Nell’ultimo mese li abbiamo visti in opera i tre fascismi, il nero, il rosso e il verde, uno peggio dell’altro, tutti odiosi, e sodali fra loro. È con questo che qualsiasi sinistra deve confrontarsi, perché la lotta per la libertà è la sua prima ragion d’essere. E invece? Invece siamo il paese dove la sinistra s’è opposta di più all’invio di armi agli ucraini, salvo poi scatenarsi contro gli “ex” o “post”, o al peggio “pre-fascisti”, che hanno vinto le elezioni. Un quotidiano che ha ancora il coraggio, o l’arroganza solipsistica, di chiamarsi comunista, intitolava “arrivano i mostri” a proposito dei nuovi ministri italiani. Evidentemente hanno a disposizione una vasta gamma di epiteti o, per loro, più semplicemente, Putin non è un mostro. Ma anche dai tanti che non odiano gli Stati Uniti e la Nato al punto di tifare Putin, si sente invocare continuamente il multipolarismo, quasi non importi che più di metà dell’umanità non abbia la libertà. La consideriamo un patrimonio etnico del cosiddetto Occidente? Da godere in una rassicurante coesistenza pacifica coi tiranni che permetta ai nostri commerci di prosperare? È sinistra questo?
Poi: non è una novità leggere articoli che, ammiccando alle bollette, trasudano antipatia per gli ucraini e tentano di infamare Zelensky, ma vederli condivisi da pacifisti e pacifiste in buona fede, questo sì, fa male. Il connubio fra il pacifismo e il peggior cinismo geopolitico fa diventare gli strenui difensori delle loro case e del loro paese stupide pedine di potenze e interessi stranieri, spesso occulti, e vittime non solo dell’aggressore ma anche dei loro leader corrotti. Se poi i resistenti, già giudicati irresponsabili quando erano dati senza speranza, cominciano ad avere la meglio, il merito non è del loro coraggio e spirito di sacrificio, ma solo di armi micidiali fornite loro da “altri imperialismi” per secondi fini, mentre sarà tutta loro la colpa delle criminali rappresaglie del prepotente umiliato e comunque sempre invincibile. Vengono alla mente i processi per stupro d’un tempo, quando la vittima era colpevole e lo diventava doppiamente se osava alzare la testa. Così, pur di non nobilitare una guerra di liberazione, si nega quel che tutti i generali sanno, che a decidere le guerre possono essere anche “il morale e la morale”, cioè il sentirsi, e l’essere, dalla parte del giusto. In tanto pacifismo sembra esserci un desiderio recondito che tutti siano cattivi, per poi, dall’alto della propria benevolenza, promuoverli in blocco a vittime della stessa malattia: la guerra. È quella che va debellata. La legittima deontologia della professione medica che impone di curare allo stesso modo una Ss ferita e il prigioniero torturato in fin di vita, diventa così una mostruosa deontologia dell’universale professione umana. Così parole come libertà, giustizia, responsabilità, onore, solidarietà, verità, patria, perdono ogni rilevanza e a valere ne restano solo due, vita e pace, a cui tutto deve essere piegato. È sinistra questo?
Infine fior di intellettuali hanno messo a punto un “piano di pace” che prevede la resa degli ucraini proprio perché stanno riconquistando la loro terra palmo a palmo. Il motivo? La minaccia atomica. La domanda inevitabile è: se avessimo di fronte un Hitler? E facciamo il caso che allora, anche Hitler, come gli americani, avesse avuto le atomiche: su cosa avremmo potuto trattare per fare la pace? Sulla Cecoslovacchia, la Polonia, su cosa? Casomai anche sul numero di ebrei? Sulla chiusura di Auschwitz?
Lontano da Kiev la sinistra muore. Se Giorgia Meloni manterrà la promessa di andarci al più presto, su questo saremo con lei. In nome, per quanto ci riguarda, della solidarietà antifascista col popolo ucraino.
Editoriale 287
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Articolo di gs
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