23 luglio 2013. I daytoniani
C’era una volta un paese fatto di due entità, dieci cantoni, un distretto e qualche centinaio di ministri (di entità, cantonali, di distretto e statali), i cosiddetti "daytoniani”.
Così comincia un articolo di Roger Cohen uscito sull’"International Herald Tribune”.
Se è innegabile che gli accordi di Dayton (Ohio) sottoscritti nel 1995 hanno posto fine alla guerra in Bosnia, è altrettanto vero che hanno creato un sistema ingestibile. Basterebbe dire che questo piccolo paese, che conta complessivamente quattro milioni di abitanti ad oggi, tra i vari livelli, ha 14 ministri dell’istruzione.
I funzionari daytoniani si presentano in varie forme: ci sono i bosniaci musulmani (bosniacchi), i serbi e i croati. Non vanno d’accordo quasi su nulla se non sulla loro autoperpetuazione. I cittadini bosniaci, stanchi di disoccupazione, corruzione, settarismo, ormai da anni "votano con i piedi”. Cioè se ne vanno: in Germania, negli Stati Uniti, ecc. Nessuno sa quanti di loro siano ancora nel paese. La demografia qui è dinamite. Intanto i giovani sono sempre più impazienti. Vorrebbero poter essere semplicemente bosniaci (e non bosniacchi, serbi o croati). A Sarajevo, la capitale di "Daytonland”, come la definisce amaramente Cohen, nel 2001 un fanatico ha aperto il fuoco contro l’ambasciata americana. Pare ci siano voluti 40 minuti prima che l’attentatore fosse fermato: bisognava prima capire se dovevano intervenire le forze di sicurezza dello Stato o quelle dell’entità.
(iht.com)
24 luglio 2013. Ricette d’austerità
Jack Monroe, inglese, 24 anni, madre single, è diventata famosa con il suo blog (agirlcalledjack.com). L’idea di condividere le sue acrobazie, ma anche la sua umiliazione, è venuta fuori il giorno in cui non sapeva più dove sbattere la testa: finiti i soldi, la dispensa vuota, l’assegno pubblico ridotto inspiegabilmente di 100 sterline e il bambino affamato. Il blog però ha spopolato non solo e non tanto per il meticoloso rendiconto di come sopravvivere alla povertà (cioè vendendo praticamente tutto il vendibile: orologio, iPhone, tv, ma anche biancheria, tendaggi, ecc.) o per i resoconti sulle tanto spasmodiche quanto vane ricerche di lavoro. Il suo blog è stato scovato ed è diventato famoso per le ricette. Tutte curate nei dettagli, con le foto del risultato e accanto il costo. Si va dal "miglior Chili di mamma Jack” (30 penny, cioè circa 35 centesimi) alla "cena-oh-mioddio” (28 penny). Un ricettario per l’austerità pieno di umorismo e indicazioni pratiche che permette di nutrire mamma e figlio con meno di 10 sterline a settimana facendo una dieta variata, salutare e saporita. Da quel giorno le cose sono cambiate, all’inizio del prossimo anno il suo ricettario diventerà un libro e Jack viene spesso invitata in tv, ma soprattutto ha un nuovo lavoro.
Il blog non sarebbe nato se non fosse rimasta disoccupata per 18 mesi, scoprendo peraltro che per molti lavori avere 24 anni vuol dire essere troppo vecchie. Alla fine, paradossalmente, è stata la povertà a darle voce, commenta Patrick Butler sul "Guardian”. Da quel giorno le cose sono cambiate, ma non poi tanto. Il contratto con la casa editrice le ha fatto perdere i vari benefici e anche la casa popolare. Così oggi Jack sarà pure spesso sui media, ma alla sera torna in una casa che è costretta a condividere con cinque persone e continua a dormire su un materasso. È passata da disoccupata povera a povera che lavora. La povertà moderna.
(theguardian.com)
26 luglio 2013. Emergenza Siria
"Circa 18 milioni di uomini, donne e bambini inglesi hanno lasciato il paese nel corso della guerra civile che ha devastato la Gran Bretagna negli ultimi due anni. Circa 28.000 persone sono state uccise e molte di più sono state ferite. È questa, debitamente tradotta, l’entità della tragedia siriana”, ha scritto Timothy Garton Ash sul suo blog.
