Dino è nato a Sarajevo l’1dicembre 1990.
Abitava a Grbavica (il quartiere sotto controllo serbo dall’inizio della guerra) con i genitori (il padre, impiegato di banca, e la madre, professoressa di matematica) e la nonna. Con la guerra sono cominciati i problemi per la sua famiglia: perquisizioni da parte dei serbi nell’appartamento, che doveva essere sempre aperto per far entrare i soldati in qualsiasi momento, interrogatori del padre, ecc. Il 19 maggio 1992 Dino è riuscito, con la madre, a trasferirsi dall’altra parte della città, poiché, per motivi di salute, doveva essere ricoverato in ospedale. Dopo alcuni giorni anche il padre, attraversando il fiume di notte, è riuscito a raggiungere la famiglia. Si sono sistemati nel garage della casa dei nonni paterni. Il 15 luglio 1993 il padre di Dino è stato arruolato nell’esercito ed è rimasto ferito gravemente: una gamba gli è stata amputata sotto il ginocchio e l’altra ha perso il 50% delle sue funzioni. Anche la mamma di Dino, mentre si recava a visitare il marito in ospedale, è rimasta ferita, per fortuna in modo lieve. Della nonna materna, rimasta a Grbavica, non si sono più avute notizie, non si sa se è stata uccisa o se è morta per altre cause, comunque non si sa dove è sepolta. Anche il nonno di Dino era morto all’inizio della guerra, durante un bombardamento. Adesso Dino ha quasi sei anni, quattro dei quali di guerra: ha tanta voglia di giocare, di fare delle passeggiate e spera che il babbo potrà avere presto una protesi, per ricominciare una vita quasi normale.

Rubina è nata il 9 settembre 1982 a Sarajevo.
Sua madre Anda (croata), che ha ora 54 anni, è diventata cieca all’età di 10 anni, per una meningite. Lavorando in un ufficio per insegnare e aiutare gli altri ciechi a vivere nel mondo del buio, ha incontrato Sabit, il padre di Rubina, musulmano, che ora ha 74 anni, invalido della 2° guerra mondiale e diventato cieco dopo un’operazione agli occhi. Era il 1972, Sabit, ex ufficiale in pensione dell’esercito dell’ex-Jugoslavia e politologo, doveva così imparare a vivere in modo diverso. Rubina ha un fratello più grande, Goran (1978), eccellente allievo del Politecnico. Di solito, non parliamo della religione o della nazionalità dei ragazzi che aiutiamo, perché tutti i bambini sono uguali e tutti rappresentano la nostra ricchezza, ma in questo caso devo parlarne per spiegare tutti gli orribili momenti trascorsi da questa famiglia di Grbavica (il quartiere di Sarajevo nelle mani dei serbi dall’inizio della guerra e diviso dal resto della città fino al 20 marzo 1996). Conoscendo le terribili sofferenze degli abitanti non serbi di Grbavica, è un vero miracolo che la famiglia di Rubina sia sopravvissuta. Quando Grbavica fu chiusa, loro tentarono di scappare, senza riuscirci. Pochi mesi dopo l’inizio della guerra, il 7 ottobre 1992, durante un bombardamento, Rubina e la madre, che erano alla mensa pubblica per prendere qualcosa da mangiare, furono ferite entrambe gravemente. Fortunatamente, Anda aveva con sé la propria carta d’identità, e poiché il suo nome viene usato anche dai serbi, il dottore che prestò loro soccorso pensò che fossero serbe, così le mandò all’ospedale militare di Koran, vicino a Pale. Intanto il padre, che non aveva saputo niente di quanto era accaduto, andava con Goran per le strade di Grbavica, piene di cetnici armati fino ai denti, a chiedere notizie di loro. Finalmente, un anziano conoscente raccontò loro cosa era successo ed un amico serbo li portò all’ospedale di Koran. Rubina e la mamma sono rimaste lì 9 mesi. Raramente riuscivano a comunicare con i familiari. Una volta venne loro annunciato che sarebbero state uccise, ma quel giorno il generale Mladic si recò in visita all’ospedale militare con alcuni giornalisti stranieri e, per dimostrare come i cetnici fossero generosi e gentili, mostrò l’esempio della donna croata e della figlia musulmana che stavano curando nel loro ospedale. Così, per puro caso, anche quella volta riuscirono a sopravvivere. Intanto, a Grbavica, i soldati cetnici ogni giorno facevano irruzioni negli appartamenti, rubando e torturando le persone, portando via nonni e bambini. Sabit aveva paura anche per Goran e, con l’aiuto dei vicini, lo nascondeva in cantina, in solaio, sul balcone. Il direttore della scuola di Goran aveva falsificato i documenti dei ragazzi per cercare di salvarli. Tutti coloro che i cetnici hanno fatto prigionieri in quel periodo, con la promessa di scambiarli in seguito ...[continua]

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