Occhio per occhio
Dopo l’aggressione di Hamas del 7 ottobre 2023, diffusamente si imputa all’intervento israeliano su Gaza il criterio dell’“occhio per occhio”. In questo terribile caso, la citazione dell’“occhio per occhio” è del tutto impropria. È una clausola di Hammurabi e della Bibbia, poi del diritto romano (Lex talionis) completamente fraintesa: è usata come criterio di vendetta mentre è esattamente il contrario, imponendo una proporzione tra crimine e pena, un giudice terzo, il tribunale, e un termine di tempo che sancisce la chiusura del caso; mentre la vendetta può essere senza misura e non riguarda la terzietà del tribunale, ma anzi la resa dei conti tra due parti, quella che è offesa e quella che ha offeso, e innesca una sequenza di vendetta e contro-vendetta senza sancirne una fine (vedi anche Talmud di Babilonia Baba Kamma 82b-84a). L’uso frainteso di questi termini, che mette sotto accusa la Bibbia originale, cioè ebraica, è da ascrivere all’antigiudaismo di tradizione cristiana (da cui è meglio guardarsi, segnatamente in questo periodo), che contrappone la dismisura dell’amore cristiano alla misura giuridica ebraica.
L’intervento israeliano su Gaza è senza misura, senza conclusione attendibile, e cerca di evitare il giudice terzo (l’Onu, i tribunali internazionali, il diritto internazionale, l’opinione pubblica nel mondo).
L’azione del governo Netanyahu rifugge dalla terzietà dei tribunali. Anche dei tribunali israeliani: c’è un criminale conflitto di interessi di Netanyahu nella prosecuzione della guerra e della strage: finché durano, i processi previsti per Netanyahu sono sospesi a tempo indeterminato e il suo governo dura. C’è anche un criminale conflitto di interesse del governo e dei coloni israeliani nella guerra e nella strage: finché la guerra dura il governo dura, e dura l’offensiva contro i palestinesi della Cisgiordania per l’espropriazione di nuovi territori palestinesi.  

Antisemitismo
Razzismo e antisemitismo sono forme di essenzialismo: ogni nero o giallo o rosso o bianco avrebbero ciascuno una propria specifica essenza che prevale sulle differenze che attraversano il gruppo a cui appartiene. Così, per gli ebrei, il capitalista Rothschild e il comunista Marx sono due facce della stessa medaglia, come il finanziere Soros e l’ebreo depauperato e migrante. Ma l’antisemitismo ha caratteristiche proprie, come segue. Il razzismo è fobia del diverso, comprende anche l’antisemitismo, ma specifico dell’antisemitismo è invece la fobia del simile deviante. Il deviante è più perturbante del diverso: è fobia dell’“altro”, ma come alterazione del simile. Così il nazismo sperimentò lo sterminio a cominciare dai tedeschi con handicap, intesi come alterazione della loro stessa “razza”, prima di procedere allo sterminio degli ebrei, dei Rom e Sinti, degli omosessuali…
Il razzismo presuppone l’inferiorità dell’altro, l’antisemitismo presuppone anche un’occulta potenza degli ebrei. Nella storia della sindrome antisemita, si incrociano disprezzo e timore: il disprezzo, proprio della xenofobia e del razzismo, per una fantasmatica inferiorità (religiosa, morale, fisica, di funzione sociale), e il timore per una fantasmatica, occulta potenza ebraica, propria dell’accusa politica. Nell’epoca dei nazionalismi e del conflitto tra imperialismi, la diaspora ebraica è sentita come un impero occulto degli ebrei sparsi nel mondo. I Protocolli dei savi di Sion, la falsa “rivelazione” del complotto internazionale ebraico, diffusa all’inizio del Novecento dalla polizia zarista e assunta come riferimento dell’antisemitismo del XX secolo, sono un paradigma di questo stereotipo politico: complotto di un impero occulto per il dominio sul mondo, e in questo contesto ogni comunità ebraica in ogni paese sarebbe una cellula, una lobby che, per conto di un impero occulto, cerca di impadronirsi dei gangli vitali di ogni società per influenzarla e assumerne l’egemonia.
