C’è aria di tempesta sulla Primavera araba del 2011. Le rivoluzioni in Tunisia, Giordania, Egitto e altrove sono apparentemente sprofondate in un limbo, mentre gli attivisti cercano di tradurre gli ideali democratici in realtà istituzionali. Queste rivoluzioni anti-autoritarie hanno fatto seguito alla rivolta "verde” in Iran, che ancora cova sotto la cenere. Hanno travalicato le frontiere nazionali, sfidato le nozioni di identità unica, e fatto esplodere l’assunto razzista e paternalistico alla base del concetto un tempo tanto popolare di "scontro di civiltà”. Sono sorti però degli ostacoli al futuro democratico che meritano più attenzione di quanto non ne abbiano avuta dai media tradizionali. La Primavera araba è stata contraddistinta dalle rivolte spontanee, dalla mancanza di leader carismatici, dall’esuberanza giovanile, e dal disprezzo verso le forme più tradizionali di disciplina e organizzazione.
Questo è quello che ha reso queste rivoluzioni così attraenti. Gli ostacoli istituzionali alla democrazia però richiedono risposte istituzionali: mostrare al potere la verità non è più sufficiente. Le possibilità di successo ora si basano sull’organizzazione del potere da parte degli ex-rivoltosi e sulla loro abilità nel gestire le forze armate, la burocrazia, le istituzioni religiose e l’economia globale.

Come noto, Max Weber scrisse che la fattibilità di qualsiasi Stato poggia sul suo legittimo monopolio dei mezzi di coercizione. Le forze armate rimangono dunque il punto centrale: le organizzazioni paramilitari non sono solo una minaccia per la stabilità, ma anche per il commercio e  per l’esercizio liberale della legge.
E' dunque necessario guardare oltre le barbare repressioni armate contro i dissidenti in ­Bahrain, Libia, Siria e Yemen. Quali che siano i nuovi Stati democratici che emergeranno nel Medio Oriente, dovranno assolutamente impedire che i militari e la polizia possano agire come agenti autonomi negli affari politici. Capire come reagiranno le forze armate alla necessaria riduzione dei loro privilegi e benefici è uno dei fattori chiave.
Il Presidente Hosni Mubarak vantava un esercito che era il più grande dell’Africa e, con 500.000 arruolati, di gran lunga il più importante datore di lavoro in Egitto. I militari occupavano un posto di riguardo nella società egiziana. I suoi generali, è cosa nota, traevano vantaggi dalla corruzione dello stato e il budget annuale dell’esercito, ben oltre due miliardi di dollari l’anno, assorbiva risorse che si sarebbero potute spendere meglio in un gran numero di servizi di welfare, incluse la salute e l’igiene.
Quello che è vero per l’Egitto è sostanzialmente vero per il resto del Medio Oriente. Ridurre i numeri di un apparato poliziesco e militare sovradimensionato è la precondizione per uno stato sociale liberale. La possibilità di una reazione da parte delle forze armate nei confronti dell’incipiente ordine repubblicano è quindi molto reale. Ma vi sono altre opzioni. I militari della Tunisia hanno scelto di aiutare le forze democratiche che cercano di organizzare le elezioni in breve tempo. Questo genere di azioni aumenterà senz’altro il rispetto per le forze armate. Ed è un avvenimento di una certa importanza. I militari non hanno legittimità politica di per se stessi; i loro leader mal si adattano alla gestione delle questioni economiche; i suoi membri possono senz’altro essere utilizzati per scopi più utili nella società civile; e i loro interessi futuri possono tranquillamente essere in conflitto con quelli della vecchia nomenclatura e del potere religioso della Moschea.
Le monarchie tremano in Bahrain e persino in Arabia Saudita. Re Abdullah II di Giordania ha acconsentito alla richiesta di un parlamento eletto in maniera più equa. Se e quando avranno luogo delle elezioni credibili, la questione è quale forma prenderanno e quale sarà la struttura del nuovo Stato. L’esercizio arbitrario del potere, le forme labirintiche di gerarchia, la corruzione e il nepotismo erano i marchi di fabbrica del vecchio ordine e della sua autoritaria nomenclatura. La mancanza di libertà civile, di giustizia, di trasparenza e dell’esercizio liberale della legge sono state -assieme alla mancanza di opportunità economiche- forse la ragione principale di rivolta nel corso della Primavera araba. Il pensiero di una nuova nomenclatura però spesso genera sentimenti di incertezza. I più conservatori tendono a pensare che solo i reggenti del vecchio regime sappiano ...[continua]

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