La questione delle “armi di distruzione di massa”, agitata dai governi americano e inglese come giustificazione della guerra contro l’Iraq, si è rivelata una colossale bugia. Ma qual è il peso della bugia in politica e soprattutto: è compatibile la bugia con la democrazia?
Quello della menzogna, quindi dell’ingiustizia, come parte della politica è un problema antico, direi antico quanto la politica perché ha a che fare con la potenza, cioè con l’oggetto vero e proprio della politica. Nessuna forma di governo è estranea a questo problema, nemmeno la democrazia la quale, pure, è fondata sulla pubblicità -nemica naturale della menzogna. Tucidide, ne La Guerra del Peloponneso, racconta il dibattito fra gli Ateniesi e i Melii i quali si illudevano di poter restare neutrali nella guerra fra l’Atene democratica e la Sparta oligarchica. Gli Ateniesi, rifiutandola con disprezzo, associarono la loro richiesta di neutralità alla debolezza: di fronte al dispiegarsi della potenza non è ammissibile ritrarsi e rimanere neutrali, è assurdo. La potenza può essere contrastata solo con la potenza. Per questo i Melii, che rifiutavano di sottomettersi ad Atene pur non volendo scontrarsi con lei, avevano la sorte segnata. Uno degli elementi del racconto di Tucidide che merita riflessione è che il dialogo tra Ateniesi e Melii si svolge a porte chiuse, tra i soli delegati e ambasciatori, non nell’assemblea plenaria dei cittadini. Nelle città greche -come negli stati moderni- la politica estera non era materia di dibattito pubblico; non importa se si trattava di città rette da democrazia o oligarchia. Al riparo dal popolo significa in segreto -e per tanto esposta naturalmente alla menzogna e all’inganno. Il problema è che, come appunto lo stesso Tucidide mostra, anche in materia di politica estera le decisioni, in una democrazia, devono essere comunque vagliate e votate dal popolo. La decisione tuttavia è un momento, l’ultimo, ma non il solo. Per giungervi l’attore -individuale o collettivo- deve disporre di conoscenze e quindi poter contare sulla certezza delle sue fonti. Diversamente la sua decisione sarà manipolata e la sua libertà condizionata.
Ma può esserci pubblicità e verità in un contesto di politica di potenza? Non è forse questo uno scenario che prova invece la necessità della menzogna proprio per sottrarre all’avversario le armi della conoscenza ovvero del potere? In un contesto come questo, non ha senso parlare di verità, perché l’unica verità è quella dell’utile e della forza; la verità è quella di chi domina e il suo utile è il criterio di giustizia. Per questo, per arrivare alla decisione “giusta” (ovvero decretata come necessaria da chi sa) occorre molto spesso raccontare bugie al popolo.
Secondo Kant, la bugia è il peggiore dei peccati, perché su di essa non si può costruire niente. Se ti mento (anche pensando di farlo per il tuo bene) è perché presumo di poter controllare il tuo futuro. Per questo, dice Kant, la bugia è segno di un potere soverchiante, non semplicemente di potere -il potere del despota o “signore-despota paterno”. Con la mia menzogna, infatti, pongo me stesso in una condizione simile a quella di Dio, perché quando mento per fare il tuo bene presumo di poter dominare gli eventi futuri, e quindi di avere un potere assoluto su di te e sulla catena degli eventi possibili che determinano la tua vita. Questo potere assoluto -che nessun uomo può e deve avere - è la ragione fondamentale per cui, soprattutto in politica, secondo Kant, la bugia (e la politica che più le è consona, la “ragion di Stato”) è assolutamente da respingersi.
La seconda ragione (seconda non per importanza, ma per necessità di ordine del discorso) per cui secondo Kant la bugia deve essere respinta è che essa viola il principio fondamentale della giustizia, ovvero la “universabilità” o “generalizzabilità” (cioè il fatto che una proposizione, un’affermazione, ha valore di norma etica nella misura in cui può essere rispettata da tutti e diventare una regola per tutti ...[continua]
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