Dal presupposto della super-potenza ebraica globale deriva l’idea della responsabilità ebraica sui mali della storia globale. Dunque della sua minaccia, da cui il vittimismo proprio dell’antisemitismo: “Siamo minacciati, perseguitati dagli ebrei”; da cui l’idea sacrificale per l’ebreo come capro espiatorio del male storico.
Nella secolarizzazione degli ultimi tre secoli resta la traccia dell’imputazione di deicidio. Chi ha avuto la potenza di uccidere il Dio universale, ha la potenza di dominare la storia universale: dall’imputazione teologica all’imputazione politica. I Protocolli sono il paradigma dell’imputazione politica. L’antisemitismo moderno è in sostanza un’imputazione politica agli ebrei come corpo unificato, con l’artificio scientistico di concepirli e classificarli come “razza”, anch’essa occultata nel sangue. E questa idea degli ebrei come corpo unificato si sarebbe resa palese nell’esistenza di Israele come Stato-guida degli ebrei. L’appello del pan-movimento sionista verso lo Stato-guida Israele ha qualche affinità con l’appello del già pan-movimento comunista verso lo Stato-guida sovietico.
Viceversa, l’accusa di comunismo che le attuali destre lanciano contro chi le contrasta ha, nella struttura dell’immaginario, qualche affinità con l’immaginario antisemita.

Devianza, disprezzo e timore
Le responsabilità dello “Stato ebraico” nel massacro di Gaza catalizzano il riemergere dell’antisemitismo come tradizione. Il pregiudizio si risveglia e si incrocia col giudizio su ciò che è in atto. Alla globalizzazione e alle mescolanze e contaminazioni che produce, reagisce l’ossessione per le identità contrapposte, culturali, religiose, nazionalistiche e di genere. Di queste fobie l’antisemitismo è un prototipo. E il diritto al massacro rivendicato dalla destra di Israele vi contribuisce.
C’è una crescita dell’antisemitismo nel mondo e c’è una crescita della misoginia “patriarcale” nel mondo. Dai paesi a egemonia islamista come l’Iran o l’Afghanistan talebano che sancisce le lapidazioni pubbliche delle “adultere” per contrapporsi alle influenze occidentali, dagli stupri (effettivi e dimostrativi) di Hamas del 7 ottobre, alle regressioni in Occidente sul diritto di aborto, ai femminicidi. È una reazione di genere trasversale ad ogni cultura. Ora, tra giudeofobia e misoginia c’è una affinità in quanto fobie della devianza, e in quanto combinazione tra disprezzo e timore. La misoginia disprezza la donna come devianza dal modello gerarchico maschile dell’umano, e teme la donna per la potenza della sua necessità e seduzione. Disprezzo e timore erano ad esempio il motore della persecuzione delle streghe, come della persecuzione degli ebrei.
Consideriamo quest’altra affinità storica tra giudeofobia e ginofobia: le correnti antisemite nella Francia dell’Ottocento erano sommamente allarmate dall’emancipazione civile degli ebrei sancita dalla Rivoluzione e dal Codice Napoleonico: temevano l’ebreo civilmente assimilato perché era diventato un concorrente sociale nell’economia, nelle professioni e nella cultura. Temevano l’ebreo irriconoscibile per segno esterno come la rotella sull’abito, e stabilirono il contrassegno interno, cioè il sangue ossia la “razza”. L’emancipazione civile delle donne, che le libera dalla relegazione nel privato e le fa concorrenti sociali, ha caratteri affini e reazioni affini. Seppure le donne non siano ridotte a una “razza” invisible, ma piuttosto a una “specie” visibile. Anche dove il niqab le vorrebbe invisibili, rendendo pubblicamente quanto mai visibile il loro essere proprietà privata di una famiglia e di un uomo.

