Allora che cosa fanno i pescatori che da anni reclamano giustizia e non riescono ad averla da chi dovrebbe darla: si ribellano? si mettono a tumultuare? rubano? commettono violenze?
Niente di tutto questo. Arriva Danilo in mezzo a loro e dice: “Voi non avete da mangiare: non avete di vostro altro che la fame. L’unica protesta che vi rimane è questa: la vostra fame. Siete abituati a digiunare, andiamo tutti insieme a digiunare sulla spiaggia del mare. Stiamo a guardare, digiunando, i contrabbandieri protetti dalle autorità, che continuano a far rapina del pesce che la legge vorrebbe riservare a voi. Consoliamoci insieme col nostro digiuno; mettiamo in comune questo nostro unico bene, la fame. E per essere più sereni, porteremo sulla spiaggia qualche disco e ascolteremo la musica di Bach”.
(Qualcuno ha sorriso su questo particolare della musica: non ha ricordato che anche nella prima guerra mondiale questo era il motto dei fanti inchiodati nelle trincee: “Canta che ti passa”).
L’eroismo di Danilo è questo: dove più la miseria soffocava la dignità umana, egli ha voluto mescolarsi con loro e confortarli non coi messaggi ma colla sua presenza; diventare uno di loro, dividere con loro il suo pane e il suo mantello, e chiedere in cambio ai suoi compagni una delle loro pale e un po’ di fame.
Questo intellettuale triestino, che se avesse voluto avrebbe potuto costruirsi in breve... una vita brillante e comoda in qualche grande città e una casa ricca di quadri e di libri, è andato a esiliarsi a Partinico nel povero paese rimasto impresso nei suoi ricordi di bambino, e si è fatto pescatore affamato e spalatore della trazzera per far intendere a questi diseredati, colla eloquenza dei fatti, che la cultura è accanto a loro, che la sorte della nostra cultura è la loro sorte, che siamo, scrittori e pescatori e sterratori, tutti cittadini dello stesso popolo, tutti uomini della stessa carne.
Estratti dell’arringa “In difesa di Danilo Dolci“, che Piero Calamandrei pronunciò il 30 marzo 1956 dinanzi al Tribunale penale di Palermo (“Volontà”, n. 3-4 - dicembre 1956)
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