Don Sergio Sala è parroco a Forlì.

Prima di entrare nel merito dei vari argomenti, vorrei sapere cosa pensi di questa impressione, che hanno tanti, di spietatezza, quasi, che dà in questo momento la Chiesa, come se i principi fossero ormai disincarnati...
Anche secondo me è così. E mi ritorna in mente la fatica che ho fatto io personalmente per passare dai principi alla storia e dagli ideali alla persona, perché l’educazione cristiana, particolarmente quella cattolica, ha insistito molto sulla morale, diversamente, se vuoi, dalla posizione protestante. Questa infatti, prendendo atto dell’impossibilità di una vita etica, se confrontata col Vangelo, ha detto: “La salvezza è grazia, ciò che salva è la fede”, e in questo modo è diventata, se così si può dire, molto più storicizzabile. Invece nella nostra tradizione, se vuoi anche perché eravamo sottoposti al tampinamento della cultura contemporanea, per cui il cattolico passava sempre per il gesuita falso, di alti principi e di bassa pratica, l’insistenza sui principi è stata molto forte... La ragione più profonda, e anche più attuale, secondo me perfino pericolosa, che ha condotto a questo primato della fede dottrinale, di una fede costituita dai dogmi da credere, anziché come incontro interpersonale, è l’ellenizzazione della fede, che oggi viene riproposta. Siamo figli della Grecia, però la filosofia greca, che ovviamente ha avuto la sua gloria e i suoi meriti, induce un modello di pensiero astratto -l’essere, e quindi l’eternità dell’essere- molto diverso dalla fede biblica, ebraica, il cui fondamento è la persona e la storia della salvezza. Ecco il cambiamento straordinario del Concilio Vaticano II: ritrovare la fede come atto di abbandono, di fiducia in un rapporto personale con Dio; un rapporto interpersonale che permette una maggiore scioltezza dalle idee, anche dai dogmi, dall’astratto dei principi. Il fondamento del Concilio Vaticano II fu proprio quello di recuperare la vera radice della fede cristiana, che è l’ebraismo, la Bibbia, la parola di Dio. Se torniamo alla Bibbia, torniamo alla considerazione della storia e della biografia all’interno della persona e smettiamo di pensare in termini astratti e metafisici, di restare inchiodati sui giudizi.
Le ripercussioni pratiche furono enormi…
Beh, pensiamo, ad esempio, alla morale sessuale, per cui la sessualità dell’uomo è stabilita, non ha più storia, è quella lì, quella che si costruisce con la Summa teologica all’Università e non nei laboratori della vita, nella città, nel quartiere. Il bambino, allora, lo si giudicava in base a quella visione astratta della sessualità. Ricordo un francese che diceva: i cattolici guardano solo ai principi e non vedono le persone. Era vero! Ma Gesù, invece, dopo aver posto i principi, e altissimi -“Amatevi come io vi ho amato”, “Siate misericordiosi come il Padre”, “Beati i miti, gli afflitti, i poveri”- quando poi vede la prostituta, l’adultera, dice: “Donna, neppure io ti condanno”. Quello stesso che aveva detto: “Se uno guarda una donna per desiderarla ha compiuto peccato, è degno della Geenna…”, poi quando si trova di fronte all’adultera: “Donna, chi ti condanna?”. Anche San Paolo dice: “La legge uccide, la legge non dà la vita”. E allora questo cosa vuol dire, un relativismo storico? Un relativismo personalistico, individualista? Neanche per sogno. I principi, i valori-meta, come li si chiama, quelli rimangono, e ci si sente sempre inadeguati, insufficienti e peccatori davanti a Cristo, ma questo non mi induce la severità, il moralismo, il rigore esigente del super Io, bensì la morale della speranza, del guardare le persone e amarle prima di tutto. E per amarle bene occorre avere i principi, questo sì, ma la realtà è fatta dalle persone, non dai principi.
Questa astrattezza culturale, in nome dei principi, è brutta, e pericolosa...
Neanche a chiederlo, tu preferisci l’ebraismo all’Islam…
Immensamente. Perché l’ebraismo è un continuo dialogo, protesta, lamentela, discussione con un Dio che è storicizzato. L’Islam ha il libro e si diventa sempre più perfetti più si ubbidisce a quel libro, più lo si ripete fedelmente.
Fra la fede di Abramo fino a quella dei profeti, o di Mosè, o di Giobbe, ci sono differenze abissali: è Dio che cammina con la Storia e allora nasce la domanda, nasce la vita. Quella ebraica è una religione della domanda, della storia. E’ la religione di Dio, non dei principi.
Questo cosa comporta per un cristiano che si muove, vive ...[continua]

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