Diritto alla difesa
Difendersi è un diritto, se non un dovere. Questo vale universalmente, e vale per gli israeliani come per i palestinesi.
Se il diritto alla difesa implica lo sterminio indiscriminato di gran parte della popolazione nel territorio da cui proviene l’aggressore da cui bisogna difendersi, vuol dire che la difesa ricorre al terrorismo, e soprattutto che la difesa è colta anche come occasione per altri obiettivi che vanno oltre alla difesa. Nel caso di Gaza, la soluzione finale della questione israelo- palestinese: sia nel senso in cui la intende Hamas, come soluzione finale inflitta a Israele, sia nel senso in cui la intende la destra di Israele come soluzione finale inflitta ai palestinesi. Pulizia etnica per gli uni o per gli altri.

Sionismo e antisionismo
L’antisionismo è una tipica imputazione politica agli ebrei in generale, quando non fa distinzioni tra sionismo, ebrei, diaspora e Israele. In questo senso è essenzialista con forti venature antisemite, volte a non riconoscere legittimità agli ebrei e specificamente a Israele. In quanto essenzialista, non riconosce la storicità del fenomeno sionista. Tanto meno riconosce le due fasi fondamentali del sionismo: quello che, dopo la Shoà, ha fondato Israele ed era in prevalenza laico e socialista e volto ad affermare (non senza violenza, come in ogni nascita di nazione) il diritto per sé di esistere anche come Stato-nazione, e quello attuale, in prevalenza fondamentalista e nazionalista di destra, volto a negare il diritto di esistere ad altri, ai palestinesi.
Ora, di fronte ai crimini contro l’umanità perpetrati su Gaza dal governo di estrema destra di Israele, in risposta ai crimini contro l’umanità perpetrati da Hamas e Jihad il 7 ottobre 2023, va prevalendo nel mondo un antisionismo essenzialista, cioè antisemita, volto a delegittimare non la politica ma l’esistenza stessa di Israele. Un antisionismo che riporta tutto alla nascita di Israele intesa come peccato originale, mentre la legittimità dell’esistenza di una nazione non sta se la sua nascita deriva da coppia “regolare”, o Lgbtq, o da stupro, ma sta soprattutto nell’esistere ormai in un suo luogo da diverse generazioni.

Terrorismo
È l’accusa diffusamente lanciata contro qualunque persona o gruppo, che ricorre all’assassinio o alla strage, per designarne l’essenza criminale e inammissibile. A rigore, l’accusa di terrorismo come essenza di chi lo compie è pertinente solo ad atti personali, individuali e psicologici, come quelli che fanno strage in una scuola o in luogo pubblico. In generale, il terrorismo non è un’essenza ma una politica, un’aggressione sanguinosa volta a produrre insicurezza e instabilità contagiosa nella popolazione in campo nemico, e propaganda nel campo proprio. È un’atrocità politica a cui ricorrono gruppi, regimi e Stati. L’accusa di terrorismo come essenza è volta a non riconoscerne i moventi politici al fine di giustificare il terrorismo come modalità della lotta contro il terrorismo, la guerra contro la guerra, esimendosi dall’affrontare i problemi politici che generano terrorismo e guerra.
L’intendere Hamas come terrorismo in essenza impedisce al governo e a larga parte del senso comune in Israele, esasperato dalle atrocità terroristiche del 7 ottobre 23, di coglierne la logica politica, di non cadere nella trappola, di rispondere al suo terrorismo con un terrorismo di Stato su larga scala e di durata indeterminata nell’illusione di distruggere militarmente il suo significato politico, con gravissimo danno non solo per i palestinesi, ma anche per la stessa Israele. Per cui il consenso e le alleanze internazionali e la sicurezza di Israele risultano sempre più logorate.

Memoria della Shoà
I corpi scheletriti dei bambini della Striscia di Gaza morti di fame per l’assedio israeliano ci ricordano qualcosa che è piantato nella nostra memoria.
