In seguito all’affermarsi del marxismo come materialismo storico o teoria materialistica della storia, tra fine Ottocento e primo Novecento non mancarono le reazioni critiche e correttive, sia tra gli storicisti socioculturali o neoidealisti, da Max Weber a Benedetto Croce, sia tra i filosofi della vita e dell’esperienza vissuta, da Henri Bergson e Wilhelm Dilthey a Oswald Spengler. La dicotomia marxista che stabiliva la priorità della struttura economico-sociale rispetto alla sovrastruttura ideologico-culturale (“l’essere sociale determina la coscienza”) veniva contestata riconoscendo alle forme culturali e alle “scienze dello spirito” una specifica autonomia, che poteva essere perciò anche causa e non effetto di trasformazioni economiche e di comportamenti sociali diffusi o dominanti. Il marxismo in quanto teoria della società e della storia si trovò presto a dover convivere o competere con altre teorie sociali e in particolare con la sociologia come filosofia della cultura e scienza dell’uomo. Filosofi e storici si prendevano così la loro rivincita su chi, come Marx e Engels, aveva voluto “superare” materialisticamente il sapere filosofico in quanto proiezione ideale o maschera ideologica di interessi e situazioni di classe. Gradualmente si passò poi dalle filosofie della cultura e della vita, alla critica della cultura e delle forme di vita.
Georg Simmel (1858-1918) dedicò vari saggi a forme della vita e della cultura come “esperienza vissuta”. Nel suo libro Cultura filosofica, pubblicato in Germania nel 1911 e molto più tardi in Italia con il titolo La moda e altri saggi di cultura filosofica (Longanesi 1985, a cura di Marcello Monaldi) Simmel concentrò la sua attenzione su alcune specifiche forme di vita delineando così una pluralistica antropologia culturale della società moderna. Nel volume citato si leggono proprio in apertura i saggi dedicati a due forme di esperienza vissuta: l’Avventura e la Moda. Difficile considerare invecchiate queste analisi. L’avventura e la moda sono tuttora due miti di massa, due onnipresenti forme di mentalità e di comportamento sociale, nella gamma che va dai livelli più sofisticati a quelli più banali, conservando tuttavia una medesima struttura e funzione.
Lettore e debitore di Kant, Schopenhauer, Darwin e Nietzsche, Simmel pubblicò libri come I problemi della filosofia della storia (1892) e Filosofia del denaro (1900). Ma i suoi interessi erano assai vari e concreti: dalla cultura femminile alla vita nelle metropoli, all’arte (Michelangelo, Rembrandt, Rodin) alla psicologia sociale, al lavoro, alla sessualità, alla religione, alla pedagogia.
Rendono bene l’idea della “filosofia della vita” di Simmel e della sua psicologia sociale proprio i due saggi sull’avventura e sulla moda, due comportamenti, valori e forme di esperienza in cui individuo e società interagiscono strettamente. Per Simmel, società e storia non sono conoscibili nella loro totalità, ma indagabili attraverso la molteplicità di mondi e di esperienze che coesistono sia interagendo che ubbidendo a particolari logiche interne. La vita sociale si individualizza e si determina entro forme specifiche e distinte. La vita, ogni vita, trascende sé stessa intensificandosi attraverso forme relative e delimitate: si intensifica autodefinendosi.
Nella sua accezione più ampia, dice Simmel, “la forma dell’avventura consiste nell’uscire dall’insieme concatenato della vita”, si contrappone alla sua continuità. L’avventura si presenta come “un corpo estraneo nella nostra esistenza, ma è tuttavia congiunta in qualche modo al suo centro”, “guadagna facilmente i colori del sogno” perché fa evadere dalla connessione fra un prima e un dopo; “è come un’isola nella vita”, se ne distacca e “viene sentita come un tutto, come un’unità chiusa in sé stessa”; “non tiene conto del passato” e “non si cura minimamente del futuro”; è “l’esempio più radicale dell’uomo non storico”:

