E’ stato durante il liceo classico che mi sono accorto che m’interessavano di più le materie scientifiche, non so, avvertivo proprio un bisogno di oggettività, di misura dell’affidabilità delle cose che studiavo, così alla fine del percorso ho deciso di iscrivermi a chimica. Forse oggi se tornassi indietro farei fisica, comunque sono contento così.
All’università sono entrato col vecchio sistema e mi sono trovato nel mezzo del passaggio al nuovo ordinamento. C’è stata una sorta di conversione in corso d’opera, per cui sono stato uno dei primi laureati con il tre più due. Hanno fatto molte pressioni perché ci “convertissimo”; chimica è un corso di laurea abbastanza piccolo qua a Torino, con pochi studenti, per cui sarebbe stato folle tenere in piedi due ordinamenti. Con il tre più due hanno spezzettato tutti gli esami, si è passati da un sistema con corsi su base semestrale, a uno scaglionato in quattro periodi didattici l’anno, per cui fai un mese e mezzo di corsi e due settimane di esami. Alcuni miei esami sono stati meno impegnativi di certe interrogazioni del liceo, veramente studiavo in due pomeriggi, del resto con sedici ore di lezione per il docente era difficile trovare tre domande diverse da fare agli studenti che davano l’esame lo stesso giorno, perché le cose fatte erano talmente poche… Tra l’altro, rispetto a questi piccoli corsi e corsettini è scattato un effetto “sciacquone” terribile, come dire, una volta dato l’esame ti dimentichi tutto. Ormai l’università è un grande liceo, anche l’atteggiamento degli studenti è un po’ cambiato, tengono meglio il ritmo però poi forse la cultura generale ne risente un po’. Io spero non sia stato solo il modo con cui hanno salvato tutte le cattedre...
Ho fatto Metodologia e chimica avanzate, la laurea specialistica più generale, meno professionalizzante. Faccio parte della “parrocchietta” dei chimici teorici, cioè non lavoro in laboratorio, ma essenzialmente al calcolatore, facciamo simulazioni numeriche. Ho fatto una tesi di simulazione sull’attività delle superfici.
Da noi la tesi di laurea è ancora una cosa importante, dura praticamente un anno. Mentre la redigevo il mio relatore mi ha chiesto se fossi interessato a fare un dottorato di ricerca. Ci stavo pensando, la cosa mi interessava, per cui gli ho detto di sì. Mi ha spiegato che c’era il concorso, che avremmo visto come andava… E qui si apre tutta la questione di come funzionano i criteri di ammissione a un dottorato di ricerca. Nel senso che se vai all’estero, non c’è quasi da nessuna parte il concorso: funziona per cooptazione personale, cioè un gruppo di ricerca ha i fondi per prendere un dottorando ed è il professore che va da tizio e gli dice: “Se vuoi il posto è tuo”; vale una sorta di principio bonus-malus perché se prendi una persona inadeguata in realtà ti danneggi. Qui in Italia, invece, c’è una cooptazione mascherata da concorso, nel senso che, appunto, in teoria fanno un concorso, fanno una graduatoria, ma in realtà tutto avviene in base a dei divertentissimi equilibrismi…
Fortunatamente il mio relatore aveva presentato una domanda di finanziamento a una fondazione bancaria privata, per cui aveva un canale preferenziale… E’ così che sono entrato.
Il dottorato di ricerca dura tre anni in generale. Io mi sono laureato nel luglio del 2003 e ho iniziato alla fine dello stesso anno. Sì, subito. Ho dato il concorso a ottobre e appunto a novembre siamo entrati ufficialmente come dottorandi. E’ stata un’esperienza abbastanza bella, soprattutto per la presenza della borsa di studio (ci sono molti dottorandi che lo fanno più o meno gratis), che mi ha permesso anche di uscire di casa. Intendiamoci, si sopravvive. Sono 827 euro al mese, in una città come Torino sono sufficienti, già i miei colleghi di Milano mi dicono che là non bastano affatto tant’è che sono costretti in situazioni proprio da studente, con tre persone per stanza o cose di questo tipo. A Torino gli affitti sono abbastanza contenuti, soprattutto in certe zone della città; io divido una casa con due camere con un collega di fisica, quindi va decisamente bene, poi comunque hai una famiglia alle spalle, che nel caso ti aiuta, però per le spese correnti credo che sia adeguato.
In Italia si parla sempre degli scarsi investimenti nella ricerca. In effetti, noi ci sogniamo di fare le cose che fanno i gruppi di ricerca di altri paesi; mediamente usiamo dei computer ch ...[continua]
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