La memoria della Shoà è stata di una qualche garanzia per gli ebrei nel mondo e per la nascita e l’esistenza stessa di Israele. Di fronte alle atrocità di massa che proseguono senza attenuazioni e attenuanti nella Striscia di Gaza, quella garanzia tende a ribaltarsi in accusa contro gli ebrei e contro Israele. Le vittime da proteggere e verso cui si è in debito si mostrano carnefici da combattere. Anche per liberarsi dal debito. L’antigiudaismo e l’antisionismo vanno crescendo nel mondo, da destra e da sinistra.
Nel mondo ebraico sussistono due declinazioni della memoria della Shoà: la prima la intende “mai più per gli ebrei”, la seconda la intende “mai più per nessuno”, né come esito di genocidio, né come fatti che ne sono possibile premessa, come la persecuzione, la deportazione e le atrocità di massa. La prima interpretazione vede nella Shoà soprattutto il massimo crimine contro gli ebrei, la seconda vede nel massimo crimine contro gli ebrei il massimo crimine contro l’umanità. Poiché entrambe sono vere, hanno convissuto, ma ora si accentua il loro conflitto perché divergono le conseguenze politiche ed etiche che se ne traggono. “Mai più contro gli ebrei” porta a porre gli ebrei come le vittime per antonomasia, senza confronti e per sempre, per cui ogni violenza politico-militare di parte ebraica non sarebbe in ogni caso e indiscriminatamente che “legittima difesa”. Questa versione ha finito per diventare anima e strumento del nazionalismo di destra in Israele, e lo vediamo all’opera nella carestia indotta e nelle stragi indiscriminate nella striscia di Gaza, nonché nell’aggressione sistemica dei coloni in Cisgiordania. Atti che stanno aumentando l’ostilità contro Israele mettendo in crisi il suo prestigio, i suoi appoggi e le sue alleanze, ed esponendo gli ebrei nel mondo a un antisemitismo crescente.
La “privatizzazione etnica” della Shoà, agitata come pretesa del privilegio di insindacabilità degli ebrei, fa il paio col “negazionismo” per screditarne la memoria.
L’altra declinazione della memoria che vede nel genocidio degli ebrei un crimine contro l’umanità richiama invece la responsabilità universale, compresi gli ebrei, a prevenire e a reprimere ogni atrocità di massa e genocidio. Pur senza garanzie, questa via non privatistica ma universalistica, sembra promettere qualcosa di più anche a protezione degli ebrei e di Israele.

Genocidio
Si accusa Israele di genocidio. Accusarne Israele ha qualcosa di più che accusarne qualcun altro: la vittima per antonomasia di genocidio si rivelerebbe genocida: un cortocircuito. Anzi due: uno tra gli ebrei in generale e la soluzione finale del problema palestinese, l’altro tra gli ebrei e i nazisti. La polarità antagonista più emblematica tra vittime e carnefici, tra ebrei e nazisti, si ribalta in reciproca somiglianza tra carnefici. Questo è il contributo che la strage di massa di civili nella Striscia di Gaza, con bombardamenti indiscriminati, con la fame, la sete, le epidemie indotte come strumenti di guerra, reca alla distruzione della memoria, al revisionismo e all’antisemitismo. Così la politica del governo e della destra israeliana, dei coloni e dei fondamentalisti religiosi prende in ostaggio il mondo ebraico per sacrificarlo al suo tentativo di ribaltare l’aggressione efferata di Hamas del 7 ottobre e la sua minaccia, in una soluzione finale del problema palestinese.
Si tratta di genocidio? In gennaio la Corte di Giustizia dell’Aia ha ritenuto che l’accusa di genocidio lanciata dal Sudafrica fosse da prendere in considerazione. La Corte non è ancora arrivata a conclusione, ma ha ingiunto a Israele di prendersi la responsabilità di intervenire sugli indizi di genocidio tutt’altro che inconsistenti, emersi dai fatti, dai comportamenti e dalle dichiarazioni (circa i vantaggi della fame e delle epidemie…) espresse da dirigenti politici e militari israeliani.
