24 aprile. Mucche e robot
"Sta succedendo qualcosa di strano nelle fattorie dell’upstate New York: le mucche si stanno mungendo da sole”. Così comincia un articolo di Jesse Mckinley sul "New York Times” del 24 aprile. Stanchi ed esasperati per non riuscire a trovare lavoratori affidabili e in gravi difficoltà per l’impennata dei prezzi, alcuni allevatori si stanno affidando a delle nuove "figure” che danno da mangiare e mungono una mucca dopo l’altra senza mai lamentarsi. Sono dei robot. Nella "cintura del latte” dello Stato di New York e in altri stati dell’area, negli ultimi anni è cambiata anche l’età media oltre che il tipo antropologico degli allevatori: giovani appassionati di tecnologia e poco usi al lavoro manuale. Mike Borden, 29 anni, casaro di settima generazione, la cui fattoria è passata ai robot, trova questo molto divertente. E anche alle mucche sembra non dispiacere. I robot infatti permettono alle mucche di autogestirsi accodandosi per la mungitura quando desiderano, mentre in passato erano i casari a doversi organizzare la giornata in base agli orari della mungitura. Grazie a un trasmettitore sul collo, le mucche usufruiscono di un servizio personalizzato. I robot controllano inoltre la qualità e quantità del latte, quanto mangiano e quanto si muovono. Ovviamente queste macchine sono tutt’altro che economiche: i prezzi arrivano a 250.000 euro per un’unità che include braccia meccaniche, monitor computerizzati, apparecchi per igienizzare prima di mungere e sensori vari. Ad oggi trenta fattorie dello Stato di New York hanno installato più di 100 robot. È vero, c’è il problema che una macchina si può rompere, "ma anche le persone si ammalano”. La scelta tecnologica in realtà non è solo un’opzione tra le altre.
Per molti l’alternativa era mollare più che per i costi proprio perché ormai non si trova più nessuno disposto a fare quel lavoro. In più, come racconta un altro casaro, le macchine permettono di fare ciò che veramente piace, ossia prendersi cura di questi animali. Per qualcuno c’è un altro aspetto da non sottovalutare: "Non è che così dormirò fino a tardi, ma se solo posso starmene sotto le coperte un’ora in più, beh, è una gran cosa!”, conclude Mike.
(International New York Times)

24 aprile. Anziani
Sul "Guardian” di oggi Patrick Wintour ha lanciato un allarme: se non si interviene, nel 2030 l’assistenza agli anziani collasserà. Già nel 2017 gli anziani bisognosi di cura supereranno il numero di familiari in grado di prestare loro assistenza. Nel 2030 saranno due milioni gli ultrasessantacinquenni senza figli adulti che possano accudirli. Per non parlare del problema economico: le residenze costano mediamente 36.000 sterline l’anno e anche l’assistenza domiciliare sta diventando proibitiva. Si sta discutendo di una tassa di scopo da destinare esclusivamente a questo comparto, ma anche della necessità di coinvolgere reti non statali, come amici e vicini per evitare che il sistema sanitario finisca in una spirale senza controllo. Nel Regno Unito si sta vagliando anche la possibilità di andare oltre la "segregazione” generazionale della cura per cui i bambini stanno da una parte e gli anziani da un’altra. Quello che è certo è che va pensato un altro modello. (guardian.com)

26 aprile. Morire di carcere
Nicola Sparti, catanese, 32 anni, è morto il 25 aprile scorso nel carcere di Giarre, apparentemente per infarto. Stava scontando una condanna a 8 anni e tra due giorni era previsto il pronunciamento del Tribunale di Sorveglianza sulla concessione o meno dei domiciliari per gravi problemi di salute. (Ristretti Orizzonti)

27 aprile. Morire di carcere
Alessandro Braidic, 32 anni, si è impiccato ieri all’interno della sua cella, nella Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. L’uomo avrebbe usato per il suicidio il cavo elettrico della televisione. Avrebbe dovuto scontare una condanna fino al 2039. A nulla sono valsi i tentativi di rianimarlo. Dal primo gennaio al 22 aprile scorso, sono già 43 i detenuti deceduti in carcere, 11 tra loro quelli che si sono tolti la vita.
(Ristretti Orizzonti)

