Enrico Colajanni è presidente dell’associazione antiracket "Libera Futuro”.

Com’è avvenuto il tuo incontro con Addiopizzo?
Io non ho partecipato alla fondazione dell’associazione, sono di un’altra generazione. Dopo un lungo periodo fuori Palermo, 10 anni in Toscana, al mio ritorno ho iniziato a occuparmi di questioni ambientali, sono un ciclista, uno dei pochi a Palermo. Ho creato un’associazione di ciclisti urbani, abbiamo protestato per le piste ciclabili, per la qualità dell’aria. Sono stati quattro anni di lotte e di sconfitte cocenti, però nell’ambito di questa esperienza sono entrato in contatto con i giovani di Addiopizzo.
L’ho trovata subito una realtà interessantissima e imprevista. Forse un analista attento avrebbe potuto immaginare che stava avvenendo qualcosa a livello generazionale. Certo nessuno si aspettava che Palermo sarebbe passata da ultima a prima nella lotta alla mafia.
I ragazzi di Addiopizzo all’epoca avevano tutti sui 25-30 anni, stavano completando gli studi e iniziavano le prime attività lavorative. Durante il periodo di Libero Grassi e delle stragi, erano degli adolescenti. Purtroppo allora non ci fu una reazione della società palermitana, abbiamo dovuto aspettare appunto una nuova generazione. Libero Grassi era un intellettuale, un imprenditore ed era isolatissimo.
Ora, questo gruppo di ragazzi uscì con un’idea interessante e semplicissima, originale, che ha dato vita a un’esperienza che dura nel tempo -che è un altro elemento, secondo me, straordinario, perché qua le lotte, storicamente, durano un attimo. Quella di Addiopizzo sembra quasi una lotta nordeuropea, perché si fonda sul consumo critico che, se vuoi, è una cosa un po’ da svizzeri: il consumatore critico è uno che quotidianamente è attento a dove fa i suoi acquisti… Insomma una cosa anche faticosa e che rende poco dal punto di vista mediatico.
Questo movimento mi ha subito affascinato, interessato, mi è sembrato concreto. Ovviamente all’inizio non è stato facile, perché era un movimento naif, iperdemocratico, con un regime assembleare defatigante, riunioni infinite, per scrivere un documento ci volevano settimane… Però anche sull’onda, evidentemente, di una forza, di una spinta che c’era nella società, siamo andati avanti, lentamente e però inesorabili.
Tu oggi ti occupi specificamente di Libero Futuro, l’associazione antiracket nata collateralmente a Addiopizzo. Puoi raccontare?
Uno degli obiettivi primari di Addiopizzo era convincere gli imprenditori a cominciare a denunciare, facendo nascere un’associazione antiracket. All’inizio, gli imprenditori erano, si può dire, un miraggio. C’erano questi sette ragazzi, laureati e laureandi, che parlavano delle imprese, ma in realtà sapendone poco. Quando gli imprenditori arrivarono, infatti, noi non sapevamo cosa fare. Addiopizzo non aveva il know how e poi non pensavamo di dover intervenire noi stessi, pensavamo che altri avrebbero fatto questo lavoro. Allora chiamavamo Tano Grasso, che veniva da Napoli, e li curava lui, perché c’è una tecnica, bisogna sapere come ottenere la fiducia della vittima, come risolvere alcuni problemi con le forze dell’ordine, insomma è un lavoro specifico. Dopo un po’ di tempo però io dissi a Tano: "Qua associazioni antiracket non ne nascono, chi lo deve fare ’sto lavoro?” e lui rispose, molto francamente: "O lo fate voi, o non lo fa nessuno”. "Voi” in qualche modo ero io, perché ero quello che si era occupato di più degli imprenditori, nella lista del consumo critico, forse per ragioni anagrafiche, non lo so.
Così mi spiegò come dovevo fare e mi chiese un impegno preventivo per la presidenza dell’associazione antiracket, nel caso non si fosse prestato nessun altro. Non si poteva infatti rischiare il fallimento. Io accettai e cominciai ad organizzare queste riunioni in cui si parlava di tutto, incontri intensi, perché c’era anche l’esigenza di creare un gruppo coeso, di persone che si fidano, che si conoscono bene, eccetera eccetera.
A quel punto abbiamo cominciato a stabilire rapporti con le forze dell’ordine, sono venuti magistrati, poliziotti, carabinieri, Guardia di Finanza, Prefettura, e con ognuno di loro c’è stato uno scambio, la conoscenza reciproca, un lavoro lunghissimo. Dopo il caso di Guajana e dell’arresto di Lo Piccolo, abbiamo un po’ accelerato rispetto ai tempi che aveva dato Tano, e a novembre 2007 abbiamo presentato al pubblico l’associazione. Tano voleva fare la presentazione in prefettura, in una sala ...[continua]

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