"I profughi siriani sono già diventati il 10% della popolazione della Giordania. Come se l’intera Bulgaria si fosse rifugiata in Gran Bretagna”. Questo l’allarme lanciato dalle Nazioni Unite e ripreso ieri in prima pagina sul "Guardian”. I paesi europei potrebbero essere presto invitati ad accogliere qualche migliaio di profughi siriani. I paesi vicini infatti sono già al limite. Il campo profughi di Zaatari, sempre in Giordania, ospita 115.000 rifugiati. Di fatto è la quarta città del paese. In Libano un abitante su sei è un profugo siriano.
Guterres, a capo dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha spiegato che qui non si tratta più di una crisi umanitaria o regionale; qui sono in ballo la pace e la sicurezza globale. Già ora ci sono tensioni tra i locali e i rifugiati, anche perché i servizi sociali, le scuole e gli ospedali, non sono assolutamente in grado di reggere. Per non parlare dei problemi economici. Negli ultimi due anni circa due milioni di persone hanno lasciato la Siria. Ma poi ci sono i quattro milioni di sfollati interni. Di fatto, un quarto dell’intera popolazione è stata sradicata. Intanto ogni giorno circa 6.000 siriani lasciano il paese. (theguardian.com)
2 agosto 2013. Il pin dell’Inps
Da un anno a questa parte tutta una serie di pratiche di competenza dell’Inps devono essere effettuate solo online. Eventualmente tramite un mediatore. Eventualmente? Per poter far da soli occorre intanto dotarsi di un Pin. Lo si richiede dal sito, una parte arriva via mail e l’altra per posta ordinaria. Spesso ci mette un po’. A volte non arriva per niente. Dunque, impadronitisi del Pin, si può entrare nel proprio account, operazione non proprio intuitiva, visto che non c’è un banale link di accesso. Comunque, una volta che si è capito di dover cliccare su "Servizi per il cittadino”, ecco che compaiono i due campi (codice fiscale e Pin) per accedere. Una volta dentro, ci sono le varie opzioni. Bene, mettiamo allora che il pensionato non autosufficiente debba per esempio mandare il modulo Icric, quello che certifica che non è ricoverato gratuitamente (pena la perdita dell’assegno). Ecco allora che dovrà entrare nel suo account, cliccare dove si parla del modulo Icric, compilarlo e… E niente, perché per inviare il modulo non basta il Pin in due pezzi, non basta essere dentro il proprio account, ci vuole il "Pin dispositivo”. E come si fa ad attivarlo? Bisogna scaricare e stampare la domanda, firmarla, scannerizzarla e allegarla assieme alla propria carta d’identità (ma non eravamo già dentro il nostro account personale? Boh).
Ecco allora che il pensionato, o più verosimilmente il figlio o il nipote, stampa la domanda, la fa firmare, la scannerizza, poi scannerizza la carta d’identità, torna dentro il suo account e… sorpresa: non può mettere due allegati, perché l’Inps chiede due documenti, ma vuole un unico allegato. Allora il malcapitato torna al computer e studia come unire i due file, mettiamo che ce la faccia, rientra di nuovo nel suo account, allega l’allegato e… sorpresa: l’allegato supera il Megabyte e quindi viene rifiutato…
Ad ogni modo il fortunato utente che riesce ad attivare il Pin dispositivo e quindi a mandare il modulo riceverà una conferma di avvenuta ricezione dopo circa due settimane.
7 agosto 2013. Il paradosso della privacy
Le notizie sullo spionaggio americano hanno scandalizzato i più, soprattutto in rete. Ma proprio gli internauti hanno un curioso rapporto con i loro dati personali. In Francia, oggi, un internauta su due è su Facebook, il 21% è su Google+, il 12% su Twitter. Ogni giorno nel mondo vengono postate su Facebook 300 milioni di foto, con evidenti problemi sul piano della tutela della privacy. Nelle scienze sociali si parla del "paradosso della vita privata”: la gente si lamenta di essere sorvegliata e al contempo si espone sempre di più. (lemonde.fr)
7 agosto 2013. Agosto, il mese più crudele
"Tre anni fa, quando ero il capo e avevo due dipendenti, l’idea di andare per cibo sarebbe stata inconcepibile. Allora guadagnavo 3.000 euro al mese e il frigo era sempre pieno”. Antakis, da micro-imprenditore greco oggi si è riciclato come tassista e prende circa 500 euro al mese. Troppo pochi. Così è costretto a rivolgersi a una delle mense allestite, in questo caso dal "Solidarity Club” (legata a Syriza, il partito greco di estrema sinistra), una delle tante organizzazioni nate per aiutare chi è più in difficoltà.
