E’ arrivato il momento di cominciare a "immaginare” un vero Nuovo Medio Oriente.
Perduta la speranza di un processo di pace (se mai ce n’è stato uno), di fronte a un’Occupazione che produce violenza e sofferenza in ogni direzione, gli abitanti di Palestina e Israele sono piombati in un fatalismo disperato. E’ proprio in una situazione come questa, quando non si scorge più alcuna via d’uscita, che s’impone la necessità di una prospettiva nuova e allo stesso tempo di una soluzione pratica, se non altro per dissipare l’opinione quasi mistica, oggi tanto diffusa, che il conflitto sia insolubile.
Mentre l’Occupazione e la repressione s’intensificano, hanno cominciato a farsi strada pensieri che prima non sarebbero stati concepibili. E se Sharon avesse vinto? E se l’Occupazione fosse davvero irreversibile? E se la soluzione dei due Stati, così fortemente sostenuta dalla sinistra israeliana, non fosse più realizzabile, a meno di accettare come legittimo "Stato” palestinese un bantustan frammentato su piccole porzioni della Cisgiordania? Quando l’Occupazione raggiunge una massa critica e i Territori occupati risultano incorporati nel tessuto delle aree urbane e nel sistema delle superstrade di Israele, è difficile immaginare una forza in grado di riportare indietro la presenza di Israele fino al punto in cui potrebbe emergere uno Stato palestinese autosufficiente. Se la soluzione dei due Stati viene meno, come muoverci per evitare l’apartheid o il trasferimento dei palestinesi fuori dal nostro paese?
Il Dipartimento per i Negoziati dell’Olp ha recentemente reso noto sul sito www.nad-plo.org un documento in cui si propone che i Palestinesi accettino il "dato di fatto” che esiste un solo Stato, e rivendichino cittadinanza e parità di diritti: uno Stato laico e democratico che nascerebbe a dispetto del suo creatore, Sharon. Altri hanno proposto uno Stato binazionale, ma la probabilità che Israele accetti questa proposta è più o meno uguale a quella di mettere fine all’Occupazione. "Alternative Visions for Peace”, un gruppo Palestinese-Americano con sede all’Università del Wisconsin, ha reso pubblico un piano (www.ap-agenda.org) basato sull’idea di una federazione israelo-palestinese.

E’ venuto il tempo, nel periodo più buio mai conosciuto da entrambi i popoli, di iniziare a cercare una via d’uscita. Dobbiamo elaborare una nostra mappa di percorso e seguirla instancabilmente, perché rimanere aggrappati a "soluzioni” superate non aiuta nessuno. Perseguire vecchi rimedi che ignorano la realtà attuale può risultare consolante, ma è il massimo dell’irresponsabilità.
Perché dovremmo aspettare che sia Bush a presentarci una mappa? Perché permettere a Sharon, a Peres e agli altri d’imporci la nostra realtà? L’attivismo funziona, la protesta va bene, la resistenza è necessaria, ma senza un piano, una via d’uscita, una mappa di percorso, e senza una strategia per realizzare tutto ciò, le nostre attività non hanno alcun senso.
Dato che ci troviamo nella fase in cui dobbiamo proporre idee e tentare di affrontare un conflitto che sembra non debba avere mai fine, con la rovinosa spirale di violenza, morte, sofferenza e repressione, ho pensato di gettare anche i miei pensieri nel calderone. Vorrei che contribuissero alla nascente discussione sulle possibilità future, ma che non rimanessero un puro esercizio accademico. Dovremmo passare rapidamente a dare alle nostre analisi la concretezza di piani e strategie d’azione.
Io prospetto un processo in due fasi che incorpori lo Stato israeliano e lo Stato palestinese in una confederazione regionale costituita da tutti i paesi dell’area circostante -Egitto, Palestina, Israele, Giordania, Siria e Libano-, con la possibilità di un’ulteriore espansione futura. E’ un approccio di cui non si è discusso molto in passato, ma a me sembra che offra una direzione di pensiero promettente.

Da dove iniziare
Cominciamo col chiederci quali esigenze e dinamiche generali vanno prese in esame per affrontare un processo di pace, di riconciliazione, di ristrutturazione politica e di sviluppo che non riguardi esclusivamente Israeliani e Palestinesi, ma coinvolga l’intera regione. Le soluzioni proposte devono tener conto dei processi dinamici di adattamento e dei problemi strutturali di "idoneità”. Qualsiasi soluzione politica praticabile deve dunque prendere in considerazione:
* Le esperienze, le narrazioni, le rivendicazioni e i bisogni dei principali gruppi della regione - ...[continua]

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