Nella stampa, alla radio e alla televisione non è stata sottolineata la svolta nei rapporti americo-israeliani che si è manifestata in modo clamoroso all’annuale Conferenza dell’Aipac a Washington nei tre giorni 4-6 di marzo.
Occorre precisare che l’Aipac (American Israel Affairs Committee) è considerata la terza lobby per importanza e forza operante a Washington, probabilmente la prima per influenza elettorale. Per l’importanza dell’elettorato ebraico e filoisraeliano, a partire da Clinton, i presidenti americani non hanno mancato di parlare all’annuale conferenza dell’associazione. Tra le lobby filo-israeliane la più numerosa e agguerrita, incondizionatamente pro governi Sharon e Netanyahu, l’Aipac si definisce America’s Pro Israel Lobby. "America’s” appunto perché americana, niente affatto esclusivamente ebraica. La scheda stessa di adesione all’annuale conferenza politica (Policy Conference) dell’associazione dal 4 al 6 marzo, precisa con emozione (we are thrilled) i 19 autorevolissimi, potenti oratori che si succederanno sul podio e aggiunge che più della metà bipartisan dei senatori e un terzo dei rappresentanti della Camera sono particolarmente interessati all’evento. Hanno partecipato alla Conferenza più di 13.000 delegati, quasi il doppio degli anni precedenti. Una impressionante influenza sulla politica estera degli Usa.
Erano presenti Obama e Leon Panetta (segretario alla Difesa); Shimon Peres (ad aprire la sessione) e Benjamin Netanyahu: non solo il governo, per sua natura transeunte, anche lo Stato.
Come previsto, l’argomento dei discorsi è stato il rapporto strategico degli Usa con Israele nei confronti dell’Iran. Dopo Peres, rivolto alla gigantesca e mal disposta platea (applausi di cortesia), Obama precisa che le due nazioni concordano nel ritenere l’Iran un pericolo per la pace, per cui non deve disporre di armamento nucleare. Non dubita inoltre dell’efficacia del progressivo aumento (continuing increase) delle sanzioni all’Iran decise dalla comunità internazionale per convincere gli ayatollah ad aprire agli inviati dell’Agenzia Atomica (Iaea) gli impianti nucleari nel paese per accertare che non siano avviati programmi a fini militari.
Obama non esclude un intervento militare: "ogni opzione rimane sul mio tavolo. Tuttavia crede con fermezza rimangano opportunità di risolvere diplomaticamente la questione. "Per di più, come presidente e supremo comandante ho una profonda preferenza (deeply-held preference) per la pace anziché per la guerra… Per il solenne impegno con il popolo americano userò la forza solamente quando richiesto dalle condizioni e dalle circostanze”. Precisazioni sgraditissime ai delegati. Nel gelo dell’uditorio enfatizza che "noi tutti preferiamo” una soluzione diplomatica della sfida con l’Iran. Evita eloquentemente di impegnarsi in un intervento militare qualora Israele decidesse un raid preventivo.
Non c’erano dubbi sulla certezza di Netanyahu di poter convincere Obama ad avallare la propria convinzione di dover attaccare subito militarmente l’Iran, in occasione dell’assemblea di più di 13.000 americani. I lettori di "Una Città” (n. 189, novembre 2011) conoscono la consapevolezza di Netanyahu sul potere di condizionamento della politica estera statunitense esercitato dai governi israeliani. Convinzione fondata. È noto l’appiattimento di Bush su Sharon, il quale soleva dire "la politica estera degli Stati Uniti si decide a Gerusalemme”. Lo stesso Obama ha subìto da Netanyahu la programmata elusione di un accordo con i palestinesi sulla base di ‘una terra, due Stati per due popoli’.
Se non che il programma della conferenza prevedeva ovviamente che dopo Peres parlasse Obama.
Egli riceve Netanyahu nella mattinata successiva alla Casa Bianca, poco prima che il primo ministro israeliano parli all’Aipac. Nessuno dubita che intenda chiedere al Presidente d’intervenire militarmente, qualora Israele procedesse autonomamente contro l’Iran. Obama non deflette da quanto dichiarato di fronte alle migliaia di delegati dell’Aipac il giorno precedente. Divergenza radicale sui tempi di un intervento armato e sulle conseguenze.
Netanyahu non si contiene dal reagire, osannato dai delegati dell’Aipac. Accennati i comuni propositi in politica estera, presto afferma, con evidente allusione al presidente americano, di trovare "sorprendente che certa gente rifiuti di rendersi conto che l’obiettivo dell’Iran è quello di realizzare armi nucleari”. Chiarissimo prosegue: "Lo Stat ...[continua]

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