Nadia Maria Filippini, docente di Storia delle donne all’Università di Venezia, storica, ha pubblicato tra l’altro, La nascita “straordinaria”. Trasformazioni culturali e sociali nella pratica del taglio cesareo (XVIII-XIX secolo), Milano, Franco Angeli 1995; tra i suoi saggi: “Il cittadino non nato e il corpo della madre”, in Marina D’Amelia (a cura di), Storia della maternità, Bari, Laterza 1997; “La personificazione del feto e l’eclissi della madre”, nella rivista della Società delle Storiche “Genesis”, II, 1, 2003; ha co-curato il libro Corpi e storia. Donne e uomini dal mondo antico all’età contemporanea, Viella 2002.

La nuova legge sulla fecondazione assistita, se da un lato segna un passaggio di portata storica nella storia della nascita, dall’altra denuncia anche un’allarmante continuità col passato, in particolare rispetto alla visione del concepito come soggetto. Ecco, cosa sancisce questa legge? Qual è il suo significato culturale?
Credo che il dato più significativo di questa legge sia appunto quello che si riferisce all’affermazione dell’embrione come soggetto a tutti gli effetti, alla pari, quindi, con gli altri soggetti coinvolti dalla legge. Se si legge con attenzione l’art. 1 è proprio questo principio ad essere sancito nella forma più chiara ed esplicita: la legge, infatti, “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.
L’intero testo di legge deriva e si regge su questa affermazione iniziale. Solo asserendo questa pari dignità, infatti, è possibile capire l’impianto nella sua articolazione come pure in quegli aspetti che giustamente sono stati definiti crudeli nei confronti della potenziale madre.
Io allora partirei proprio dal dato che appunto si parla di “soggetti” e di “diritti”, perché i soggetti dotati di diritti sono non solo la madre e il padre, ma anche la cellula fecondata, e vengono messi tutti sullo stesso piano.
Ecco, questa mi sembra l’assoluta novità giuridica e culturale, nella storia della nascita, della rappresentazione dell’embrione e della relazione madre-figlio. Si tratta di una tappa storica importante; l’ultimo gradino di un percorso di lunga durata. E’ a partire dal secondo Settecento, infatti, che comincia ad emergere un’attenzione specifica verso l’essere racchiuso nell’utero, un interesse che porta alla costituzione di veri musei di feti, a ricerche mirate e che va di pari passo con l’ipotesi di definizione di questo embrione come soggetto e cittadino. Parliamo di un cambiamento culturale profondo che forse raggiunge il suo apice nella definizione del non nato, o non ancora nato, come cittadino.
La stessa espressione “cittadino non-nato” viene infatti coniata in questo periodo dal medico renano Johann Peter Frank, peraltro il teorico della “Polizia medica”.
Allora, questa legge, che a un profano può sembrare una novità assoluta, in effetti è piuttosto la traduzione in termini giuridici di un percorso culturale di più lunga durata.
Il testo di legge approvato, tra l’altro, è l’esito di un lungo dibattito che aveva vagliato anche altre proposte, alcune delle quali erano ancora più esplicite, ancora più coerenti con questo principio. Addirittura in un disegno di legge si parlava di “adottabilità” dell’embrione, contemplando l’intervento del giudice tutelare per la protezione degli embrioni congelati. A tal punto l’embrione era riconosciuto come soggetto che si pensava di affidargli una tutela giuridica, come per i bambini già nati. Mi sembrano tutti dati drammaticamente significativi del processo in atto.
Questa personificazione dell’embrione va di pari passo con una sua autonomizzazione, in cui il corpo materno, come è stato rilevato, si “eclissa”…
Qui davvero ci troviamo di fronte ad una assurdità logica, emblematica peraltro di una confusione culturale profonda che già nel ‘700 aveva aperto un grosso dibattito. Nel momento in cui l’embrione viene personificato, assumendo un’assoluta parità con gli altri cittadini, non si può che arrivare a una “mostruosità” culturale e sociale.
Anche questo tuttavia è l’esito di un pensiero che ha una sua coerenza. Se infatti al “cittadino non nato” vengono applicati gli attributi dell’individuo, così come vengono definiti appunto dall’illuminismo, avremo un embrione che, in quanto soggetto, è visto come portatore di pari diritti, distinto dagli altri, autonomo, senza legami di dipendenza, cosa che in realtà non è. Quello che il pensiero non riesce a cogliere, la mostruosità ...[continua]

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