Polibio e il Coronavirus
La mia prima nota di riflessioni sugli ammaestramenti del Coronavirus del 2 marzo 2020 (pubblicato anche in Odissea del 9.3. 2020) ha suscitato numerosi pertinenti commenti. Ringrazio tutti e ricevo gli stessi come stimolo a non lasciare cadere il dialogo.
Gli “arresti domiciliari” ci hanno portato a fare anche cose antiche e interessanti; io, tra l’altro, mi sono dedicato alla rilettura del primo libro delle Storie di Polibio, quello che narra della strenua guerra tra Roma e Cartagine per l’egemonia nel Mediterraneo, durata ininterrottamente 24 anni con campo di guerra principale la Sicilia. Si tratta di una guerra durissima caratterizzata da straordinarie vicende illustrate, da entrambe le parti, da lucidità strategica, coraggio, leadership, resistenza, capacità di risorgere dalle sconfitte più forti e preparati di prima, capacità di apprendere continuamente in tempo reale. E questo può valere per tutti noi come stimolo a non deprimerci per la guerra del Coronavirus ma a diventare più forti, più consapevoli, più responsabili, più impegnati.

Globalizzazione buona e cattiva
È proprio in Polibio che troviamo la prima limpida definizione di globalizzazione:
“Anteriormente a questi avvenimenti le vicende delle varie parti del mondo erano per così dire isolate le une dalle altre, poiché i fatti erano fra loro indipendenti quanto ai piani, alle conseguenze, ai teatri di attuazione.
Dopo questi avvenimenti invece la storia viene a costituire quasi un corpo unitario, le vicende dell’Italia e dell’Africa settentrionale si intrecciano a quelle dell’Asia e della Grecia e i fatti sembrano tutti coordinati a un unico fine”.
Il Coronavirus ci chiarisce che i virus sono chiaramente e fortemente globalizzati. Ma anche quello dei vari centri di ricerca che lavorano in tutto il mondo per la messa a punto dell’antidoto, ognuno con le sue specifiche capacità, ma tutti collegati tra loro in una rete internazionale di conoscenza e di scienza, è un gran bello spettacolo di globalizzazione che ci dà la certezza che il Coronavirus, pur così giovane e vigoroso, soccomberà. Ugualmente quella della squadra di cinesi che giunge in Italia per donarci la loro esperienza accompagnati da molte tonnellate di materiale utile, è un bellissimo spettacolo di buona globalizzazione. Chi l’avrebbe detto solo pochi anni fa che avremmo ricevuto aiuti e solidarietà sanitaria da un grande paese dove secondo l’opinione del presidente, eletto dagli italiani, di una pur gloriosa regione italiana, sino a poco tempo fa si mangiavano i topi vivi?
Ma al contempo abbiamo visto tanti esempi di cattiva globalizzazione, di egoismi ottusi, di grandi scoordinamenti e anche tanti messaggi cinici, inumani, fondamentalmente ottusi come quelli del premier inglese, che possono essere compresi solo grazie a queste parole di Polibio: “Da tali manifestazione si può dedurre senza esitazione che non soltanto nel corpo degli uomini si formano ulcere e tumori che possono divenire maligni e infine incurabili, ma anche e soprattutto negli animi… Anche negli animi vengono a formarsi simili nere e putride piaghe, che rendono l’uomo più empio e crudele di ogni altro animale… Di questo stato d’animo si deve ritenere origine e causa precipua la cattiva educazione ricevuta fin dalla fanciullezza, mentre tra le cause concomitanti, la prima è la violenza tracotante dei capi”.
Non permettiamo dunque che queste ulcere e tumori dell’animo si impadroniscano di noi, ma anzi prendiamo i tanti esempi di dedizione e generosità che vediamo nelle strutture sanitarie stressate, come stimolo a diventare più comunità, più aperti alla comunicazione, più umani, più responsabili, più sostenuti da uno spirito di globalizzazione positivo.
Ma anche più intransigenti.
Riorganizzazione e rifondazione del sistema sanitario nazionale
Negli Ammaestramenti numero 1 affermavo che: “il sistema sanitario italiano ha bisogno di una profonda revisione”. E che il “sistema italiano delle autonomie locali è da riformare alla radice”. Il riferimento era soprattutto alle regioni. Molti da tempo lo sapevano. Pochi lo dicevano. Quei pochi non trovavano ascolto. Oggi il Coronavirus ha fatto pulizie di tante bugie sotto un duplice profilo. In primo luogo ci ha fatto capire che la professionalità e la dedizione di gran parte di questo sistema era superiore alle attese dei più, come anche di chi scrive.
Questa è una presa di coscienza di straordinario valore civile e comunitario se sapremo farne tesoro. In secondo luogo ha fatto emergere, come al di là delle eccellenze, il nostro sistema sanitario nazionale sia diventato straordinariamente fragile. Se è vero che non si può pensare che un sistema sanitario  debba avere un numero di posti di terapia intensiva commisurato alle esigenze straordinarie di una pandemia, resta il fatto che il sistema normale della Germania ha 28.000 posti di terapia intensiva mentre noi ne abbiamo solo 5.000. E non è un caso che uno dei maggiori specialisti italiani di fama internazionale di terapia intensiva, malamente pensionato dal nostro sistema al compimento del settantesimo anno, sia subito stato ingaggiato sia come docente che come operatore dal sistema tedesco e viva e operi da qualche anno felicemente in Germania.
Pian piano questa verità incomincia a farsi strada e dobbiamo essere grati al Coronavirus che ha squarciato tante falsità, se è vero che uno dei migliori studiosi e operatori sanitari del nostro paese, come l’ultranovantenne Silvio Garattini (lunga vita a Garattini!), presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano da lui fondato, afferma: “Sto lavorando ad articoli sulla riorganizzazione del sistema sanitario. Va ripensata la regionalizzazione e va rifondato: bisogna cambiare del tutto un sistema non adeguato per una popolazione così vecchia. E mi sto occupando anche di ricerca, questa è l’occasione per capire come non possa essere l’ultima ruota del carro nazionale coi finanziamenti più bassi d’Europa”.
Molti dicono: prima pensiamo a guarire e a fermare la pandemia e poi parleremo di queste cose. Ma non è un approccio corretto. Dobbiamo iniziare a parlarne subito, non per criticare o fare polemiche o strumentalizzazioni politiche, ma per migliorare cogliendo questa grande occasione di apprendimento. Ancora una volta ci soccorre Polibio che ci illustra come i Romani, inizialmente molto deboli per mare, alla fine chiusero la partita con Cartagine con una grande memorabile vittoria navale, perché, ogni volta, i Romani imparavano dalle sconfitte a migliorare la propria organizzazione, la struttura delle proprie navi, l’esperienza dei propri equipaggi, i propri strateghi. E imparavano da subito, in tempo reale, nel corso delle battaglie. Così Polibio ammonisce: “Chi ben si consiglia deve guardare non solo al presente ma ancor più al futuro”.
Ma non dobbiamo illuderci. Sullo stimolo del Coronavirus dobbiamo riuscire, come società, a esprimere un’energia positiva, un’imperiosa richiesta di miglioramento del sistema e di trasferimento di risorse ingenti da settori di spesa inutili se non dannosi verso la sanità e la ricerca, per fare quello che chiede Garattini e tanti altri come lui. Se non si muovono dei vigorosi anticorpi nella società non succederà nulla perché l’attuale sistema è congeniale agli interessi di molte forze politiche che, da tempo, guardano alla sanità come la greppia principale per i propri accoliti e i propri voti. Sotto questo profilo crisi epocali come quella del Coronavirus possono essere una grande occasione per migliorare. Non permettiamo che la generosità e l’eroismo del personale medico e sanitario diventi la foglia di fico per coprire le malefatte della mala politica sanitaria. Ma anche grandi occasioni si perdono (passata la festa gabbato lo santo) come abbiamo perso quella della crisi finanziaria del 2008 dalla quale siamo emersi con un sistema finanziario e bancario se possibile peggiore di prima.

