Cari amici,
sono a Shanghai, che rimane una delle mie città preferite in Cina, malgrado continui a perdere ogni giorno pezzi del suo passato, con case antiche che vengono distrutte per far spazio a nuovi progetti immobiliari, o palazzi pieni di carattere che vengono rinnovati in modo talmente aggressivo da sembrare solo degli involucri lucidati spogliati tanto dei loro interni che della loro architettura -per non parlare di quello che rimane dell’Expo 2010, che non è che mi piaccia molto. Il quartiere centrale di Jingan, per esempio, oggi è quasi del tutto moderno, a parte qualche casa con linee anni Venti, che spunta da incroci trafficati, o qualche cancello in ferro battuto che dà accesso ad un intero isolato, come era nella vecchia Shanghai. Prende il nome da un grande tempio buddhista tutto dorato, restaurato con un certo spaventoso entusiasmo, dietro al quale stavo passeggiando a caso, sfidando una pioggerella fastidiosissima che non smetteva da giorni, quando mi sono ritrovata a passare davanti all’abitazione di Zhang Ailing, la scrittrice che molti qui chiamano la "Virginia Woolf cinese”.
È un’esagerazione, però era davvero una grande autrice: in italiano, di suo, potete trovare "La storia del giogo d’oro”, e la novella "Lussuria”, da cui è stato tratto anche un film, "L’amore arreso” e anche altro. Tutta emozionata dalla sorpresa ho cominciato a fare mille foto -venute tutte un po’ grigie dato che la luce era orribile- piantandomi anche nel mezzo dell’incrocio per avere una visione sgombra dell’edificio. Purtroppo però, per quanto si tratti di una scrittrice molto celebrata, studiata, amatissima in particolare dai giovani intellettuali, sulla sua ex-dimora di Shanghai c’è appena una placca che dice che qui abitò la grande scrittrice, senza nemmeno indicare a quale piano. Sarebbe stato bello trovarci un museo, di sicuro, magari un piccolo negozio con l’opera omnia in una bella edizione ben curata, comunque l’essere incappata nell’abitazione di Zhang Ailing mi ha fatto molto piacere, e lì per lì mi sono accontentata.
Poco più in là, invece, al n. 81 di via Yuyan, ho trovato una piccola casa-museo più o meno coeva con quella della scrittrice: la ex-residenza di Liu Changseng, un eroe rivoluzionario che negli anni 20 era il vice segretario nazionale del Partito Comunista Cinese, appena fondato. La storia della casa è curiosa: prima, non era al n. 81, anche se quando ho chiesto ai guardiani (studenti volontari, che acquisiscono così un po’ di meriti politici che possono sempre tornare utili per fare carriera) c’era un po’ di confusione su quale numero civico avesse avuto in precedenza. Il fatto è che la casa del grande rivoluzionario, per far spazio a uno shopping mall, è stata spostata un po’ più in giù lungo la via, un mattone alla volta. Poi nel 2003, quando ormai lo shopping mall era ben costruito e tutta la via aveva l’assetto che piaceva ai pianificatori di Shanghai, ecco che la casa di Liu è stata trasformata in un museo, al terzo e quarto piano, che sfoggia perfino un bel cartello all’ingresso che dice che questo è un "Luogo per l’Educazione Patriottica”, parte di una serie di siti dislocati in tutta la Cina che il Partito ha tramutato in luoghi propagandistici selezionati. Dentro la casa non vi sono più né i mobili che erano appartenuti a Liu, né, se è per quello, le stanze, che devono essere andate perdute nella ricostruzione post-shopping mall. Rimane dunque la facciata rifatta, mentre all’interno lo spazio più che al rivoluzionario stesso è dedicato al Partito Comunista, dato che a casa di Liu si tenevano degli incontri clandestini negli anni precedenti la presa del potere. Così sono state fatte varie ricostruzioni fittizie di scene che avrebbero potuto avere luogo in questa casa, con statue di cera di Liu e di alcuni altri noti membri del primo Pcc, seduti a dei tavolini che fumano, bevono tè o caffè, ciclostilano, e guardano mappe della Cina mentre ne preparano il futuro radioso.
Non starò a tediarvi con i dettagli della vita di Liu -anche perché nel museo non ci sono quasi- ma quello che mi ha colpito è un’altra cosa: in tutte le stanze, ci sono esempi della ferocia del Partito Nazionalista, e della sua campagna contro i comunisti, accompagnati dai mille astuti sotterfugi dei membri del Partito (incluso Liu dunque) per sfuggire alla sorveglianza, mantenere una rete di comunicazione segreta e in codice, organizzarsi malgrado i pericoli e gabbare la polizia, per perseguire i propri ideali -anti-imperialisti, anti-giapponesi, anti-nazionalisti, per l’eguaglianza e la giustizia sociale. Quando queste strategie fallivano, si finiva in prigione, ed ecco dunque la ricostruzione di una cella per metà inondata d’acqua, dove venivano messi i comunisti arrestati. Tenete presente che ho visitato il piccolo museo proprio nei giorni della rocambolesca fuga dell’attivista cieco Chen Guangcheng, di cui avete di sicuro letto sui giornali, e non ho potuto fare a meno di notare il parallelo fra il modo in cui si trovano costretti a muoversi oggi i dissidenti, e come lo facevano i comunisti prima della presa di potere. E in un certo senso questo mi ha rinfrescato la memoria su quanto il modo in cui il Partito oggi vede complotti ad ogni angolo e aborre ogni tipo di organizzazione che non controlla abbia a che fare con la sua storia, con il suo essere stato clandestino e sobillatore. E che oggi è terrorizzato all’idea di essere rovesciato da suoi possibili emuli moderni.
Ilaria Maria Sala
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