Denatalità, fecondità, fertilità, mondo, natalità
Nel 2022, sono nati in Cina 9,6 milioni di bambini, meno di un terzo dei 30 milioni nati nel 1963, dopo la crisi della Grande Carestia del 1959-61, e poco più della metà dei 18 milioni nati nel 2016. È un dato che assieme, alla notizia che la Cina nel 2022 ha perso un milione di abitanti rispetto all’anno precedente e ha lasciato il primo posto all’India nella graduatoria dei paesi più popolosi, ha allertato i media e colpito l’opinione pubblica. “Ma come, non c’è più il boom demografico nel mondo, la bomba non è esplosa, e bisogna preoccuparsi per il futuro declino della popolazione, l’aumento dei vecchi e il rarefarsi dei bambini? Non era questa, da decenni la specialità dell’Italia?”. Eppure è così, e siccome l’andamento della popolazione è strettamente legato a quello delle nascite, va segnalato che queste, nel mondo, avevano raggiunto il massimo nel 2014, con 144 milioni, ma da allora sono andate diminuendo e nel 2022 i nati sono stati “solamente” 134 milioni.
Bassa natalità: non più prerogativa dell’Occidente!
La bassa natalità, prerogativa dell’Occidente fino alla metà del secolo scorso, sta diffondendosi ovunque, o quasi, nel mondo.
In America, Asia (con l’esclusione del Medio Oriente), Australia ed Europa la fecondità è già oggi prossima, o nettamente inferiore, al livello di rimpiazzo. Fanno eccezione i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente e quelli dell’Africa sub-sahariana, questi ultimi ancora a livelli doppi o tripli del resto del Mondo. Il pianeta, nel suo complesso, ha una fecondità oggi stimata in 2,3 figli per donna, contro i 4,9 dell’inizio degli anni Cinquanta. E poiché è inevitabile che anche nei paesi dove la natalità è alta questa diminuisca nel futuro, è assai probabile che il livello attuale diminuisca ancora. Lo suggerisce, tra l’altro, la tabella che riporta la stima delle donne in età fertile secondo il ricorso ai metodi di limitazione delle nascite, nel 1990 e nel 2020. Tra le due date, c’è un aumento della percentuale delle donne che utilizzano metodi “moderni”, o sicuri (pillola, diaframma, sterilizzazione) e una diminuzione delle donne che utilizzano metodi “tradizionali” o non ne usano. Tuttavia, queste rappresentano ancora il 13% di tutte le donne in età fertile (e il 23% di quelle che possono avere figli), una quota destinata a ridursi, comprimendo ulteriormente la riproduttività nel mondo. Circa i due terzi della popolazione del pianeta vive oggi in paesi o regioni con una fecondità inferiore al livello di rimpiazzo (2,1 figli per donna). Se nulla cambiasse, escludendo una ripresa della natalità (e al netto delle migrazioni), la popolazione di questi paesi sarebbe destinata a declinare.
Discesa troppo rapida e ripida
Come si dirà più avanti, la diminuzione della natalità è un fenomeno strettamente consequenziale allo sviluppo culturale, sociale ed economico. Nessuna sorpresa che questo avvenga. Ciò che sorprende e preoccupa è l’entità della diminuzione. In molti paesi europei, il numero medio di figli per donna è stabilmente, da decenni, inferiore a 1,5. In Italia, come è noto, oscilla tra 1,2-1,3, e in una regione, la Sardegna, è nettamente sotto 1. La bassissima fecondità tocca anche altre vaste regioni, come l’Asia Orientale, dove vive un quarto circa della popolazione del mondo. Il numero medio di figli per donna di otto paesi sono tutti stabilmente e abbondantemente sotto il livello di rimpiazzo (nel 2022: Corea del Sud 0,9, Singapore 1, Cina 1,2, Tailandia e Giappone 1,3). In questi paesi a bassissima fecondità si sono moltiplicati interventi per sostenere la natalità, ma con effetti assai limitati. Scrive un esperto “Le politiche sociali hanno indubbiamente fatto molti passi avanti in Corea del Sud, Giappone o Taiwan, come può dedursi dalle misure sui congedi parentali e altri interventi di sostegno per i bambini, ma poco si è fatto per innovare la cultura del lavoro. Sono lenti i cambiamenti delle norme necessarie per combattere gli stereotipi di genere, mentre sono forti le difficoltà per l’istruzione dei figli e per trovare adeguate abitazioni nelle grandi città, dove oramai vive la maggioranza della popolazione. Sono queste le realtà che devono affrontare le coppie che considerano il matrimonio e progettano di avere figli”.
Una tendenza oramai globale
L’analisi demografica e sociologica della riproduttività suggerisce alcune considerazioni. La prima è che, nei prossimi decenni, la bassa fecondità -quella sotto i livelli di rimpiazzo- si estenderà ad altri paesi e regioni, caratterizzando una quota crescente della popolazione mondiale. La seconda è che le politiche sociali tese a invertire la rotta al ribasso hanno avuto scarsi successi, perché mal disegnate o male applicate, o perché dotate di scarse risorse. La terza riflessione è che dalla “bassa” riproduttività non sembra essere esente nessun gruppo umano. Salvo alcune minoranze assai piccole, fortemente motivate (ad esempio gli ebrei ortodossi) e solitamente in disparte dalla società “mainstream”. Hanno bassa fecondità cristiani e agnostici, musulmani (Iran) e indù (nella metà meridionale dell’India), buddisti e confuciani. Hanno bassa fecondità paesi molto ricchi e paesi molto poveri; regimi ultra-capitalisti, liberisti, socialdemocratici e comunisti. Dei dieci paesi più popolosi del mondo, solo due, la Nigeria e il Pakistan, hanno ancora una riproduttività molto superiore al rimpiazzo; uno, l’India, lo ha raggiunto; gli altri sette ne sono nettamente sotto.
Nella demografia, come in tutte le vicende umane, nulla – nemmeno la bassissima riproduttività – è necessariamente per sempre. Vanno perciò attuate e perfezionate le politiche che rendono possibile realizzare la genitorialità desiderata, eliminando le costrizioni più dure e ingiuste.
Questo potrà evitare ulteriori regressi e sostenere qualche limitata ripresa. In ogni caso, occorre prepararsi a un lungo ciclo di invecchiamento demografico, operando per riportare nel pieno della vita sociale e produttiva una quota crescente di popolazione che ne è esclusa per motivi che un tempo, quando la vita era più corta e vulnerabile, erano pienamente legittimi, ma oggi appaiono ingiustificati. Le innovazioni tecnologiche e digitali potranno rendere meno gravosi gli oneri connessi con l’invecchiamento e riportare in attività le persone in grado di operare.
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