30 aprile. Post-antibiotic era
Per la prima volta, l’Organizzazione mondiale della sanità ha messo in guardia sui pericoli dei batteri resistenti: senza un intervento tempestivo c’è il rischio di trovarci in una spaventosa era post-antibiotici in cui anche infezioni comuni e ferite di poco conto possono portare alla morte. Ormai in tutto il mondo si registrano casi di batteri e altri patogeni non trattabili con gli antibiotici, mettendo in crisi le conquiste di un secolo di medicina. Nel suo recente "Rapporto globale”, l’Oms ha raccolto i dati delle "resistenze” in 114 paesi. Keiji Fukuda, nell’introduzione al rapporto, spiega che l’era post-antibiotici non è un’apocalisse immaginaria, ma uno scenario molto realistico, causato da decenni di prescrizioni poco responsabili e dall’uso degli antibiotici nell’allevamento degli animali. Il pericolo, tra l’altro, riguarda sia i paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo. Tornano così a essere potenzialmente letali malattie che non lo erano più: la gonorrea, per esempio, è di nuovo una minaccia alla salute pubblica. Farmaci una volta utilizzati come estremi rimedi (perché causa di infertilità, cecità, ecc.) nelle malattie sessualmente trasmissibili, oggi sono i primi a essere usati. E tuttavia, in paesi come Regno Unito, Canada, Australia, Francia, Giappone, Norvegia, Sudafrica, Slovenia e Svezia si registrano pazienti con infezioni che non rispondono neanche a questi trattamenti.
Il fatto è che i pochi test che rivelano la presenza di batteri impiegano del tempo per dare la risposta. Tempo che non sempre è a disposizione. Così, nel dubbio, si abusa degli antibiotici ad ampio spettro. L’Oms ricorda però che molto può essere fatto dagli operatori e dai pazienti: a partire dall’igiene e quindi dal lavaggio accurato delle mani e degli ambienti; i pazienti, da parte loro, devono resistere alla tentazione di farsi prescrivere antibiotici se non è strettamente necessario; infine, i medici di base devono saper agire responsabilmente, resistendo a richieste infondate. Non c’è più tempo da perdere. (scientificamerican.com)

5 maggio. Il principio di improbabilità
David J. Hand, sull’ultimo numero de "Le Scienze”, spiega perché non c’era poi molto da stupirsi se alla lotteria bulgara il 6 settembre 2009 uscirono i numeri 4, 15, 23, 24, 35, 42 e il 10 settembre vennero estratti i numeri 4, 15, 23, 24, 35 e 42, gli stessi della settimana precedente! Tanto risultava incredibile la cosa che si pensò a una truffa. In realtà, quella coincidenza, spiega Hand, era solo un altro esempio del principio di improbabilità che è la stessa legge che permette di rispondere al "problema del compleanno”. Quante persone devono esserci in una stanza perché sia più probabile che almeno due compiano gli anni lo stesso giorno che non il contrario? È questo il quesito posto dal "problema del compleanno” e la risposta non è forse quella che ci si aspetterebbe. Bastano infatti 23 persone. Hand, calcolatrice alla mano (per i conti precisi bisogna leggere l’articolo integralmente), dimostra che la probabilità che nessuna delle 23 persone in una stanza abbia lo stesso compleanno di un’altra è 0,49, che vuol dire che la probabilità contraria è pari a 0,51, che è più del 50%. Il trucco, se vogliamo chiamarlo così, sta nella legge delle combinazioni, tassello del principio di improbabilità. Tale legge afferma che il numero di combinazioni cresce con il numero degli elementi. Questo spiega perché quando ci sono 23 persone è appunto meno probabile che nessuna abbia il compleanno in comune con un’altra che non il contrario. È anche la legge che spiega com’è potuto succedere che Maureen Wilcox nel 1980 riuscì a comprare un biglietto della Massachusetts Lottery con i numeri vincenti per la Rhode Island Lottery e un biglietto della Rhode Island Lottery con i numeri vincenti della Massachusetts Lottery. David J. Hand, professore emerito di matematica, conclude chiarendo che questa non è la legge per vincere una fortuna, "perché avere un biglietto per una lotteria con i numeri vincenti di un’altra non ti fa guadagnare niente, a parte il sospetto che l’universo si stia prendendo gioco di te”. (Le Scienze)