Alla Corte, in difesa di Israele, Netanyahu ha inviato un suo oppositore, il prestigioso e molto anziano magistrato Aharon Barak, scampato alla Shoà. Nel suo passato di presidente alla Suprema corte di Israele, Aharon Barak aveva operato per edulcorare e dare veste legale al sistema di prevaricazione israeliana sui palestinesi; e alla Corte dell’Aia ha sostenuto che Israele era l’aggredito, che aveva il diritto di difendersi, e che un popolo che aveva subito il genocidio era impossibilitato a compierlo a sua volta.
Ora, ci sono parole come “genocidio” che per la loro gravità e le loro implicazioni possono concentrare su di sé tutte le attenzioni a scapito delle constatazioni. Allora quello di Gaza chiamiamolo più genericamente “massacro” e “crudeltà di massa” e lasciamo parlare i fatti e le evidenze intollerabili.

Davide e Golia
È la doppia figura, spesso usata a descrivere la situazione di Israele, piccolo paese minacciato dall’ostilità dei preponderanti nemici, popoli e regimi musulmani. Davide sollecita solidarietà e comprensione e Golia il contrario. Dall’inizio, Israele era Davide, gli altri, i regimi ostili e aggressivi, Golia. Per la sua progressiva preponderanza politica, culturale, tecnica e militare, per l’oppressione dei palestinesi Davide è poi diventato Golia.
Prima dell’attacco di Hamas, sembrava che Israele godesse di un periodo di particolare (relativa) sicurezza.
Patto d’Abramo e conflitti interni al mondo islamico più distratto verso Israele, situazione del conflitto palestinese sentita come sedata e sotto controllo. Israele era un Golia relativamente sicuro. L’attacco di Hamas non l’ha fatto tornare Davide, per il semplice fatto che Hamas ha inalberato la questione palestinese, che Israele le ha offerto lasciandola stagnare, lasciando l’aggressione dei coloni in Cisgiordania come fatto sistemico. Anche per questo suo sonnecchiare, Hamas ha potuto sorprendere Israele e sconvolgerla nel profondo.
Israele avrebbe dovuto mettere in primo piano la questione degli ostaggi (colpendo sì Gaza, ma senza impantanarsi nel sangue di una guerra prolungata contro i palestinesi civili), per ripresentarsi come vittima del complotto dell’Iran e dei suoi accoliti, ma non troppo popolari nel mondo. Al contrario, Netanyahu ha posto come priorità la impossibile distruzione militare invece che soprattutto politica di Hamas, perché incapace per principio e ideologia di fare proposte politiche ai palestinesi, di compiere una svolta riaprendo la prospettiva di “due popoli, due Stati”, data per superata ma riproposta per necessità dalla catastrofe. Al contrario, il governo e la destra estrema di Israele hanno inteso valersi dell’aggressione criminale di Hamas per dare continuità alla propria impostazione fino a estreme conseguenze, trasformando la guerra contro Hamas in una guerra contro i palestinesi per una soluzione finale della questione, con una pulizia etnica fatta di massacro, fame e terrore.
Con la guerra prolungata in nome del ripristino della sicurezza, il governo di estrema destra è entrato in conflitto con gli interessi dell’Occidente che l’ha sempre sostenuto, sta attentando alle sue alleanze e al consenso internazionale d’opinione: sta attentando alla sicurezza di Israele. Con la guerra prolungata incoraggia l’ostilità e l’antisemitismo da destra e da sinistra, e attenta alla sicurezza degli ebrei nel mondo.
Ma la guerra prolungata serve al governo Netanyahu a prendere in ostaggio Israele per evitare la propria decadenza politica e i tribunali: per Netanyahu una guerra anche ad personam.
Da Golia semi-dormiente, Israele si è svegliato come Golia sterminatore dopo l’aggressione sterministica di Hamas. Come ha offerto a Hamas  la questione palestinese irrisolta quale argomentazione politica, così le ha offerto anche la figura di Davide nell’equivoco del mondo.

