Vorremmo fare un po’ il punto sul Sudafrica del post-apartheid. Nel 2006 si sono festeggiati i 10 anni della nuova carta costituzionale e sono passati 4 anni dalla fine dei lavori della Commissione per la Verità e Riconciliazione. Possiamo ripercorrere questo periodo così intenso per questo Paese?
Le prime udienze della Truth and Reconciliation Commission (Trc) risalgono al 1996 e i lavori sono stati ufficialmente conclusi nel 2003. La Commissione incarna uno dei tanti elementi del patto costituente del post-apartheid; un patto molto articolato raggiunto dopo molti negoziati, in cui si sanciva che le forze politiche che appartenevano alla black majority, guidate dall’Anc, erano disposte a rinunciare a un’idea di giustizia in senso strettamente retributivo (la pena come prezzo per i crimini commessi) quindi a un’idea di vendetta giudiziaria, incassando però una serie di elementi “positivi”.
Tramite le confessioni pubbliche di tutti coloro che avevano commesso crimini durante il regime segregazionista, si otteneva infatti non solo una consacrazione manifesta dell’illegittimità del regime dell’apartheid per bocca stessa di quelli che l’avevano posto in essere, ma anche un volume di informazioni sul passato maggiore a quello che si sarebbe potuto ottenere coi processi penali. Apro e chiudo una parentesi per ricordare che il meccanismo processuale attuato in Sudafrica, essendo un paese ex Commonwealth, quindi a tradizione di common law (sebbene con molti correttivi di civil law, per effetto della dominazione olandese), risponde alla formula anglo-americana, il cosiddetto processo adversarial-accusatorio. In sintesi amnistia in cambio di maggiori verità e di un riconoscimento della illegalità e criminalità della fenomenologia del governo segregazionista.
Già durante la fase negoziale, i rappresentanti politici del National Party (il partito segregazionista) posero però come condizione che confessassero anche coloro che avevano commesso crimini dalla parte dei resistenti, del Black Liberation Movement. Quindi anche alcuni dei cosiddetti freedom fighters, per ottenere l’amnistia, furono costretti a confessare pubblicamente.
C’era un ulteriore patto che stabiliva che chi non avesse ricevuto l’amnistia -per via di una confessione non completa, non veritiera, o perché si era sottratto o ancora perché il crimine non rientrava in quelli di competenza della Trc- sarebbe stato giudicato dopo, con un regime non più transitorio, straordinario, bensì di giustizia ordinaria.
Ecco, per iniziare a introdurre un primo elemento di criticità, va detto che a tutt’oggi nell’ufficio del procuratore deputato a seguire tutta questa materia, risultano pendenti decine e decine di faldoni. La Commissione infatti ha trasmesso gli atti a questa special unit, che ha i fascicoli per eventuali processi e alcuni di questi, almeno un paio, sono partiti, ma certo non è stata realizzata in pieno la seconda parte del patto che reggeva la Trc e il processo costituente, ovvero processare chi non ha giocato lealmente.
Quali erano i crimini di competenza della Commissione?
Quattro: tortura (torture), rapimento (abduction), trattamenti inumani e degradanti (severe ill treatment) e omicidio (killing).
Sono quattro fattispecie già previste dal codice penale in vigore durante l’apartheid, quindi non è stato violato il principio di “non reatroattività” della legge penale, come invece è successo a Norimberga o in altre situazioni, quando si sono introdotte categorie non “positivizzate” durante il periodo in cui furono commessi i crimini, in nome di principi quasi di “legge naturale” invocati ex post. I crimini assimilabili a queste quattro categorie devono essere stati commessi in uno spazio temporale compreso tra il 1960 e il 1994, quindi 34 anni. I crimini devono inoltre essere stati commessi con finalità politiche, nel quadro della lotta tra il regime e la galassia dei movimenti di liberazione nazionale. Questi stessi crimini commessi fuori da un contesto di comprovata finalità politica non sono amnistiabili; così come non sono amnistiabili crimini commessi con uno spirito di “personal gain”, di vantaggio strettamente personale o con “malice”, con particolare cattiveria, crudeltà ingiustifica ...[continua]
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