Una citazione attribuita a Confucio dice che chi cerca vendetta dovrebbe scavare due tombe, una delle quali destinata a se stesso. Ciò che sta alla base della guerra tra Israele e Palestina sembrerebbe confermare questo adagio. Gli intellettuali non dovrebbero passare il tempo a tifare per l’una o per l’altra parte, cosa che invece sembra essere diventata la norma; piuttosto, dovrebbero dedicare la propria saggezza a meglio illustrare i costi di una simile rabbia e sete di vendetta, magari avanzando proposte, fossero anche speculazioni, volte a evitare un’escalation e un dilagare del conflitto nella regione.
1.200 israeliani sono già morti negli attacchi scatenati da Hamas il 7 ottobre 2023, e oltre 240 persone sono state prese in ostaggio. Ma il ricordo di questi fatti va rapidamente svanendo. L’opinione pubblica mondiale ora si sta concentrando sugli 11.000 morti, i 2.700 scomparsi e i 20.000 feriti di Gaza, sulle 10.000 bombe già sganciate da Israele, sugli edifici distrutti, tra i 38.000 e i 50.000, e sul disastro umanitario di oltre un milione di sfollati. Non c’è nulla che possa giustificare tutto questo. Gli atti di ritorsione sproporzionati contravvengono le premesse basilari del diritto internazionale e finiranno per collocare Israele in quella tradizione di omicidi di massa ben simboleggiata nella “Guernica” di Picasso (1937).
Il presidente Usa Joe Biden ha definito l’occupazione israeliana di Gaza “un grosso errore”. Annettere Gaza, governarla o insediarvi un governo fantoccio non farà altro che aggravare questo errore. È presumibile che i piani di Israele prevedano di prendere il controllo di Gaza per qualche mese, per liberare gli ostaggi e spazzare via Hamas. Ma dopo? Cosa succederà? Al momento, neppure Israele sa con esattezza cosa vuole. Anche l’invasione ha poche chance di riuscire a liberare gli ostaggi, cosa per cui sarà necessario operare una trattativa con Hamas. Questa organizzazione, che ha le proprie infrastrutture e le proprie radici saldamente integrate nella comunità di Gaza, non è una setta come potevano essere al-Qaeda o l’Isis, ma piuttosto un movimento fattosi regime che controlla un apparato politico-militare; è pertanto probabile che risorgerà ancora una volta, persino a seguito dei più feroci tentativi di estirparla.
Hamas governa Gaza con il pugno di ferro e credere che i suoi interessi, che sono quelli della Jihad islamica, coincidano con quelli del popolo a essa assoggettata, è un errore da principianti. Organizzazioni simili perseguono sempre i propri interessi e per raggiungerli sono ogni volta disposte a subire danni collaterali. Da tempo Hamas conduce una spietata guerra civile contro Fatah, la fazione moderata e corrotta che controlla la Cisgiordania.
Questo sanguinoso conflitto contribuisce a ridurre le speranze di più ampie trattative di pace, se non altro impedendo al popolo palestinese di parlare con un’unica voce, e togliendo a Israele la possibilità di avere una controparte unica con cui negoziare. Peraltro, Hamas non ha alcun piano significativo per governare la Palestina, né in termini della soluzione a due stati né di quella a uno stato singolo. È ostile a una soluzione a due stati, perché in un solo stato palestinese la sua influenza sarebbe inferiore a quella di Fatah e, al contempo, è consapevole che gli ebrei israeliani non accetteranno mai con le buone di diventare minoranza in un vero stato bi-nazionale; Hamas, di fatto, giace in un limbo politico. Questo può spiegare il suo folle oscillare tra obiettivi secolari e teocratici, tra la moderazione e la violenza, tra i proclami democratici e la condotta autoritaria.
Né Israele né tantomeno Hamas hanno chiari gli obiettivi di questa guerra, ed è per questo che sarebbe importante raggiungere un cessate-il-fuoco. Tutto si basa su questo. Ora che le vittime gazane vanno aumentando di numero, e mentre i media internazionali cominciano a cambiare l’oggetto della propria simpatia, lo stesso accadrà per l’opinione pubblica globale. Andando avanti così, Israele dilapiderà l’autorevolezza morale che le derivava dall’aver subìto la barbara aggressione del 7 ottobre ma, ciò che è peggio, il sostegno crescente ad Hamas non farà che comportare una sorta di legittimazione per la Jihad islamica, i cui obiettivi sono evidenti. Dal momento in cui la Jihad islamica si scisse dai Fratelli musulmani, nel 1979, e Hamas emerse dall’Intifada palestinese del 1987, queste hanno sempre sabotato ogni iniziativa che p ...[continua]

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