L’estate però rischia di essere il momento peggiore per chi è stato colpito dalla crisi, perché anche molti volontari partono per le vacanze con le famiglie. L’organizzazione opera in Veikou Street, che non è in un quartiere degradato, ma in pieno centro, accanto alle vie più prestigiose. Ormai è evidente che la crisi ha colpito anche la classe media. I volontari del Club raccontano che ci sono ragazzini che non mangiano abbastanza. La Chiesa greco-ortodossa da sola dà da mangiare a circa 55.000 persone ogni giorno, mentre le autorità municipali distribuiscono ulteriori 7.000 pasti con le mense intorno ad Atene. Dall’altra parte della città, a Neos Kosmos, un quartiere popolare, Christos Provezis, ingegnere disoccupato, impegnato a sua volta in un’organizzazione di solidarietà, dice senza mezzi termini che se un tempo a rivolgersi alla mensa era uno su dieci, ormai siamo più sul nove su dieci. "Avevano detto che la crisi sarebbe finita nel 2012 e ora, nel 2013, dicono che vedremo la luce alla fine del tunnel nel 2014. La verità è che va sempre peggio e i greci stanno esaurendo i loro risparmi”. L’Unicef, in un recente rapporto, stima che circa 600.000 bambini vivano al di sotto della soglia di povertà e più della metà soffra di carenze nutrizionali. Come non bastasse, il cibo è diventato materia "politica”: già un anno fa Alba dorata si era messa a distribuire cibo all’insegna dello slogan "solo per i greci”.
(theguardian.com)
13 agosto 2013. Sogno di una notte di mezza estate
"Come ogni venerdì sera, del fumo bianco sale dai barbecue sui prati del parco. Ma stasera è fumo di vacanza. È Bajram e una folla di arabi israeliani riempie Yarkon Park (Tel Aviv). Ci sono anche molti ebrei israeliani al parco”. Per un momento, racconta Gideon Levy su "Haaretz”, sembra che un sogno si sia avverato: uno stato (e un parco) per tutti i suoi cittadini. Durante la festa che segue il Ramadan sulle spiagge di Jaffa si vedono folle di palestinesi dei Territori che hanno ottenuto il permesso per festeggiare sul mare proibito. Intanto a Yarkon Park, Moshe, Grisha e Mohammed grigliano gli stessi spiedini. Anche la musica è mista -Mizrahi israeliana, russa e araba con tocchi di Hare Krishna da una processione nei paraggi… Nel parco di tutti i suoi cittadini, sembra ci sia una maggioranza araba, o forse è metà e metà. Il "pericolo demografico”, in tutto il suo orrore, il sogno sionista interrotto per un momento. E non è successo niente. D’altra parte "Moshe, Grisha e Mohammed sembravano molto più preoccupati della cottura della loro carne che del loro diritto alla terra”. Quella sera al parco Yarkon, commenta Levy, si è visto il paese che Israele potrebbe e dovrebbe essere. (haaretz.com)
14 agosto 2013. Spending review
Non bastavano gli stipendi bloccati e gli straordinari non pagati, adesso gli agenti di polizia penitenziaria dovranno anche pagare quando dormono nei locali del carcere. Come in albergo, dovranno pagare la camera che andrà liberata entro le 14 del giorno successivo. Di diverso dall’albergo c’è che si parla di camere anche da tre letti con il bagno in corridoio. Le cifre non sono così elevate, dai 7 ai 10 euro, però, per persone che prendono sui 1.300 euro per fare un lavoro molto faticoso e frustrante e già devono pagarsi gli spostamenti, un peso ce l’hanno.
14 agosto 2013. Morire di carcere
Un assistente capo della polizia penitenziaria di 46 anni, in servizio alla Casa Circondariale di Ariano Irpino, al settore colloqui, si è suicidato sparandosi con l’arma d’ordinanza davanti al cimitero di Gesualdo. Si tratta del quarto in due mesi: prima di lui, poliziotti penitenziari si erano suicidati a Roma il 19 giugno, a Marcellina il 7 luglio e a Raffadali il 13 luglio. È il settimo caso del 2013.
Dal 2000 ad oggi sono circa 100 i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria (poliziotti, direttori, provveditori) che si sono tolti la vita.
