Cari amici, cari amici dell’associazione Pro-Europa e del comitato del premio Alexander Langer, Signor Presidente, amiche africane, buongiorno. Dalla Bosnia al Ruanda passando per l’Algeria, questo è il periplo che ci fa compiere il premio Alexander Langer da tre anni. Questo viaggio, ahimé, non è quello di Alice nel paese delle meraviglie, e a questo proposito, Alice può essere algerina o ruandese? E’ una domanda alla quale non è facile rispondere. Il Ruanda, la Bosnia, l’Algeria, quali sono i punti in comune? L’informazione standardizzata ci risponderebbe così: stragi, orrore, barbarie alle porte del terzo millennio, e questo è vero. Ma permettetemi di ricordare altre cose non meno vere.
Per prima cosa davanti al dramma bosniaco l’Europa è diventata cieca: lo ha fatto volontariamente? Per tre anni, perché? La ragione del perché si trova in una riflessione e in un dibattito che sembrano non essere più di moda; come algerina non posso impedirmi di fare la riflessione seguente. In che modo l’Europa, che non ha saputo risolvere un problema nel cuore dell’Europa, può detenere la chiave della soluzione dei problemi che sorgono in Africa o in Asia? In secondo luogo, la percezione che continua ad avere l’Occidente del dramma algerino ci ricorda purtroppo che le trappole culturaliste sono sempre tese. In altri termini: come può l’Europa accettare che l’America e gli americani possano difendersi con qualsiasi mezzo, compresi i bombardamenti, contro il terrorismo integralista e considerarlo come un flagello mondiale quando colpisce gli Stati Uniti? E nello stesso tempo rifiutare di riconoscere lo stesso diritto alla autodifesa al mio popolo, agli algerini?
Forse che noi algerini siamo geneticamente più adatti degli occidentali a vivere o a sopravvivere all’ombra dell’integralismo e del suo braccio armato?
In terzo luogo: il caso del Ruanda è una delle grandi macchie nella coscienza dell’umanità civilizzata. Centinaia di migliaia di civili sono stati massacrati senza che nessuna forza di dissuasione sia andata in loro aiuto. Lo spettacolo macabro della barbarie ha forse paralizzato il mondo civilizzato a questo punto? Yolande ha ragione di ricordare che in termini di barbarie o di genocidio, l’Europa è la madre che ha generato la cosa peggiore, la shoah. Quando verrà il giorno in cui l’Europa imparerà a guardare il mondo meno abbiente con gli occhi della sua stessa memoria, delle sciagure e delle sofferenze?
Per quel che mi riguarda, io donna algerina, dalla mia sofferenza e da quella dei miei cari traggo la forza, l’umiltà e il rispetto per guardare ed ascoltare Yolande e Jacqueline, e la loro storia è lungi dall’avere finito di offrirmi insegnamenti. Yolande e Jacqueline mi dicono che la resistenza paga. Yolande non è solo una sopravvissuta, è una resistente che ha vinto le forze della morte. Mi dicono che la libertà esiste anche nei momenti estremi: Jacqueline si è comportata da essere libero e degno; nel momento in cui la sua comunità è sprofondata nella pazzia mortale è rimasta libera scegliendo di fare di tutto per salvare la vita di Yolande.
Jacqueline mi ricorda quella minoranza di francesi sotto l’occupazione nazista che fece la scelta di salvare la vita a dei bambini ebrei nel momento in cui la maggioranza in Francia preferiva pensare come disse Simone de Beauvoir: "La Francia riappacificata dai nazisti non è meglio di una Francia in guerra?". Oggi quella minoranza di francesi coraggiosi, quelli che si comportarono come Jacqueline, sono definiti "i giusti", mentre quella maggioranza ebbe sia la guerra che il disonore. Yolande e Jacqueline mi dicono anche che le donne hanno un potere e che questo potere è quello della vita. Voglia Iddio che le donne africane facciano in modo che il dramma del Ruanda e quello dell’Algeria svelino tutti i loro segreti, ripeto tutti i loro segreti, cioè anche quelli che riguardano degli interessi niente affatto africani. A Yolande e a Jacqueline dico: grazie di esistere, grazie per aver fatto della speranza la nostra malattia e grazie ad Alexander Langer per avermi permesso di conoscervi.