Care amiche e amici,
appena arrivata in Nicaragua, paese dove vado con regolarità da tredici anni per lavorare al progetto di bambini e bambine, ragazzi e ragazze di strada Los Quinchos, fondato ventitré anni fa e tuttora diretto dall’italiana Zelinda Roccia -sarda, ci tiene molto a precisare- e da cui mancavo da due anni, una cosa mi ha colpito nella lunga e trafficata strada che dall’aeroporto porta in città: a ogni semaforo i venditori di agua helada, le venditrici di rosquillas, i ragazzini che lavano i vetri e i bambini che semplicemente chiedono un peso, erano sostituiti da due, tre poliziotti.
Vero che era già quasi sera e al buio il popolo del lavoro informale scompare per cedere il posto ai ladrones, che per altro, da soli o in compagnia, assaltano auto e pedoni anche in pieno giorno e in pieno centro, ma tutto quello schieramento di polizia mi ha provocato un certo stupore. Stupore che, per motivi diversi, è aumentato alla prima rotonda: nella piazzola centrale un albero di Natale -e siamo già ad aprile- decorato con centinaia di lucine multicolori, rischiarava il buio profondo e illuminava i grandi manifesti con foto della sorridente coppia presidenziale Ortega-Murillo, che inneggia a un Nicaragua "cristiana, socialista y solidaria”.
Rimango molto perplessa, come ero rimasta altrettanto perplessa, per non dire peggio, della svolta religiosa, sottolineata anche da un vistoso crocefisso portato in vista sul petto, che Ortega aveva avuto già nel 2006 quando, per vincere le elezioni con il beneplacito della chiesa, cancellò l’articolo 165 del codice penale nicaraguense, che da più di cento anni garantiva alle donne il diritto all’aborto terapeutico. Ero a Managua in quei giorni: migliaia di femministe, donne di ogni età e ceto sociale, medici, rappresentanti dei diritti umani avevano circondato l’edificio della presidenza in un ultimo tentativo di bloccare il decreto. Niente da fare, il decreto passò e le donne sandiniste che lo avevano votato -sì, anche le donne sandiniste avevano votato a favore- furono costrette a uscire di nascosto, protette dalla polizia.
Da quel nefasto 26 ottobre del 2006 a oggi i medici che si trovano davanti a una donna che non può avere figli per problemi di salute o, peggio, se c’è una scala del peggio, davanti a una bambina incinta dopo una violenza sessuale, non sanno che cosa fare, perché, se la facessero abortire, rischierebbero la prigione. Questo in un paese dove dei 5.371 casi di violenza sessuale sulle donne nel 2012, 4.532 sono stati commessi su ragazze e bambine minori di 17 anni, e questo, ancora, in un paese che non raggiunge i sei milioni di abitanti, di cui una buona metà è emigrata, soprattutto negli Stati Uniti o in Costarica.
è strana la vita delle donne in Nicaragua: di fronte a una fascia femminile che occupa posti di grande responsabilità -è una donna il capo della polizia, la presidente della corte suprema; ci sono tantissime donne deputate, giudici, avvocatesse, giornaliste, imprenditrici, al punto che se si apre un telegiornale si vedono quasi più donne che uomini intervistate, quasi tutte tra i quaranta e i cinquant’anni, quelle che hanno fatto la rivoluzione, e c’è anche un forte movimento delle donne- esiste poi una fascia ben più grande che è esclusa da qualsiasi diritto e che non gode di alcuna protezione.
Donne che vengono picchiate, violentate, abbandonate, donne che hanno più di dieci figli da diversi uomini che le picchiano, le violentano, le abbandonano senza una lira. Sono i figli e le figlie di queste donne e di questi uomini quelli che fanno aumentare giorno dopo giorno il numero dei niños de la calle, i bambini di strada. Per tutelarle di più, l’anno scorso è stata emanata la legge 799 contro la violenza alle donne. Peccato che gruppi religiosi cattolici ed evangelici, avvocati e, sembra sottobanco, anche alcuni deputati che pure l’hanno votata, ne stiano oggi richiedendo la revisione. La ragione? Viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna. Non so quanti uomini abbiano denunciato casi di violenza su di loro, so che nel 2012 lo hanno fatto 35.000 donne, nei vari centri sparsi nel paese, gestiti principalmente da organizzazioni femminili, le uniche che si occupano delle donne e delle bambine violentate e maltrattate. Come so anche che, nello stesso anno, per 85 femminicidi ci sono state solo quattro condanne.