(Ristretti orizzonti)
20 agosto 2013. Decisioni di fine vita. Alla nascita
Cinquant’anni fa, proprio in questi giorni, gli americani rimasero col fiato sospeso per il destino di un bambino, Patrick Bouvier Kennedy, il primo bambino nato da un presidente in carica dal XIX secolo, e l’ultimo di John F. Kennedy. Era nato il 7 agosto 1963, con cinque settimane e mezzo di anticipo e, nonostante i gesti eroici dei medici e l’uso di una camera iperbarica, morì 39 ore dopo. Oggi, Patrick probabilmente sopravvivrebbe e avrebbe una vita sana. Tuttavia, nonostante i progressi della medicina neonatale (o proprio grazie a questi) i problemi etici legati alle nascite premature rimangono.
Come spiega April R. Dworetz, neonatologa, in un accorato pezzo uscito sul "New York Times”, la maggior parte dei neonati estremamente prematuri sono destinati a gravi complicazioni. Molti avranno bisogno di cure per tutta la vita.
"Qualche mese fa ho curato una neonata con queste caratteristiche. Chiamiamola Miracle. È nata dopo sole 23 settimane di gestazione e pesava poco più di un chilo. Nonostante l’infausta prognosi, i suoi genitori hanno chiesto di rianimarla in sala parto. Così abbiamo fatto”. La dottoressa Dworetz spiega dettagliatamente che cosa hanno dovuto fare nelle successive otto settimane, per tenerla in vita (a furia di test di Guthrie sul tallone, alla piccola sono venute le cicatrici, per non parlare della necessità di aspirarle la trachea centinaia di volte, dei tubi in bocca e nello stomaco, eccetera). La madre era lì tutti i giorni e ha sviluppato un disturbo d’ansia. Il padre veniva una sola volta alla settimana. Non ce la faceva. Quello che la neonatologa vuole denunciare è un’impreparazione dei genitori di figli prematuri, che non vengono informati adeguatamente e per tempo rispetto alle situazioni che si possono venire a creare.
Mentre le questioni di fine vita relative agli anziani non sono più tabù, quando si tratta di neonati i genitori sono del tutto impreparati, anche per colpa dei medici che non sempre li rendono partecipi chiedendo via via un vero consenso informato.
Resta il fatto che lasciar andare qualcuno alla fine della vita non è come lasciarlo andare all’inizio. Talvolta la dottoressa Dworetz ha capito che doveva essere lei ad assumersi questo peso e, con il loro consenso, ha preso una decisione al posto dei genitori. (nytimes.com)
21 agosto 2013. Orfani
"Anche in una giornata di sole Sarata Noua è un luogo tetro. Dal 1969 fino alla sua chiusura nel 2012 questo orfanotrofio nelle campagne della Moldavia ha ospitato anche 152 bambini alla volta. Le condizioni non erano proprio da albergo: fino a dieci ragazzini per stanza e una doccia settimanale in un unico bagno buio”. Racconta l’"Economist” che nel mondo sono circa due milioni i bambini ancora in orfanotrofi come questo. Forse di più. Se in Moldavia e i paesi limitrofi queste istituzioni sono un retaggio dell’era sovietica, quando era lo stato a farsi carico dei bambini con handicap; in India gli orfanotrofi ospitano soprattutto figlie femmine; in Cina ci sono 800 enti statali che ospitano bambini abbandonati o disabili; in Africa gli orfanotrofi ospitano i bambini rimasti senza genitori per colpa di guerre, genocidi o dell’Aids.
C’è però una buona notizia: pare l’orfanotrofio non sia più di moda.
In Romania, un tempo nota per i suoi orfanotrofi, il numero di bambini che vivono in istituti è sceso da più di 32.000 nel 2004 a circa 9.000 l’anno scorso. In Ruanda il numero degli orfanotrofi è sceso da oltre 400 cinque anni fa a soli 33 nel 2012 e il governo ha promesso di chiuderli tutti entro il 2014. La Georgia aveva 41 istituti dieci anni fa, ora ne ha tre. In India si sta discutendo del problema…
I motivi per chiudere queste istituzioni non mancano: è scientificamente provato che i bambini degli orfanotrofi hanno deficit importanti nello sviluppo; inoltre molti dei bambini ospitati spesso avrebbero dei parenti; oltre al fatto che sono luoghi estremamente costosi.
