Fissi come siamo ad un passato che non riusciamo ad eliminare, non è facile avere una visione chiara del futuro. Dobbiamo molto discutere, molto studiare, molto pensare per saper costruire al momento opportuno, e cioè quando la Costituente fisserà gli ordinamenti dello Stato italiano, la nuova scuola che in essi si dovrà inquadrare.
Oggi è bene non toccar nulla ed aspettare quel momento; oggi una cosa sola sarebbe da fare e sarebbe urgente fare: dare alla generazione nuova un’educazione morale e civile. Per questo occorrerebbe tutta l’abnegazione dei docenti attuali e la creazione d’un agguerrito esercito dì maestri valenti, coscienziosi, onesti, compresi della propria missione, capaci di aprire le menti ed i cuori verso una concezione etica da porre a base della società futura e di infondere insieme quella coscienza civile senza la quale non può prosperare nessuna vera democrazia.
Questo esercito dovrebbe combattere l’analfabetismo che, mai del tutto vinto, sta ora dilagando paurosamente, e dovrebbe richiamare la gioventù ad una visione normale della vita, dopo le evasioni scomposte verso l’ignoranza, la delinquenza, la perversione, l’affarismo.
Ma oggi non si fa che discutere di scuola unica o differenziata, e sembra che tutto il problema scolastico stia qui. Su questo argomento si discute in Italia da 50 anni, e si posson registrare esperienze positive, poiché durante lo stesso periodo fascista entrambe le soluzioni furono adottate. È da sperare che il pubblico, cioè la gran massa dei genitori, sappia ormai orizzontarsi e possa giudicare se è meglio scegliere per i figli a 10 anni tra Ginnasio, Istituto tecnico, magistrale, artistico, industriale, oppure se non sia da preferire la scuola media unica che appunto oggi vige, istituita da Bottai nel 1939, che ritarda la scelta fino ai 13 anni.
Né si deve fare della scuola unica una questione politica, quasi che essa sola possa mettere alla pari ricchi e poveri, operai e capitalisti, ecc., poiché non è certo con la scuola media unica tipo Bottai o con altra celebrata da alcuni autorevoli personaggi del mondo filosofico e politico, che si potrà mai riuscire a mandare alla stessa scuola i figli, ad esempio, dei pecorai dispersi sulle balze appenniniche od alpine e non dirò i figli dei principi romani o dei baroni napoletani o dei...«Delfini» dei potenti, ma neppure i figli degli operai.
La scuola o è unica davvero, e questa non può essere che quella elementare, o deve accogliere i giovani che vogliono e sanno studiare, i quali a qualsiasi ceto appartengano debbono, appena possono, aver la libertà di scegliere la scuola loro più confacente; e quanti, meritevoli, non ne hanno i mezzi, debbono in essa esser completamente mantenuti.
Ma al di fuori di questo dibattito, se vogliamo volger lo sguardo alla scuola quale auspichiamo e prepararci alla soluzione futura dei problemi scolastici dobbiamo richiamarci ad alcuni principi politici e sociali. Primo quello della libertà.
Il problema della libertà della scuola non è stato posto con chiarezza neppure dagli uomini più illuminati del nostro risorgimento, pei quali la libertà fu appunto aspirazione prima e necessità assoluta della rinascita nazionale. A turbare le logiche deduzioni del principio nella sua applicazione alla scuola sorgeva il timore del clericalismo, cioè di qualcosa che appariva appunto agli antipodi della libertà.
La scuola di Stato e la sua preminenza fu perciò caldeggiata in Italia prima del fascismo da una grande maggioranza, persuasa che lo Stato non avesse, anzi non potesse e dovesse avere alcuna religione, né alcuna filosofia particolare. Illusione, perché lo Stato non è un’astrazione e, nella realtà, la sua opera si estrinseca a mezzo di persone, le quali hanno le loro idee e le loro dottrine e non possono -s’ha anzi da dire che non debbono, se si vuole che il loro insegnamento sia efficace- nasconderle.
Durante il fascismo poi lo Stato divenne -come tutti sanno- cattolico e l’insegnamento religioso fu introdotto in quel tempio della scuola nel quale avrebbe dovuto dominare la morale a base puramente scientifica, «svelando al giovinetto le vaste armonie dell’essere, infondendogli per tempo il concetto giusto e serio della legge morale scaturente dalle leggi medesime della vita».
La neutralità dello Stato fu utopia e falsità prima del fascismo e, nel periodo fascista, l ...[continua]
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