5 maggio. Insegnanti e studenti
Sul "Washington Post” del 5 maggio, Jesse J. Holland riporta alcuni dati piuttosto impressionanti: metà degli studenti delle scuole pubbliche americane sono minoranze, mentre meno di un insegnante su cinque è "non-bianco”.
Studi recenti mettono in guardia dai pericoli di un tale "diversity gap”. Alcuni gruppi vorrebbero che gli insegnanti fossero più simili agli studenti, cioè più diversi. Kevin Gilbert, della National Education Association, spiega che niente può motivare di più un ragazzo di vedere uno come lui che ha avuto successo. Nel 2012 c’erano 3,3 milioni di insegnanti tra scuola primaria e secondaria. Di questi l’82% era bianco, l’8% ispanico, il 7% nero e il 2% asiatico.
Gli studenti sono tutta un’altra storia. Le indagini del Center for American Progress mostrano che il 48% degli studenti non sono bianchi: il 23% è ispanico, il 16% nero e il 5% asiatico.
La previsione è che il prossimo autunno, per la prima volta nella storia americana, la maggioranza degli studenti della scuola pubblica sarà costituita da non bianchi. L’insegnamento era una delle poche professioni cui accedevano i laureati dell’African American College. Col tempo, altre professioni hanno aperto ai neri e intanto il mestiere di insegnante ha perso prestigio, così sempre meno laureati neri hanno scelto quella strada. Non è più quella la carriera ideale per un nero. E anche con politiche ad hoc, sarà difficile cambiare la composizione degli insegnanti. (The Washington Post)

8 maggio. Il metodo canguro
All’ospedale Albert-Royer, a Dakar, tre mamme sono stese con stretti al petto i loro figli appena nati che riposano, pelle contro pelle, sopra di loro. La testa del piccolo Adama sbuca dalla maglietta della sua mamma, appositamente tagliata. È il metodo canguro. La sua mamma, Comba Fall, 23 anni, è lì da quattro giorni. È venuta perché suo figlio, nato prematuro, pesava solo un chilo e mezzo. Il metodo si sta rivelando efficace: il bambino prende peso giorno dopo giorno. Delle mamme canguro ha parlato Rémi Barroux su "Le monde”. "Gli operatori del reparto si assicurano che il bambino prenda peso, che la madre impari alcune regole, che l’allattamento venga fatto con regolarità e che il neonato dorma a sufficienza”, spiega Fall Aida, responsabile dell’Unità canguro, costituita da tre infermiere e un pediatra. Issa Niang, 22 anni, sta per rientrare a casa, ma si terrà il bambino appiccicato al petto fino a quando non arriverà a tre chili. Questo servizio, attivato nel 2011, ha seguito quasi duecento neonati. Il primo, nato al sesto mese, pesava 800 grammi. L’avevano dato per spacciato, invece oggi sta bene. Questo metodo, ideato dalle pediatre colombiane Rey e Martinez nei primi anni Ottanta, è destinato ai prematuri. Raccomandato anche dall’Oms, il metodo canguro aiuta a lottare contro le infezioni, assicura una "protezione termica” e favorisce l’allattamento. In Senegal, oggi, ci sono dodici "Unità canguro”. Le mamme canguro sono un’alternativa a costo zero a un’ospedalizzazione che può essere invece proibitiva, specie in Africa, ma soprattutto rappresentano una soluzione che funziona. Le mamme, all’inizio, sapendo che tutto si fonda su di loro, sono un po’ spaventate, ma con qualche dritta prendono subito confidenza con questo metodo, che alla fine è di una semplicità estrema. (Le Monde)

8 maggio. La biblioteca digitale
"Nella corsa per guadagnare quote di mercato nel cyberspazio, rischia di andar perduto qualcosa: l’interesse pubblico”. Così esordisce Robert Darnton sull’ultimo numero della "New York Review of Books”. Ormai in tutti i paesi, le biblioteche, ma anche i laboratori e gli ospedali, stanno dismettendo gli abbonamenti alle riviste specializzate, stretti tra un taglio dei fondi e un aumento dei costi di queste pubblicazioni. Ad Harvard, dove gli abbonamenti ammontano a quasi dieci milioni di dollari l’anno, è in atto una vera battaglia contro gli editori. Le ragioni economiche che stanno dietro queste scelte sono comprensibili, ma Darnton fa notare che esiste un’altra legge, o meglio un’altra logica, e cioè che il pubblico deve poter aver accesso a quello che viene finanziato dal pubblico. Il dibattito sul costo delle riviste accademiche non è allora una mera questione "accademica” perché l’accesso alla ricerca non solo è legato alla democrazia, ma anche all’economia. Studi ormai consolidati dimostrano che l’accesso alla ricerca ha effetti moltiplicatori sull’economia. Basterebbe citare il progetto del Genoma Umano (costato 4 miliardi, ne ha prodotti quasi 800 in applicazioni commerciali) o Linux, il software open-source che ha fatto guadagnare miliardi a molte compagnie, Google compresa. Per contrastare questa tendenza sono in corso esperimenti interessanti per dare libero accesso al sapere, ma pare che uno degli ostacoli, oltre ovviamente alle lobbies degli interessi, sia il "prestigio”. Cioè molti studiosi preferiscono comunque essere pubblicati sulle riviste più costose. Altri però sono invece più interessati a essere letti che a guadagnare (in soldi o prestigio). Su questo si fonda una nuova organizzazione: Authors Alliance, che sta lanciando una campagna per convincere gli autori, i cui libri sono ormai fuori catalogo da anni, a rendere questi testi accessibili attraverso una piattaforma pubblica, come la Digital Public Library of America che, lanciata nel 2013, a distanza di un anno ha messo assieme sette milioni di libri (ovviamente fuori dal copyright) e un milione di visitatori da tutto il mondo. Tra l’altro, l’infrastruttura tecnologica della Dpla è stata resa compatibile con Europeana, un’impresa simile con cui si sta raccogliendo il patrimonio librario dei 28 stati europei. Forse una biblioteca digitale mondiale non è così lontana.
(New York Review of Books)