Gli studi della Banca Mondiale e di Save the Children rivelano che in queste istituzioni un bambino costa tra le sei e le dieci volte di più di quanto costerebbe se cresciuto all’interno di una famiglia. (economist.com)
26 agosto 2013. Ricordare Auschwitz
L’interesse per la Shoah sta crescendo in tutto il mondo. Aumentano luoghi e organizzazioni deputati al suo ricordo e in Occidente ormai tutti i ragazzini devono studiare lo sterminio degli ebrei a scuola. Dei 16.000 libri sulla Shoah catalogati dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, più di due terzi sono stati pubblicati negli ultimi due decenni.
All’indomani della fine della Seconda guerra mondiale a lungo non se n’è parlato affatto, neanche in Israele. Poi sono arrivati i libri, i film… Nel corso del tempo la rappresentazione del massacro però è cambiata. Se all’inizio si voleva ricordare soprattutto l’eroismo del ghetto di Varsavia, oggi si punta maggiormente sul vittimismo. Le scuole insegnano che "abbiamo bisogno di un forte esercito, perché il mondo ci odia”, spiega Dan Porat, un professore di Gerusalemme.
Anche i luoghi del ricordo possono essere molto diversi. Yad Vashem rappresenta gli ebrei come "estranei” in Europa che trovano riscatto in Israele. Nei musei ebraici europei gli ebrei invece sono presenti quale parte intrinseca del patrimonio e della cultura europea. Il professor Porat spiega di esserne rimasto scioccato: "Non avevo mai pensato agli ebrei come polacchi”.
In altri continenti, come l’America Latina, l’Africa, ma anche l’Asia, Auschwitz viene usato per paragonarlo ad altri eventi. Talvolta strumentalmente. Entro la fine dell’anno, in Cina, ci sarà la prima conferenza internazionale su questo tema. Si terrà a Harbin, città nord-orientale che una volta ospitava una ricca comunità ebraica. In realtà, però, lo stimolo è il parallelismo che si può trarre, a torto o a ragione, tra l’Olocausto e le atrocità di guerra giapponesi. L’esercito imperiale giapponese usò la popolazione per fare degli esperimenti sugli esseri umani; morirono circa 400.000 persone. In alcuni luoghi l’Olocausto arriva a mettere in ombra la storia del proprio paese. In un testo scolastico indiano si legge: "Immagina di essere un ebreo o un polacco nella Germania nazista. Siamo nel settembre del 1941 e vi è stato chiesto di indossare la stella di David”. Il titolo del libro è "L’India e il mondo contemporaneo”. L’anno scorso, 46.500 sudcoreani hanno visitato Auschwitz. L’unica eccezione geografica al crescente interesse globale per la Shoah è il mondo musulmano. Ma anche lì qualcosa si sta muovendo. Il Marocco potrebbe diventare il primo paese arabo a inserire la Shoah nel suo piano di studi.
Il diffondersi dell’attenzione non è però senza effetti collaterali. Ormai l’Olocausto è diventato un artificio retorico per indicare il male, soprattutto in America. Perfino in Israele si può scherzarci su. Una barzelletta popolare tra gli studenti israeliani chiede: perché Hitler si è suicidato? (Risposta: ha visto la bolletta del gas). Nelle scuole inglesi si usa l’Olocausto per parlare del bullismo. Forse la più grande minaccia per il ricordo degli ebrei uccisi dai nazisti, conclude l’autore dell’articolo, è la banalizzazione. Il dibattito è aperto. (economist.com)
27 agosto 2013. L’Italia digitale
"Ho qualche multa arretrata, un vecchio bollo moto e una tariffa dei rifiuti da pagare. Vado sul sito di Equitalia e provo a entrare con la mia password, debitamente conservata. Mi dice che no, la password è scaduta. Per aggiornarla serve tutto il pin, un numero di 10 cifre che all’epoca mi mandarono in due puntate, una in formato digitale e l’altra in formato analogico. Riesco miracolosamente a recuperare queste informazioni di anni fa. Cambio la password e intravedo il traguardo. Entro, ma "il sistema è momentaneamente non disponibile. Vi preghiamo di riprovare più tardi”. Ci dormo su e riprovo stamani. Stavolta si vede la mia posizione aggiornata. Ho in effetti queste tre cartelle da saldare. C’è un pulsante che dice: "Clicca qui per pagare”. E mi dà "errore”, con una lunga sfilza di numeri accanto. Magari è quella singola cartella, mi dico. Provo sulle altre, stesso problema. Provo da altri browser, fosse questione di compatibilità. Niente. Sotto la testata del sito c’è un claim che dice: "Per un paese più giusto”. Ambizione condivisibile. Non si potrebbe cominciare col rendere più facile la vita al contribuente?”.