Continuità produttiva delle imprese.
Dal mondo delle imprese giungono molte grida di dolore ma anche molte note positive. La maggior parte delle imprese si stanno mostrando resilienti e si stanno riorganizzando con grande velocità e continuità, per alzare dei terrapieni difensivi contro lo tsunami.
Speriamo che basti e ora che Papa Francesco ha opportunamente aperto le chiese lasciamo tramutare questa speranza in preghiera. Ma se lo tsunami si prolunga le resistenze individuali non saranno più sufficienti e sarà necessaria un’azione di ampio respiro e di grandi dimensioni, che se ci sarà, non potrà che essere a livello europeo. Che lo voglia o meno quella sciagurata e incompetente snob inopinatamente messa a dirigere la Bce.

Rompere il cerchio stretto del ricatto del debito pubblico
La Germania con un rapporto debito pubblico/Pil del 60% stanzia per l’emergenza Coronavirus 550 miliardi. L’Italia con un rapporto del 135% stanzia 25 miliardi. E dobbiamo dire grazie.
Sono cifre che mi fanno affiorare alla memoria nitidissima una scena di inizio anni ’90 nella quale uno dei massimi gerarchi democristiani rivolgendosi a me con un sorriso furbetto mi chiese: “Ma lei pensa davvero che un elevato debito pubblico sia un problema per l’Italia?”. Lo pensavo e lo penso. Ma lui non lo pensava, come tanti ancora oggi non lo pensano. Eppure è questa la catena della nostra schiavitù, l’origine del nostro ricatto. Quella della crisi economica e finanziaria indotta dal Coronavirus può essere l’occasione per far capire al popolo italiano che bisogna rompere questo ricatto. E contrariamente a quello che hanno sempre sostenuto tanti economisti di regime allineati in questo alla Banca d’Italia, bisogna farlo anche con operazioni straordinarie di grande forza sia sul fronte della spesa che sul fronte della raccolta. Deve trattarsi di una vera e propria guerra di liberazione. Nell’immediato secondo dopoguerra la classe di governo in un’Italia tanto più povera e debole di oggi, ebbe il coraggio di lanciare un grande prestito della ricostruzione che fu un grande successo e il primo grande segnale di rinascita. Il manifesto era firmato dal guardasigilli Palmiro Togliatti e diceva: “Il prestito darà lavoro agli operai. Gli operai ricostruiranno l’Italia”.
Dobbiamo fare qualche cosa del genere e avviare finalmente una rinascita vera. Ma per farlo dobbiamo farci sentire, “scendere in piazza” e obbligarli a farlo. Da soli non lo faranno mai, perché a loro sta bene questo ricatto infame. Sono solo le guerre o i grandi rivolgimenti che rendono possibili i grandi cambiamenti. E questa è una guerra e abbiamo bisogno di grandi cambiamenti.
Ancora ci illumina Polibio: “Un buon generale deve saper distinguere quando è vinto e quando è vincitore”. Ma per fare questa scelta, deve prima essere un buon generale.
Milano, 16 marzo 2020