Federico Bozzini, storico e collaboratore della Fim-Cisl di Verona, è prematuramente scomparso nel maggio scorso.
Alla sua collaborazione dobbiamo il dialogo tra Vittorio Foa e Carlo Ginzburg comparso sul n. 72 di Una Città, nonché l’intervista a Moreno Menini, componente del "serenissimo commando" che assaltò il campanile di San Marco, comparsa sul n. 75. Vogliamo ricordarlo pubblicando una sua riflessione presentata in un corso di formazione della Cisl regionale del veneto nel novembre 1995 e diffusa all’interno del sindacato.

La ripresa e la ricchezza
Passano i mesi, arriva la ripresa e mentre il resto dell’Italia soffre le pene dell’inferno occupazionali, la nostra economia si mette a tirare. E oggi troviamo il Nord-Est, il Veneto, le nostre provincie alla testa delle graduatorie per la produzione. Verona è la città più ricca d’Italia. Il che vuol dire fra le più ricche d’Europa, il che ancora significa che le valli dei Lessini e le Valli Grandi Veronesi sono equiparabili solo alla Silicon Valley. Non so se possiamo dire che il Veneto sia ancora bello. Certo è, e ce lo dicono gli altri senza che dobbiamo fare riviste per affermarlo, che il Veneto è ricco.
Fermiamoci un secondo su questa affermazione che per il momento e l’unica certezza che possediamo. Blocchiamo il "sì, ma..." che sembra uscire automatico. Limitiamoci al "sì". Farfugliando disappunti etici non chiariamo un accidente e soprattutto non riusciamo a formulare una descrizione della realtà che ci trovi d’accordo in due. E questo oggi deve essere il nostro unico obiettivo. Non possiamo concedere che la modesta capacità di ragionare che possediamo venga paralizzata dalla menata ammuffita contro la ricchezza senza cultura. Probabilmente alla fine riusciremo a fare i conti sia con la ricchezza che con la cultura. Ma alla fine. Dopo aver ben capito quello che come veneti siamo ormai divenuti.
Intanto chiediamoci: perché sputare sulla ricchezza senza cultura. La miseria senza cultura è forse più gradevole? Perché dobbiamo ritenere che sia meglio la povertà colta della ricchezza colta? Va benissimo la qualità, ma anche la quantità ha i suoi vantaggi. Un mio amico, riprendendo un’analisi di Nomisma e l’osservazione del leader maximo Prodi, ripete periodicamente con accenti profetici che non si può vivere ricchi e ignoranti per più di una generazione. E’ un’affermazione che fa colpo su quanti si ritengono colti, ma che non aumenta di un alunno le nostre scuole e che non fa perdere un’ora di lavoro alle nostre fabbriche. C’è poi una vibrazione malsana in questa denuncia. E’ come se guardando una persona che cammina e che ha messo avanti la gamba destra ci mettessimo ad urlare indignati: però ha lasciato indietro la gamba sinistra.

Il fatto è che chi lavora, non ha tempo di studiare. A meno di non avere un’idea molto bassa dello studio. Per pensare veramente serve molto tempo: anzi, tutto il tempo a volte non basta. Per far soldi è lo stesso. Biograficamente e storicamente le cose stanno così: o si fa una cosa o si fa l’altra. Per cui la contraddizione che si vede nel Nord-Est fra alta produzione di ricchezza e bassa scolarità è solo nella testa di chi guarda. Fra i due fenomeni c’è solo un onesto rapporto di causa ad effetto. I veneti oggi vanno poco a scuola perché vanno molto in fabbrica. Nel meridione, dove non ci sono fabbriche, i giovani, quando va bene, invecchiano a scuola.
Quale delle due situazioni è preferibile? Ricordandoci sempre che, comunque la pensiamo, i veneti hanno già scelto. Volendo capire qualcosa del mondo in cui viviamo, non è con i nostri gusti ma con quello che fa la nostra gente che dobbiamo fare i conti. Sputare sdegnati sul mondo che ci circonda non è mai una buona scelta, anche perché è l’unico mondo che abbiamo a disposizione.
La seconda riflessione possibile è che andare a scuola non aiuta a fare i soldi, non serve a produrre ricchezza, altrimenti i genitori veneti costringerebbero a randellate i propri figli in classe fino a cinquant’anni. Hai bisogno di un ingegnere spaziale, di un tecnico nucleare, di qualcuno che sappia le lingue ugro-finniche: li paghi. Totò Riina gestiva un impero multinazionale e sapeva fare con difficoltà la propria firma.

L’ennesimo errore dei veneti
C’è qualcosa di aggiuntivo che mi infastidisce profondamente in questa lagna contro la ricchezza senza cultura. Ed è il fatto che, non so perché, qualunque cosa facciano i veneti è sbagliata. Fino a poco tempo fa passavano ...[continua]

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