Tonino Perna è uno dei fondatori e responsabili del Cric di Reggio Calabria, da anni impegnato in Albania e nella cooperazione Sud-Sud.

Tu sei molto impegnato, e da tempo, in Albania, e poi eri là proprio nel momento del disastro; immagino che anche da qui tu stia seguendo questa vicenda con grande attenzione…
Purtroppo devo dire che in Italia non si conoscerebbe l’Albania se non fosse successa questa tragedia, ed è triste aspettare le tragedie per capire che abbiamo un vicino di casa. Anche da parte degli studiosi il disinteresse è stato totale; io ho curato uno studio, intitolato Passage to the West, uscito in Albania nell’ottobre del ’96, che mette insieme analisi fatte, in particolare, da economisti francesi, e che porta le testimonianze di alcuni intellettuali albanesi su questo processo di transizione. L’interesse era nato soprattutto dalla convinzione che l’Albania, nel suo piccolo, sia un po’ come un paese laboratorio dove questa famosa transizione dal marxismo-leninismo al capitalismo appare estremizzata; questa è una terra dalle tinte nette, in bianco e nero, è una società ancora poco articolata e quindi molto reattiva, per questo è sembrato possibile fare un’analisi comparata, cogliendo alcuni elementi comuni anche ad altri paesi dell’Est.
Oggi nelle grandi metropoli sta accadendo qualcosa di paradossale, e tuttavia emblematico: siamo collegati via Internet, ma non ci si conosce tra vicini, quello che abita nelle scale di sotto non sappiamo chi sia, che vita faccia, che problemi abbia, non sappiamo nulla.
Anche a livello macro è così: l’Albania infatti è un paese vicino all’Italia e che, fra l’altro, per ragioni, a me del tutto inspiegabili -dato quello che abbiamo fatto- ama l’Italia, eppure continuiamo a vederlo lontano.
Ora la tragedia ha fatto sì che dell’Albania se ne debbano occupare tutti, cominciando dalle forze politiche, ma non è ancora chiaro quali siano i termini di questo crollo, di questo sfacelo, di questa implosione sociale. C’è un punto, però, che non può non essere chiaro: tutto è iniziato con i brogli elettorali del maggio del ’96, quando Berisha è ricorso alla forza, mandando i suoi uomini armati nei seggi elettorali, come hanno testimoniato moltissimi osservatori internazionali. Berisha, per la verità, aveva già tentato una specie di via democratica alla presa del potere, nel novembre del 1994, con il referendum per il cambio della costituzione (che doveva portare ad una Repubblica presidenziale in cui lui, chiaramente, avrebbe assunto i pieni poteri). Per sostenere il suo progetto Berisha, oltre a controllare la televisione che parlava di lui 24 ore su 24, spingeva la gente ad andare in piazza per applaudire ai suoi comizi. Per i dipendenti pubblici, andare in piazza era obbligatorio, proprio come al tempo del fascismo in Italia quando arrivava Mussolini: negli uffici di Tirana, Valona e Argirocastro, ho avuto modo di vedere gli ordini di servizio. Malgrado tutto questo gli albanesi votarono "no" per il 65% a questo cambio della costituzione, dimostrando di avere imparato la lezione del passato. Quarant’anni di dittatura sono pesanti, la gente ora vuole proprio la democrazia.
L’Albania era una società articolata, molto diversa da quella che Enver Hoxa aveva lasciato. Dopodiché Berisha, in due anni, ha tentato di soffocare e di distruggere quello che gli albanesi -intellettuali e non- avevano tentato di costruire in questi anni, ossia un paese moderno, democratico, vivo. Basti pensare agli attentati ai giornalisti, all’incendio della sede di Koha Jone, il principale giornale indipendente albanese, durante il quale molti dei redattori, tutti giovani di vent’anni, furono feriti (la loro sede è stata definitivamente distrutta a gennaio, quando la crisi è scoppiata). E’ in questo modo che Berisha arriva a vincere, anzi a stravincere, -in una forma che non ha niente a che fare con la democrazia- le elezioni di maggio col 92% dei seggi. E non è tutto: ha armato il popolo a Tirana, il suo popolo. Berisha ha dato le terre della periferia di Tirana alla sua popolazione, lui è originario di Tropoje (che si trova nel nordest del paese), e i contadini che vivevano -malissimo- in queste montagne, hanno avuto una sorta di promozione sociale quando Berisha due anni fa ha detto: "Venite a Tirana che vi dò la terra". Infatti ha dato loro una terra, ma senza fogne e senz’acqua, e questi poverissimi contadini albanesi hanno costruito quelle che io ho definito delle "pbc villes ...[continua]

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