Bisogna tuttavia riconoscere al governo del "nuovo” Ortega di aver tentato, dal 2006 a oggi, di migliorare le condizioni di vita di queste donne e delle fasce sociali più povere. Gli investimenti su casa, salute e scuola sono stati notevoli, grazie anche al sostegno del governo venezuelano.
A moltissime famiglie povere sono stati regalati polli, maiali, vacche ma, come dice un adagio nicaraguense, "lo que nos no cuesta, hagamolos fiesta”, liberamente tradotto "se non dobbiamo pagare, sciambola”: polli, maiali e vacche sono stati spesso venduti a favore di fiumi di guaro, il rum dei poveri. Per questo ora polli, maiali e vacche vengono dati alle donne, che almeno non si ubriacano fino a cadere a terra come i machos nicaraguensi.
Girando per il paese si nota che le cose vanno un po’ meglio, molte strade sono state messe a posto, molte casitas in muratura hanno sostituito capanne di plastica e cartone, l’analfabetismo è diminuito e in molte zone è arrivato a zero, il Pil è aumentato del 5% e, se per il raccolto del caffè va male perché ettari e ettari di piante sono stati distrutti dalla roja, una malattia, in compenso c’è stata una grande crescita nel settore del tabacco: le esportazioni di sigari nicaraguensi, oggi considerati i migliori del mondo, dal 2006 al 2012 sono cresciute del 114%. Sono aumentate le zone franche dove americani, coreani e giapponesi producono tessuti: certo non portano indotto nel paese, ma hanno dato lavoro a molte persone. Anche se rimane un fatto: si investe molto di più in hotel di superlusso per pochi ricachones stranieri o in allevamenti di bestiame di altrettanti ricachones stranieri o locali, che arricchiscono poche persone, che non per creare reali posti di lavoro, tanto è vero che il lavoro informale rimane ancora su livelli altissimi, intorno al 70%. E che cosa succederà in futuro se i grandi finanziamenti dal Venezuela, che sicuramente in questi anni hanno portato molto ossigeno al paese, dovessero diminuire?
Comunque, se vedo una speranza in questo paese bellissimo, con due oceani, vulcani e montagne, uno dei laghi più grandi del mondo, cibo buono, pochi pericoli -il Nicaragua è il paese meno pericoloso dell’America Centrale- non è, secondo me, nel peraltro importante aumento del Pil, non è nei finanziamenti stranieri o nei soldi della cooperazione internazionale che in Nicaragua, per una tradizione che viene dagli anni della rivoluzione, sono parecchi. è nella forza e nella determinazione delle donne giovani, non solo di quelle che si sono laureate o stanno per farlo, ma di tutte quelle che, e non sono poche, lottano contro l’autoritarismo patriarcale, contro le relazioni maschiliste di potere per arrivare finalmente a uno stato di diritto, precondizione indispensabile per la costruzione di una società dove si affermi una piena giustizia sociale, politica, economica e culturale.
Le vedi per strada, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, sugli autobus, con le loro camicette immacolate, alla faccia dei 38 gradi, lo sguardo determinato, sicure di sé. è nella luce dei loro occhi il futuro del Nicaragua. Ed è anche nei loro uteri, non più disposti a mettere al mondo stuoli di figli indesiderati.
La mia speranza è in loro e anche in tutti quei ragazzi e ragazze che, salvati dalla strada o dalla violenza familiare, affrontano ora il mondo a testa alta. è in Egdelia, che da bambina andava a cercare giocattoli nella spazzatura per sé e i suoi fratellini e adesso sta finendo le superiori; in Lizbeth, che a sette anni vendeva l’acqua nei mercati portandosi in collo la sorellina neonata perché la madre le abbandonava per settimane, e adesso vuole diventare pediatra; in Jeffry, Rosa, Yahoska e in tutte le altre ragazzine come loro che si stanno riscattando da una vita indicibile e ora vogliono studiare. Ma la mia speranza è anche in Juan Carlos, che a cinque anni viveva già in strada, sniffava la colla e che adesso è un educatore de Los Quinchos e sogna di studiare ingegneria aeronautica; in Alberto, che rubava e usava il crack e ora è coordinatore de Los Quinchos; è in Berman che a quattro anni andò in strada con suo fratello di nove e ora sta studiando ingegneria meccanica a Buenos Aires e che, davanti alla richiesta della sua ragazza di fare un figlio ha detto no, "perché sono stato un bambino di strada e voglio avere un figlio solo quando sarò in grado di dargli una vita degna”.
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