10 maggio. Farmaci antitumorali
I malati di cancro americani, oltre alle preoccupazioni, alla sofferenza e allo stress legato al dover continuamente assentarsi dal lavoro, ora hanno un altro problema: un aumento consistente dei farmaci antitumorali che in dieci anni sono arrivati a 10.000 dollari al mese. Globalmente la spesa per i trattamenti oncologi è arrivata a 91 miliardi lo scorso anno. Nei soli Stati Uniti, i pazienti e le loro assicurazioni hanno speso oltre 37 miliardi nel 2013.
Un tale aumento sta sollevando questioni etiche. Già da qualche tempo si denuncia l’avidità delle case farmaceutiche e ora i pazienti rischiano di vedersi chiedere una compartecipazione alle spese dalle loro assicurazioni. La prospettiva è spaventosa se si considera, ad esempio, che il prezzo di un trattamento per il tumore alla prostata chiamato Provenge arriva a 70.000 dollari al mese. Già oggi è provato che man mano che il costo a carico del paziente aumenta, le terapie vengono abbandonate e che i malati di cancro sono a maggior rischio di bancarotta degli altri. Una delle ragioni alla base di questi aumenti è che le compagnie devono recuperare i profitti perduti man mano che i vecchi farmaci perdono il brevetto. Ma questo significa che alcuni malati si stanno vedendo i prezzi decurtati e altri si vedono i prezzi decuplicati. Per fortuna gli ultimi studi portano anche qualche buona notizia: i tassi di sopravvivenza dei malati di cancro sono in aumento e molto è dovuto proprio ai progressi nelle terapie. (www.cbsnews.com)

11 maggio. Neonazisti in Israele
All’indomani del grande scalpore suscitato dalle parole di Amos Oz, che ha definito "neo-nazi” i gruppi di coloni ebrei radicali Tag Mehir e Hilltop Youth, lo scrittore settantacinquenne è tornato sull’episodio, ma non per fare marcia indietro. "Il confronto che ho fatto venerdì era riferito ai neo-nazisti e non ai nazisti”, ha detto a chi l’aveva accusato di aver usato quel termine. "I nazisti hanno costruito i forni crematori e le camere a gas. I neonazisti profanano i luoghi di culto, aggrediscono persone innocenti e scrivono slogan razzisti con la vernice spray. Questo è esattamente ciò che fanno i nostri neo-nazisti”. (israelnationalnews.com)

11 maggio. La natura dell’Islam
Il rapimento delle 22 ragazze nigeriane ha riaperto gli interrogativi, nel mondo occidentale, sulla "vera natura” dell’Islam e della cultura musulmana. Ayaan Hirsi Ali, nata in una famiglia religiosa somala e feroce critica della fede dei suoi padri, sottolinea che anche l’emergere di Boko Haram (che letteralmente significa che l’educazione occidentale è proibita) riflette dinamiche comuni al mondo musulmano della diaspora. Arsalan Iftikhar, avvocato dei diritti umani e professore a Chicago, ha avuto parole molto dure per Boko Haram, negando però che quel gruppo abbia qualcosa a che vedere con il Corano. L’amministrazione Obama, da parte sua, non ha voluto inserire Boko Haram tra i gruppi terroristi definendolo un’espressione della povertà, considerazione che per molti non ha affatto aiutato le ragazze rapite. Senz’altro poi Hirsi Ali ha ragione quando fa osservare che laddove i governi sono deboli e corrotti, il messaggio di Boko Haram è molto popolare perché addebita la povertà al governo corrotto e offre come antidoto i principi del Profeta. La religione spiega alcune patologie (e alcune virtù), ma non spiega tutto. Sembra mero senso comune, una banalità, ma è bene ricordarlo perché quando si parla di terrorismo e delle sue radici, proprio il senso comune è il primo ad andarsene, conclude l’articolo.
(economist.com)

