce. E’ un testo che non tratta di ostetricia, ma del significato, per la mamma e per la coppia, della nascita non violenta dal punto di vista psicologico ma anche da quello sociale. Al seguito di Illich e Leboyer, volevo cercare una via alternativa alla nascita vista come istituzione sociale. Adesso si parla di medicalizzazione della nascita, ma in realtà non si tratta solo di questo, c’è tutto un apparato istituzionale che, dalla prima ecografia allo svezzamento, ci dice cosa bisogna fare per essere una brava mamma. Volevo contestare questa accettazione passiva, innanzitutto cominciando a pormi delle domande. Nel libro di Leboyer c’è proprio questa frase, che è anche una frase della cultura indiana: "La risposta è contenuta nella domanda”. Allora bisognava cominciare a domandarsi perché i bambini nascendo soffrono. Dovevamo ripartire di lì: il parto è sofferenza per la donna, la nascita è sofferenza per il bambino? C’è una sofferenza indotta dal contesto che ti stressa, dalla pratica medica, dalla posizione imposta? Allora proviamo a eliminare tutto questo, per tornare a un processo più naturale e istintivo.
Questo discorso ha fatto molta strada ...[continua]

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