Cari amici,
in giorni in cui si ribalta la situazione mondiale e può capitare a un cittadino italiano d’esser respinto alla frontiera di un paese per i cui cittadini sia da sempre stato difficile o impossibile l’ingresso in Italia senza un visto, sarebbe interessante aprire una riflessione sul nostro modo di rapportarci ai viaggi e al turismo. La paura che si diffonde grazie a un’informazione ormai mercificata a proposito di una possibile pandemia relativizza ulteriormente le nostre convinzioni.
Capita che chi per solidarietà cerca di frequentare i ristoranti cinesi, allo sviluppo del virus in Italia trovi le serrande chiuse proprio di quei ristoranti. Capita che paesi come El Salvador rifiutino l’ingresso ai nuovi “appestati” italiani e persino il Marocco si difenda e diventi difficile per un italiano programmare una vacanza nell’estremo occidente islamico.
Com’è passare dall’altra parte? In quanti prima di questi eventi ci eravamo posti la questione?
Ho sentito dire in questi giorni: “Non ci vogliono, eppure tutti vogliono venire da noi!”.
E’ certo che se un turista italiano che deve andare in Marocco si pone il problema del contagio in Africa una certa ragione ce l’ha: sembra acclarato che il vero problema è la capacità di reggere da parte del sistema sanitario di fronte all’emergenza della rapidità del contagio. Conoscendo il sistema sanitario marocchino, posso confermare che si corre davvero un rischio grave. Se in Italia con un sistema sanitario di buon livello siamo in piena allerta, figuriamoci cosa potrebbe avvenire in Marocco a fronte di una diffusione del virus di ampia scala. I privati non sarebbero probabilmente disponibili a intervenire senza un compenso e il sistema pubblico non ha gli strumenti e vive in un regime di totale inadeguatezza e corruzione.
La corruzione è l’altra faccia del capitalismo selvaggio che mostra i denti affilati nei paesi con maggiori e più evidenti contrasti socio economici. In Marocco è così evidente, che persino percorrendo in automobile una qualsiasi strada del paese s’incappa in un sistema per lo meno non limpido: per esempio una serie interminabile di limiti di velocità alternati in maniera da rendere più facile ad un poliziotto l’imposizione di una sanzione piuttosto che al conducente della vettura di mantenere una velocità prudente. E a ogni sosta per contravvenzione il marocchino sa che ne esce vivo solo con la mancia al poliziotto, dieci euro invece di quaranta.
Ancora più drammatico frequentare un ospedale pubblico e scoprire che non solo ci si debba procurare tutto all’esterno, bende, medicinali, attrezzature sanitarie, perché manca l’apporto materiale alle pur buone competenze scientifiche, ma non è sufficiente: servono le mance al personale infermieristico e medico per avere almeno quella minima attenzione che permette di avere la sensazione di aver scelto la strada giusta, l’ospedale pubblico. Fanno prima tutti quei marocchini che avendo un minimo di risorse economiche decidono di spendere il prezzo richiesto dalle cliniche private. Se sono poveri, cercano solidarietà e s’organizzano collette tra i vicini. Ovviamente nella sanità privata vige comunque una gerarchia che parte dal trattamento peggiore al minor prezzo pagato...
Tutto ciò è molto triste e angosciante per chi come me nonostante tutto continua a guardare con ammirata meraviglia il Marocco e le sue potenzialità, e dovrebbe esser questo un tema centrale nel dibattito della commissione recentemente istituita dal re per un nuovo modello di sviluppo.
Non è un caso che migliaia di persone, facenti capo a un Fronte sociale marocchino di cui fanno parte sindacati, associazioni per i diritti umani, partiti della sinistra tra gli altri, siano scese in piazza a Casablanca il 23 febbraio (anniversario della primavera araba marocchina del 20 febbraio 2011) per denunciare l’ineguaglianza del paese, l’ingiustizia che tiene in prigione attivisti del movimento Hirak così come persone che abbiano violato reati di opinione (rapper, giornalisti), l’ingiustizia economica per cui continua a salire il costo della vita e aumentano le sacche di povertà nella popolazione già stremata. Urla nel silenzio generale, di un sistema che si potrebbe definire insensibile, se non forse persino cinico.
Ho conosciuto tanti marocchini che hanno visto nell’Europa la via di salvezza. È facile dire “aiutiamoli a casa loro” per lavarsene le mani.
Da oggi le scorte scarseggianti di disinfettante per le mani e le più o meno inutili mascherine andranno a ruba anche in Marocco, dopo la scoperta (quando scrivo) del primo caso di persona infetta a Casablanca (ovviamente arriva dall’Italia). Non è improbabile che anche nei poveri quartieri della capitale economica del Marocco vengano assaltate le farmacie. Il panico, la paura irrazionale alimentata ad arte ovunque, ci rende tutti simili.
Ma una differenza resta e probabilmente ancora caratterizzerà l’esser nato al di qua o al di là del Mediterraneo. Chi parte ancora oggi in barche di fortuna gestite dalla stessa mafia che governa i traffici del contrabbando e della droga, lo fa perché pensa che è meglio cercare di raggiungere un luogo dove non sono la corruzione e l’ingiustizia a governare, ed è dunque meglio rischiare di perdere la vita in modo immediato, annegando nel Mediterraneo, piuttosto che morire di una morte crudelmente lenta in un paese che ti mortifica quotidianamente e non garantisce neppure minimamente il diritto alla salute.