8 agosto 2008
Nei prossimi giorni, salperò da Cipro con una delle imbarcazioni del movimento Free Gaza per raggiungere Gaza. La nostra missione è rompere l’assedio israeliano, che è del tutto illegale e costringe un milione e mezzo di palestinesi a condizioni di vita indegne: imprigionati nelle proprie case, vulnerabili alla brutale violenza dell’esercito, costretti a rinunciare alle fondamentali necessità umane, deprivati della dignità e dei diritti umani basilari. L’assedio israeliano viola uno degli assunti fondamentali del diritto internazionale; l’inammissibilità di azioni che arrechino sofferenza alla popolazione civile.
La nostra traversata serve inoltre a smascherare il tentativo israeliano di respingere la responsabilità per quanto sta accadendo a Gaza. La pretesa israeliana che non ci sarebbe alcuna Occupazione, o che questa avrebbe avuto termine con il piano di “disimpegno” è palesemente mendace. L’Occupazione viene definita secondo il diritto internazionale come esercizio del controllo su di un territorio. Se Israele intercetterà le nostre imbarcazioni, sarà evidente che agisce come Potenza Occupante che esercita il controllo su Gaza. L’assedio, poi, non ha nulla a che fare con il concetto di “sicurezza”. Similarmente ad altri elementi dell’Occupazione sul West Bank e su Gerusalemme Est, dove Israele cinge d’assedio città, villaggi, paesi ed intere regioni, l’assedio di Gaza è di natura fondamentalmente politica, volto com’è ad isolare il governo palestinese, democraticamente eletto, e a fiaccare la sua capacità di resistenza ai tentativi israeliani che vorrebbero imporre un regime di apartheid sull’intera regione.
Ecco perché io, ebreo israeliano, ho avvertito la responsabilità di unirmi a questo viaggio per rompere l’assedio. Come persona che persegue la strada di una pace giusta con i palestinesi, e che comprende (nonostante quello che ci dicono i politici) che questo popolo non è nostro nemico, ma è fatto di gente che aspira esattamente a quello cui aspiriamo noi, quello per cui combattiamo: l’autodeterminazione nazionale, non posso starmene con le mani in mano. Non posso più assistere passivamente alla distruzione portata avanti dal nostro governo contro un altro popolo, né posso restarmene buono mentre quest’Occupazione distrugge la fibra morale del paese. Farlo violerebbe la mia dedizione alla causa dei diritti umani, la stessa essenza della religione ebraica, la sua cultura e la sua etica, tutti elementi senza i quali Israele non è più uno Stato ebraico ma una vuota, per quanto potente, Sparta.
Israele ha certamente legittime preoccupazioni relative alla sicurezza, e non si può che condannare gli attacchi contro la popolazione civile di Sderot e delle altre comunità israeliane nei pressi di Gaza. In base alla quarta convenzione di Ginevra, Israele, in quanto potenza occupante, ha il diritto di controllare il flusso di armi per “necessità militari immediate”. Come attivista dedito ad una forma non violenta di resistenza, non mi opporrò se la marina israeliana vorrà ispezionare le nostre navi alla ricerca di armi, ma sarà l’unica cosa che ammetterò, perché Israele non ha alcun diritto di porre sotto assedio una popolazione civile, né di impedire a noi, privati cittadini che salpano acque internazionali, di raggiungere Gaza -specialmente dal momento in cui Israele sostiene di non occuparla più. Una volta che la marina israeliana si sarà assicurata che non rappresentiamo alcuna minaccia alla sicurezza, allora, ci aspettiamo che ci verrà permesso di continuare il nostro legittimo e pacifico viaggio sino al porto di Gaza.
La gente comune ha spesso giocato un ruolo decisivo nel corso della Storia, specialmente in situazioni simili, in cui i governi evadono le loro responsabilità. Il mio viaggio verso Gaza rappresenta una dichiarazione di solidarietà al popolo palestinese in un momento di sofferenza, ma contiene altresì un messaggio rivolto ai miei concittadini. In primo luogo, nonostante le dichiarazioni dei nostri governanti, una soluzione politica al conflitto esiste, come esistono partner validi per costruire la pace, come il Documento dei Prigionieri (Documento di Conciliazione Nazionale dei Prigionieri Palestinesi dell’11 maggio 2006), in cui tutte le fazioni palestinesi hanno ribadito la necessità di un accordo negoziato. Il fatto stesso che io, ebreo israeliano, sarò il benvenuto tra i palestinesi di Gaza, è una conferma di tutto ciò. ... In seconda istanza, ricord ...[continua]

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