Tania Molina. Perché Tania?
Perché mio padre è comunista e nella decade in cui sono nata c’era una forte effervescenza nel processo rivoluzionario salvadoregno, il popolo stava surfeggiando l’onda rivoluzionaria. I modelli di riferimento erano altri fratelli che avevano lottato in altre zone del Continente, come Che Guevara e la sua compañera Tania: da qui la decisione di un trentatreenne che era al colmo del suo entusiasmo quasi romantico. Non so se lo sapeva, ma in qualche modo segnava il mio destino.
Tania la guerrillera: quando hai iniziato a seguire questa vocazione?
Da che ho memoria, mi accompagna la coscienza di un mondo diseguale, ingiusto e non di rado assassino. Già a tre anni fummo mandati in esilio dal Salvador in Nicaragua. Mio padre era gravemente minacciato di morte, il partito gli ordinò di espatriare per organizzare dall’estero il sostegno alla lotta rivoluzionaria e la nostra famiglia fu la prima ad essere accolta come “rifugiata politica” dai sandinisti. A cinque anni mi iscrissi nei “pioneros” (l’organizzazione dei bambini figli dei membri del partito comunista salvadoregni in esilio) e nel gruppo analogo dei bambini sandinisti. Anche alle scuole superiori partecipavo alle attività parallele dei giovani comunisti e dei giovani sandinisti. Nel 1990, a poco meno di tredici anni, tornammo in Salvador e qui fui contattata da un dirigente: mi comunicò che ero stata designata dal partito per ricostituire il movimento studentesco. Così mi incorporai nella cellula, incominciai a ricevere i rudimenti della preparazione politico-militare, a lavorare clandestinamente per appoggiare il lavoro della guerriglia urbana. Poi fu quasi naturale passare nelle file dei guerriglieri che vivevano nelle montagne circostanti. Per fortuna, questo genere di lotta durò poco: nel 1992 fu stipulata la firma degli accordi di pace.
Finita la fase ufficiale della guerra civile (dico la fase ufficiale perché non passa mese -tuttora- che non venga assassinato un militante di sinistra), mi sono concentrata sull’obiettivo di non diventare pazza. Infatti ho dovuto fare i conti con la sproporzione fra il mio idealismo e le situazioni storiche effettive, fra la mia coscienza abbastanza immaginaria di far parte della banda dei buoni alla Robin Hood e la constatazione che non tutto nella militanza del partito era altrettanto puro. Mi sono accorta che il carattere rivoluzionario del nostro partito -per me sacrosanto- era stato messo fortemente in crisi da alti dirigenti e da quadri medi: il poeta Roque Dalton era stato assassinato, per esempio, da Joaquin Villalovos, il capo dell’Erp, cioè a dire dell’esercito rivoluzionario del popolo. Sul piano più ordinario, fui sconcertata dall’atteggiamento della maggioranza dei militanti: quando arrivarono i dollari dell’Aid (un organismo di sostegno finanziario internazionale supportato certamente dal governo statunitense), si pensò prima di tutto a salvare se stessi e i propri cari. La delusione per me fu traumatica: all’inizio dell’adolescenza, il crollo dei miei idoli mi fece sentire come sperduta nel mondo. Per quasi due anni fuggii in Nicaragua, quasi per cercare conforto psicologico nell’ambiente amicale che mi aveva accolto da piccola bambina profuga politica. Ma i miei genitori mi vennero a riacciuffare quasi per i capelli e mi riportarono in Salvador.
Questa delusione ha comportato il tuo allontanamento dal partito?
Sì, ho abbandonato il mio posto nella direzione nazionale della gioventù dell’Fmln (Fronte “Farabundo Martì” per la liberazione nazionale), ma sono rimasta a collaborare ad ogni progetto concreto: purché non vada contro i miei principi. Intanto mi sono avvicinata a quegli ambienti intellettuali, soprattutto artistici, che mi hanno aiutato a individuare i metodi e gli strumenti più idonei alla mia personalità per continuare l’impegno rivoluzionario. Avevo già quindici, sedici anni: ero assetata di cultura, di conoscenza. Un ottimo biglietto di presentazione fu per me il conseguimento del primo premio del settore poesia nel Certame centro-americano di letteratura femminile giovanile. Ideai e organizzai, nel 1996, la prima mostra nazionale di arte erotica -“Erotismo versus necrofilia”- cui parteciparono ottanta fra i più apprezzati artisti del Salvador: per quindici giorni di seguito conferenze di sociologi ed altri accademici si alternarono con mostre di pittura, di scultura, di fotografia, di film. ...[continua]
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