Georges Bensoussan, storico e intellettuale francese, è autore de Les territoires perdus de la République, edizioni Milles et une Nuits, Paris 2004. Recentemente ha scritto Il sionismo. Una storia politica e intellettuale 1860-1940, Einaudi, 2007.

Il termine sionismo ha molto spesso una connotazione negativa, addirittura può suonare quasi come un insulto.
Il termine sionista riveste questa connotazione peggiorativa, in quanto lo Stato d’Israele, per una parte dell’opinione pubblica, rappresenta il male ed è associato molto spesso agli Stati Uniti, ma anche senza questa identificazione è percepito come una nazione malefica, che racchiude tutte le immagini del male: spoliazione, repressione, oppressione e usurpazione. Tutto avviene come se, progressivamente, in questi 60 anni d’esistenza d’Israele, l’insieme delle rappresentazioni antigiudaiche, cristallizzatesi nel mondo occidentale, e precedenti alla nascita della nazione israeliana, si fossero trasferite, fossero “emigrate” verso il nuovo Stato. Da popolo maledetto si è trasformato in Nazione e Stato maledetto. Si è in presenza di una specie di statalizzazione dell’antisemitismo tradizionale e, poiché il sionismo costituisce la realizzazione dell’indipendenza del popolo ebraico, lo sguardo si focalizza sulla sua rappresentazione materiale, e cioè Israele, lo Stato ebraico. D’altro canto, la prosecuzione del conflitto israelo-palestinese, o meglio giudeo-arabo, che dura da più di un secolo, aggravatosi dopo la Guerra dei sei giorni, ha contribuito ad esasperare la giudeofobia nel mondo arabo e in particolare nel mondo arabo europeo.
Possiamo tornare alle origini del sionismo?
L’idea di creare una nazione ebraica è nata nel XIX secolo, tra il 1860 e il 1880. E’ sorta in Europa orientale dove viveva la stragrande maggioranza della popolazione ebraica europea, all’interno del mondo askenazi, che parlava lo yiddish. Ciò non significa che non vi sia stata un’idea di nazione anche tra le comunità ebraiche balcaniche e sefardite dei paesi arabi, in particolare tra gli ebrei marocchini, all’epoca la più grande comunità ebraica del mondo arabo. Quest’idea precede la dichiarazione di Theodor Herzl del 1897 ed è, occorre sottolinearlo, profondamente legata alla terra di Israele. La terra d’Israele è centrale nei testi, nelle feste, nel calendario, nel cuore e nell’immaginario del mondo ebraico. Israele è quindi inseparabile dal mondo ebraico.
Inoltre, la lingua ebraica è ugualmente inseparabile dal mondo ebraico ed altrettanto dalla terra d’Israele, dal momento che la lingua è nata da questa terra.
La geografia, la toponomastica di questa terra è ebraica. I luoghi della terra d’Israele, della Palestina sono ebraici, perché derivano dalla lingua ebraica. La terra d’Israele è al centro dell’immaginario ebraico, nonostante gli ebrei non vi vivano da lungo tempo. Gli ebrei vivono lontano dalla Palestina, eppure la terra è come se li abitasse sempre. E’ questo l’aspetto cruciale che tante persone fanno fatica a capire.
Nel corso del XIX secolo la terra d’Israele, pur essendo gli ebrei dispersi in diversi paesi, continua ad abitarli. Ed è proprio per questo che nella seconda metà dell’800, in seguito alla secolarizzazione del mondo occidentale (che vede un allontanamento della società dalla sfera religiosa, ciò che comunemente chiamiamo la “morte di Dio”) anche il mondo ebraico si secolarizza e laicizza, interrogandosi sulla propria giudeità privata dell’aspetto religioso. L’idea sionista nasce quindi all’interno della secolarizzazione del mondo occidentale. Come essere ebreo senza più credere in Dio? In questi anni centrali dell’800, in Europa si assiste poi alla nascita dei movimenti nazionali cui il mondo ebraico -anch’esso occidentale- partecipa. C’è un forte nesso, per esempio, tra il movimento risorgimentale italiano e il sionismo, e questo per una semplice ragione: i primi sionisti associarono, quasi naturalmente, Roma a Gerusalemme. Uno dei padri del sionismo, Moses Hess, amico di Karl Marx, pubblicò, già nel 1862, un saggio dal titolo Roma e Gerusalemme. Ispirandosi al Risorgimento italiano, immaginò la seguente ipotesi: come gli italiani, discendenti dei romani, erano riusciti, grazie a Cavour e Vittorio Emanuele II, ad avviare il processo dell’Unità d’Italia (siamo ancora nel 1862, agli albori) anche gli ebrei avrebbero potuto far “risorgere” Gerusalemme. Questo legame stretto fra sionismo e Risorgimento italiano emergerà nel corso ...[continua]

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