“Spero quindi ancora nella bontà di Dio”. Il signor Attilio non ha perso la fede, ma per la prima volta con tono sommesso alza la voce. Sembra che rivolgendosi a Dio lo avverta che la sua fiducia nella bontà dell’Altro sta passando una prova durissima. Quella di aver smarrito un figlio che era “la luce dei suoi occhi” e che ha il presentimento di non rivedere più.
Immediatamente sopra annotava la fine del fascismo, ma senza alcuna gioia. Per lui iniziava allora il terribile conto alla rovescia verso la certezza che suo figlio non sarebbe tornato. E fu così per tanti in Europa, alla fine della “terribile guerra di distruzione”. E la loro angoscia fu come sommersa, scomparve nella gioia generale, quella gioia che loro non potevano condividere anche se più di tutti l’avrebbero dovuto.
Siamo al 26 aprile del 45, alle ultime pagine di un diario iniziato l’8 settembre del 43. E’ il diario di un padre che, non in perfetta salute, benestante, non esitò più di due giorni a lasciare tutto perché preoccupato per il figlio ventiquattrenne. Non si era sbagliato il signor Attilio e non si darà pace quando in seguito moglie, figlio e governante, per una premura comprensibile nei suoi confronti, gli nascosero quello che avevano sentito annunciare alla radio: l’inasprimento delle misure antiebraiche. Lui forse avrebbe potuto prendere di nuovo la decisione giusta: far allontanare il figlio verso Firenze.
E’ il diario di un uomo che in quella tremenda bufera restò profondamente pio. Ridottosi a dormire in una cantina senza finestre e senza lenzuolo il signor Attilio pensa solo che finalmente potrà mettersi i filatteri alle braccia per dire le sue preghiere. E dopo essersi lasciato esaurire per non mangiare il cibo impuro e quasi costretto dal medico a cibarsi, appena in forze tornerà impaziente a seguire la legge del suo Signore. O quando scrive che digiunerà per “implorare di poterlo rivedere in breve”, il suo “benedetto” Gaddo. Ma è il 7 dicembre 45 e sono esattamente tre mesi che Gaddo è stato fucilato.
Ed è un diario che ci racconta di tanti italiani, non di tedeschi. Di carabinieri onnipresenti, di fascisti che vanno a vedere le “bestie rare” del campo di concentramento, di suore che rifiutano una minestra. E poi di un medico provinciale, della cui visita Gaddo si dice in attesa in ogni lettera, che alla fine scriverà su un foglio “abile” al concentramento, certo non immaginando neanche lontanamente di stare firmando ben altro che un semplice certificato medico. O di proprietari dell’appartamento affittato, gente affabile all’inizio del diario, ma che alla fine, per aver custodito alcuni valori,  chiederanno un riscatto di 40 gr. d’oro. Ad un padre che ogni giorno sta perdendo di più suo figlio. O del “famigerato” che, dopo aver arrestato il figlio, se ne torna libero in paese sotto gli occhi del padre. Finito più tardi in carcere, per uscirne invocherà il perdono del signor Attilio, dichiarandosene “devotissimo”, non senza aver prima denunciato un Maresciallo ed essersene dichiarato “esecutore d’ordini”. Dall’ultimo segretario di Fascio di paese italiano al responsabile della soluzione finale in Europa solo quelle parole: esecutore d’ordini.
E’ un racconto della banalità del male, di quella “normalità del male” di cui ci ha parlato Deaglio. A volte, forse, sarebbe bastata una cosa altrettanto banale, scrivere “inabile” su un certificato, e forse oggi Gaddo sarebbe un signore di 70 anni con dei figli e un vecchio padre avrebbe finito i suoi giorni consolato.
Ma tant’è. Così andava il mondo nel 44.
Continuerà a cercare, il vecchio padre. Invano. Non avrà la consolazione di sapere la verità. Nessuno lo metterà sulla traccia di quei loculi segnati dalla P e dalla X del cimitero di Forlì.
Una signora amica seguirà le ultime tracce che portavano al carcere di Forlì.
Da Urbino Gaddo era stato trasferito a Forlì insieme agli altri ebrei stranieri, fra cui il giovane Arthur Amsterdam con cui aveva fatto amicizia, e che furono tutti fucilati il 5 e il 17.
E fa impressione la gelida prosa con cui il questore di Forlì, pochi mesi dopo la liberazione, risponde a un padre ebreo disperato che suo figlio fu prelevato da SS tedesche il 7 settembre per destinazione sconosciuta. Ma è impossibile che almeno non la sospettasse, la destinazione, perché varie testimonianze avevano riportato che le fucilazioni, in quei dieci giorni, erano state più di due e perché la questura non poteva non sapere che all’esumazione d ...[continua]

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