12 maggio. Veterani
Oggi il "Guardian” dedica la prima pagina a qualcosa di cui non si sente parlare da un po’, cioè i veterani di guerra e, in particolare, i loro traumi. Nel Regno Unito il numero di veterani che cerca sostegno psicologico è in preoccupante aumento. I soldati che hanno combattuto in Afghanistan e che hanno chiesto aiuto a Combat Stress sono passati dai 228 del 2012 ai 358 del 2013. I veterani dell’Iraq in cerca d’aiuto sono aumentati del 20%, eppure le truppe inglesi hanno lasciato il paese ormai da cinque anni. I traumi impiegano tempo a emergere e spesso i soldati negano a sé e alle famiglie di aver bisogno di aiuto. Anche perché lo stigma persiste e la stessa mentalità militare tende a non far venir fuori questi problemi.
L’associazione Combat Stress si vede arrivare ancora oggi reduci della guerra delle Falkland, anche se la maggioranza dei 5.400 pazienti comprende soprattutto veterani dell’Iraq, dell’Afghanistan e dell’Irlanda del Nord.
Mediamente, un veterano aspetta circa 13 anni dalla fine della sua esperienza prima di chiedere aiuto, quindi nei prossimi anni i numeri sono destinati a salire. Si stima siano circa 42.000 i soldati che potrebbero sviluppare un disagio nei decenni a venire. (guardian.com)

12 maggio. Sex tours
"Qui sono 120 euro per mezz’ora; in Spagna con la crisi sono 50 euro per trenta minuti senza preservativo”. Qui è Limoges, comune della Francia centro-occidentale, che da qualche tempo è diventato l’eldorado delle prostitute spagnole che, per combattere la crisi, hanno deciso di "delocalizzare”. A parlarne è Julie Carnis, corrispondente di "Liberation”.
Le ragazze partono dalla Spagna per dei tour che durano un paio di settimane e in quei quindici giorni vanno a Parigi, Marsiglia, Bordeaux, Limoges. Ogni giorno, sul sito d’annunci Vivastreet, nella sola città di Limoges ci sono una cinquantina di annunci.
Tatiana dice di apprezzare Limoges perché è tranquilla. Abituata ad avere dai cinque ai dieci clienti quotidiani lavora mediamente dieci ore al giorno. Un business che le garantisce un buon profitto. Con internet è tutto più semplice. Tatiana ha anche una sorta di protettrice-manager che sta sempre nei paraggi, pronta a intervenire se le cose non dovessero andare per il verso giusto, e che le gestisce le telefonate.
Nonostante l’albergo di terza categoria, la tariffa di Tatiana è di 180 euro l’ora. Un blog intitolato "Sex in Limoges” permette di condividere suggerimenti, valutazione delle ragazze e studi approfonditi sul rapporto qualità-prezzo. Per ora il fenomeno è ancora contenuto e gli albergatori alla fine non si lamentano. Per loro, commenta un albergatore, fino a prova contraria, sono tutti turisti. Salvo poi confessare che quando qualche mese fa si è visto scendere da una berlina immatricolata in Spagna cinque travestiti si è affrettato a dire che era tutto esaurito. (lemonde.fr)

13 maggio. Redditometro
Oggi il "Sole 24 ore” pubblica una lettera realmente inviata in base al nuovo redditometro. In questi giorni sono in viaggio 20.000 inviti al contraddittorio. In effetti, come commenta Dario Deotto a margine della lettera riportata, c’è da augurarsi che non siano tutte così, che sia un’anomalia perché altrimenti c’è davvero poco da star tranquilli. Il cuore della contestazione del caso (concreto) in oggetto riguarda infatti lo scostamento tra l’acquisto di un immobile e il reddito dichiarato in quell’anno. Nello specifico, l’interessato nell’anno in cui ha dichiarato un reddito di 90.000 euro, ha acquistato un immobile di 270.000 euro. C’è da sperare che l’Agenzia delle Entrate non parta davvero dalla considerazione che le famiglie comprano casa con il reddito messo assieme nell’anno dell’acquisto, anche perché si azzardano a comprare una casa anche quelli che dichiarano ben meno di 90.000 euro l’anno.
(Sole24Ore)