(http://stagliano.blogautore.repubblica.it)
28 agosto 2013. Tante scuole statali, tutte diverse
Quest’anno gli studenti inglesi potranno scegliere tra 118 nuove scuole, tutte finanziate dallo Stato e tutte diverse. Oltre alle 93 "Free School” aperte da insegnanti, genitori e organizzazioni religiose, apriranno anche alcune scuole professionali molto orientate. Ma poi c’è la scuola elementare bilingue (tedesco-inglese), la scuola specializzata per seguire i bambini autistici; le scuole aperte per provare ad agganciare i bambini a rischio drop-out, la scuola steineriana…
La Free School di Hackney, nata su iniziativa del banchiere Andreas Wesemann, propone una scuola che non si pone limiti. Agli studenti è stata consegnata prima dell’estate una copia de L’"Odissea”. Al rientro a scuola dovranno parlarne. Tra le novità c’è la scuola professionale di Silverstone che addestra gli studenti in tutti gli aspetti del settore della corsa, offrendo la formazione tecnica necessaria per entrare nelle squadre che seguono i piloti di Formula Uno, e anche l’ospitalità. Le nuove scuole sono ospitate in vecchi palazzi di giustizia, stazioni di polizia, perfino in una stazione dei pompieri dismessa.
Il progetto di Michael Gove, il ministro dell’Istruzione, è ambizioso e nonostante le critiche e i dubbi avanzati dai Labour, perfino l’"Independent” gli ha dedicato uno speciale dal titolo emblematico: "Per una volta, Michael Gove ha ragione”, in cui elogia pubblicamente e "senza riserve” l’esperimento. In realtà, commenta il quotidiano, il partito laburista dovrebbe accogliere con entusiasmo il fatto che i genitori abbiano più scelta: per alcuni bambini, la disciplina old style, con le uniformi e l’insegnamento severo, ha prodotto risultati straordinari, ma per altri (specie i ragazzini più difficili, a cui molte delle nuove scuole si rivolgono) il modello accademico non è quello più opportuno. Anche indù, sikh e musulmani si sono mossi per aprire le loro scuole. Pure i creazionisti hanno avuto una chance, ma pare che le iscrizioni non siano andate come previsto. (independent.co.uk)
31 agosto 2013. Il mio nuovo capo
Alto quattro metri, un braccio saldatore e un occhio laser, Spitfire è il nuovo collega di lavoro di Michael Dawson-Haggerty, giovane ingegnere fresco di master all’istituto di robotica della Carnegie Mellon University. Nell’ultimo numero de "Le Scienze”, David Bourne, scienziato senior dell’Istituto, racconta di come si è comportato questo strano tandem in cui non era sempre l’uomo a comandare, ma talvolta anche il robot. Si è comportato bene: Michael e Spitfire hanno costruito il telaio dell’Humvee (veicolo militare usato in Iraq e Afghanistan) in 10 ore al costo di 1150 dollari, manodopera e materiali inclusi. La squadra di esperti saldatori usata come gruppo di controllo ha eseguito la stessa operazione in 89 ore. Spesa: 7075 dollari. Le ricadute economiche della possibilità di far lavorare in tandem uomo e robot sono enormi. La provocazione di David Bourne è di iniziare a pensare ai robot anche come capisquadra, non solo come schiavi. La prima accortezza sarà di fare robot che muovendosi non colpiscano accidentalmente le persone vicine. Già ora PR2, robot con due braccia e una testa (e tanti sensori) viene usato all’università per servire bibite e panini ai visitatori in contesti affollati e caotici. Ma poi questo robot deve anche saper "imparare”. Spitfire ad esempio ora sa scomporre un processo affidando i singoli passaggi a chi sa eseguirli in modo più rapido -uomo o robot che sia. Talvolta era Michael a risultare il miglior manovale; le 400 saldature invece le ha fatte -magnificamente- Spitfire, salvo un paio: non ci arrivava e allora ha richiamato Michael.
(Le Scienze)

Una Città n° 205 / 2013 Agosto-Settembre
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APPUNTI DI UN MESE
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EGREGIO SIGNOR LADRO...
Una Città n° 126 / 2005 Febbraio
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