Per la sicurezza e il futuro: compatti o divisi?
Carattere dell’antisemitismo è il presupposto che gli ebrei siano una corporazione compatta, Questa compattezza è stata nella storia espressa nell’idea che gli ebrei fossero unitariamente imputabili della colpa di deicidio, poi che siano un’unica essenza di sangue, una razza; poi che siano tutti concordi e compromessi in un complotto mondiale per la presa del potere; poi che siano tutti coinvolti in un’unica fedeltà politica a uno Stato guida, Israele. Questo essenzialismo, cioè che gli ebrei siano un’entità unitaria, religiosa o politica o di sangue, è un carattere dell’antigiudaismo religioso e poi dell’antisemitismo secolare scientistico-razziale, infine politico “sionistico”. Ma questa visione è falsa. Gli ebrei hanno avuto nei secoli un luogo collettivo di riferimento, la Torà, ma l’interpretazione di questo luogo di convergenza è stato nei secoli continuamente diversificato già nel Talmud, che è dibattito e controversia tra argomentazioni diversificate ma nel comune obiettivo di costituire collettività e civiltà, e queste divergenze senza fine sono state la vitalità dell’ebraismo, lo straordinario fenomeno della sua durata, mentre le potenze degli imperi salivano, declinavano e si disperdevano. La forza vitale dell’ebraismo non è stata la sua univoca compattezza, ma la sua capacità di differenziazione, il suo rapporto critico con il suo stesso luogo di convergenza. La resistenza e la lotta contro l’antisemitismo non sta nel confermare la compattezza univoca che esso presuppone, non sta nel contrapporre al pregiudizio antisemita della essenza univoca la sua conferma, ma nella reciproca responsabilità malgrado la differenziazione critica. E questa solidarietà non sta nel tacere per evitare contrapposizioni, ma nel cercare anche polemicamente le vie di uscita da situazioni negative, per il mondo, e per il mondo ebraico. Nel racconto biblico Dio ama il popolo ebraico e proprio per questo lo critica con durezza. I profeti sono devastanti verso i re, che rappresentano istituzionalmente l’unità della nazione. Certo, se si adottassero i criteri di chi tra gli ebrei imputa sistematicamente ai critici interni di ledere alla sicurezza degli ebrei, e di offrire il fianco agli antisemiti e ai nemici, e si dimenticasse che la Bibbia è stata scritta dai “nostri”, potrebbe pensare che il Libro sia un testo antisemita, viste le critiche radicali che il Signore e i profeti rivolgono ai re e al senso comune di massa. Ma io non penserei che il Dio biblico e i profeti siano antisemiti. Piuttosto che siano impegnati a indicare una strada, individuale e collettiva, una breccia da attraversare per uscire dalle situazioni negative, come sarebbe responsabilità di ciascuno/a, anche se non è né Dio né profeta. E anche se questa responsabilità lo/la espone all’anatema del conformismo di maggioranza.
Il presentarsi come una corporazione univoca, l’assumere criteri avvocateschi e corporativi a protezione acritica da ogni critica è il maggior contributo che gli ebrei possano dare all’antisemitismo, a conferma dei suoi stereotipi. Specie se a propria protezione ci si arrocca a giustificare l’ingiustificabile, nella logica secondo cui tanti tra noi sostengono che gli ebrei, come vittima del massimo crimine, la Shoà, abbiano il diritto a qualunque rivalsa su altri perché qualunque crimine di massa si compia da ebrei, non sarebbe che “legittima difesa”.
Mentire per attenuare o giustificare la strage di Gaza è un regalo all’antisemitismo che non possiamo permetterci, e ci cadrà addosso nel tempo.

Right or wrong, my country? Il saper distinguere il right dal wrong, il bene dal male, è il “peccato originale” di Eva e di Adamo, quello che li ha resi simili a Me, dice Adonai Elokim (Genesi 3,22), o più precisamente quello che li ha resi umani.