Mi chiedete di parlarvi del mio passato, ma non è molto facile in questo momento. Negli ultimi tempi si sono rotti molti fili, molte connessioni e per certi aspetti può anche essere un bene che sia così, in fondo dobbiamo prepararci a cambiare secolo. Ma io alle volte sento un po’ di nostalgia per i tempi andati, quando era più facile scegliere. Non mi riferisco tanto a quello che si usa definire il "crollo delle ideologie", che d’altra parte si erano venute via via logorando e quando sono crollate avevano già perso da tempo il potere di sedurre, di attrarre. Penso piuttosto a quei momenti che hanno un carattere direi manicheo oggettivo in cui l’alternativa non può essere che tra il Bene e il Male, come fu la Resistenza. Ma adesso si dice che le categorie del fascismo e dell’antifascismo sono superate, anche se poi assistiamo a dei fatti come le ultime elezioni amministrative che, almeno a Roma e a Napoli, hanno riportato in vita proprio quella vecchia contrapposizione. Certamente il mondo è molto cambiato da allora, molto più complicato e affollato. Ma quella fase felice, di autentica liberazione, in cui le persone, la maggioranza delle persone, erano diventate migliori, disinteressate, generose, erano capaci di gesti di altruismo e solidarietà, così semplicemente, senza stare a pensarci su molto, ebbene tutto questo mi sembra debba essere ricordato e salvato al di là delle categorie storiche. ...

Vorrei dire un’altra cosa a proposito dell’atmosfera di allora. C’era qualche cosa che assomigliava alla gioiosità. Certo si vivevano drammi e profonde tristezze, c’era tanta gente che ti moriva intorno, ma ci si abitua presto all’eccezionalità, alla precarietà della vita, altrimenti non si potrebbe sopravvivere. Pensate un po’ ai bosniaci, agli abitanti di Sarajevo, assediati e ammazzati per due anni. C’era soprattutto una grande pulsione di vita, era come se si dovesse vivere con intensità moltiplicata, anche per quelli che erano scomparsi. Credo che sia sempre così nei periodi eccezionali. Ma c’erano anche momenti elettrizzanti di estrema felicità, quando riuscivi a realizzare delle cose o toccavi con mano la solidarietà, a volte anche da parte di sconosciuti. Bastava un’occhiata durante un rastrellamento o una perquisizione in treno per capire chi ti poteva dare una mano. Per questo dicevo prima che la gente era diventata migliore, che ciascuno dava il meglio di se stesso. Pensiamo cosa era stata la vita sotto il fascismo, quella condizione umiliante di sottomissione, di acquiescenza, sempre con la testa china. Dopo l’8 settembre, in quel vuoto di potere che si era creato e per di più con i tedeschi in casa, le persone avevano cessato di vivere come sudditi e avevano capito che la loro sorte dipendeva da quello che decidevano di fare, dalla loro iniziativa. Era come un recupero generale di libero arbitrio dopo la dittatura [...].

Quelli che erano già da tempo antifascisti, quando nel ’43 si presentarono le circostanze opportune avevano già il destino segnato: non avevano fatto per anni che attendere la guerra, lo scontro finale. Ma per la maggior parte delle persone che presero parte alla Resistenza questo fu il risultato di una scelta e il momento della scelta è stato certamente quando si è realizzata la coincidenza tra gli eventi che possono rendere migliori le persone e le persone che decidono di essere migliori. Sono i momenti magici della storia, ci sono sempre stati e torneranno a esserci [...].
(da “Momenti magici” intervista apparsa su “Una città”, n.31, 1994)