Quello che mi sto domandando è che cosa ci mancherà di più con la scomparsa di Grazia, quale il vuoto maggiore che lei lascia morendo. A proposito di questo qualcuno, nei giorni della morte, ha parlato del “rispetto per gli altri” come della sua “caratteristica peculiare”. E’ un’indicazione giusta ma inadeguata. Anche sulla base dell’esperienza personale, credo che si tratti di qualcosa di più profondo: una capacità, davvero straordinaria, di mettersi negli altri. Senza prevaricazioni e senza espropriazioni e lasciando intatta l’identità propria e quella altrui.
E questa sua capacità di mettersi negli altri era ed è l’aspetto che mi colpiva di più anche come cristiano e chi mi conosce sa che lo posso dire senza essere sospettato di voler portare acqua al solito mulino. Come ciò si combinasse con la nettezza del giudizio e con l’assoluta mancanza di ogni compiacenza, Grazia era “una dura” in un certo senso, costituiva il fascino particolare della sua personalità, la sua diversità.
Un altro rimpianto riguarda il fatto che Grazia sia venuta a mancare proprio nel corso, nel mezzo di un’evoluzione che, in questi ultimi tempi, si stava profilando sempre più chiaramente nel suo lavoro: quel lasciarsi alle spalle, non dico il catastrofismo che è sempre stato alieno da lei perché piuttosto di spettanza di altri, di spettanza della destra, ma la protesta fine a se stessa, la denuncia per la denuncia, per andare alla ricerca di quanto di positivo, di propositivo, di buono, di altro, si cela o stia lievitando nelle pieghe della vita, non solo culturale, del paese. Ne fanno fede le sue interviste e anche voi di Una città ne siete buoni testimoni. Ebbene, se abbiamo voluto un po’ di bene a Grazia, se l’abbiamo amata per quello che era, questa è una lezione da non lasciar perdere.