Una prova caratteristica di questo fatto ce la offre Casanova che, per quanto possiamo ricavare dalle sue memorie, più e più volte nel corso della sua carriera erotico-avventurosa, nutrì il serio proposito di sposare la donna che amava in quel momento. Alla luce della natura e della condotta di Casanova non si potrebbe dare qualcosa di più contraddittorio, di più interiormente ed esteriormente impossibile. Casanova non era soltanto un ottimo conoscitore degli esseri umani ma, con ogni evidenza, anche un raro conoscitore di sé stesso; benché si dovesse ripetere che non avrebbe sopportato un matrimonio neanche per due settimane e che le conseguenze dolorose di una simile decisione sarebbero state del tutto irrimediabili, la sua prospettiva futura di vita veniva per così dire divorata nell’ebbrezza dell’attimo (e vorrei porre l’accento più sull’attimo che sull’ebbrezza). Proprio perché era dominato dal sentimento del presente, Casanova voleva stringere una relazione per il futuro che proprio la sua natura orientata verso il presente rendeva impossibile. (op. cit., p. 17)

Secondo Simmel, come nella forma artistica, anche in certe forme di esperienza vissuta la vita si “autotrascende”, si intensifica uscendo da sé stessa, dalla propria continuità e storia. La storia stessa, così, sembra che si interrompa: l’individuo, gli individui, allora, vivono e si comportano come se non fossero consapevoli del rapporto fra precedenti e conseguenze. L’avventura esprime comunque una sua logica, una sua razionalità, benché difficilmente decifrabile anche per chi la vive: “nonostante tutta la sua extraterritorialità nei confronti della vita, deve fare parte integrante della natura e del destino di chi ne fa esperienza, il tutto secondo una necessità misteriosa e in un senso che oltrepassa le concatenazioni più razionali della vita” (op. cit., pp. 17-18).
Il caso della moda è più complesso e labirintico. L’analisi che ne fa Simmel è più ampia, anche se la sua logica resta costante, essendo fondata su due impulsi concomitanti e solo in apparenza contraddittori: l’impulso degli individui a distinguersi e nello stesso tempo a rassicurarsi socialmente imitando gli altri:

La moda è imitazione di un modello dato e soddisfa così il bisogno di un appoggio sociale, conduce il singolo sulla strada che tutti percorrono (...) Ma non di meno la moda soddisfa il bisogno di differenza, la tendenza alla differenziazione, alla variazione, al distinguersi (...) Così, la moda non è altro che una particolare forma di vita fra le altre, attraverso cui la tendenza all’eguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione convergono in un fare unitario. (ibid, 30-31)

Nel corso della storia e delle diverse condizioni sociali, il rapporto e l’equilibrio fra le due tendenze crea fenomeni di contenuto diverso. Ma nella modernità più recente e tra fine Ottocento e inizi del Novecento, quando Simmel scriveva, l’accelerazione nell’avvicendarsi delle mode è provocata da alcuni fattori nuovi. Le donne sono attratte dalla moda, soprattutto da quella del vestire, come compensazione alla difficoltà di differenziarsi individualmente in altri modi: il cambiamento esteriore sostituisce cioè cambiamenti più difficili di status e di ruolo sociale e professionale. Negli individui più raffinati e originali, sia uomini che donne, la moda può essere utilizzata anche come una specie di maschera: si finge il livellamento e l’adeguazione formale che la moda offre per poter preservare una più sostanziale libertà individuale in ambiti intimamente più impegnativi e importanti da proteggere con pudore: l’ubbidienza apparente alle norme tipiche del proprio tempo permette così di “concentrare la libertà in ciò che c’è di più essenziale e intimo”.
A sostenere e incrementare l’avvicendarsi delle mode c’è infine la vita nelle grandi città, nelle metropoli, e il crescente espandersi della classe media, la più inquieta, polimorfa e variabile. Con il concorso di una produzione industriale di merci a buon mercato per una massa di consumatori, la classe media è diventata l’avanguardia delle mode, sostituendo l’aristocrazia. È la più dinamica delle classi, la più sensibile ai mutamenti, ai travestimenti, al carattere estetico delle nuove merci. La classe media sente tutto ciò più che non le classi superiori e dominanti o le classi dominate e subalterne, per le quali, per ragioni opposte, lo stato di necessità economica rende più difficile l’illusione del continuo cambiamento e della varietà.
Le cose hanno però cominciato a cambiare piuttosto presto. Quando la classe media, nei suoi diversi strati e livelli, si espande fino a occupare o influenzare i tre quarti della società, allora si espande ulteriormente anche il potere della moda e delle mode. Nel neo o tardo-capitalismo, sognare un’altra vita seguendo l’ultima moda diventa più facile per tutti in tutte le classi. Tutti vogliono sentirsi giovani e appartenere a una classe sociale universale: quella classe in parte reale e in parte immaginaria che la moda produce e pubblicizza.