Nel mese di febbraio il quotidiano "Il Resto del Carlino” ha dato un grande risalto all’intenzione "unanime” del Consiglio provinciale di Forlì-Cesena di accendere a Rocca delle Caminate il faro fatto costruire da Mussolini come monumento a se stesso, da accendersi ogni volta che il duce stazionava in Romagna e che doveva vedersi in un raggio di 60 Km. Il quotidiano ha parlato della "svolta storica” che vede destra e sinistra unite nella volontà di realizzare il progetto, dei "sogni” dei repubblichini che si realizzano, delle frotte di turisti che accorreranno, eccetera, eccetera.
Nessuna smentita, da alcun consigliere, è arrivata. Piuttosto una presa di posizione del deputato forlivese del Partito democratico Marco Di Maio favorevole al progetto, in risposta polemica a un’interrogazione parlamentare del deputato catanese del Partito democratico, Giuseppe Berretta, scandalizzato dal progetto della riaccensione. Il deputato Berretta, per la sua interrogazione, è stato poi attaccato duramente nei social da Casa Pound. Il progetto di riaccendere il faro viene da lontano, da quando la Rocca, residenza del duce, è stata restaurata. Già nel 2015 il sindaco di Predappio ebbe a definire la riaccensione del faro un "magnete turistico”.

L'appello della Fondazione Alfred Lewin

Non accendiamo quel faro.
Quel faro è un monumento al duce, serviva solo ad annunciare la sua presenza in Romagna ed è indissolubilmente legato al suo nome.

Perché accenderlo? Cosa risponderemo quando ce lo chiederà il turista tedesco affezionato alle nostre coste, che viene da una terra in cui hanno eretto monumenti alle proprie colpe? E cosa diremo quando lo chiederanno i nostri ragazzi, che accompagniamo ad Auschwitz o nella via di Forlì dove fu compiuta la strage degli ebrei? Perché il faro di Mussolini è acceso? Gli diremo che si vogliono attirare turisti? Per far vedere loro "i prodotti della storia”, come recita un depliant diffuso da un gruppo di ristoratori di Predappio? Gli diremo: "Sì, sì, la memoria, ma qui si tratta di economia”?

Si vuol mettere a profitto il fatto di aver dato i natali al fondatore del fascismo? Quei depliant forniscono già la mappa dei "prodotti della storia”, dalla cripta di Mussolini con le sue pareti di ex-voto di camerati, alle architetture razionaliste, alla casa natale del duce dove poter vedere mostre come quella sulla "campagna del grano”. E a quel punto, perché non fare una visita al megastore fascista in cui si possono vedere dal vivo gli squadristi che si salutano con "a noi”?
È una fiera permanente del Ventennio quella che si vuole allestire un pezzo alla volta? E allora, sì, quale migliore pubblicità di un faro che spinga la sua curiosa luce lungo tutta la riviera. E il museo sul fascismo che si sta progettando potrà evitare di diventare un padiglione di tale fiera?

No, non accendiamo quel faro. 
Non profaniamo il luogo in cui Antonio Carini, uno dei massimi dirigenti della Resistenza italiana, catturato dai fascisti, fu torturato con una ferocia forse senza pari nell’Italia di quegli anni, per poi essere scaraventato da un ponte sul greto del fiume e sfigurato a colpi di pietra.
Non vendiamo l’onore di una terra che dal Risorgimento in poi si è coperta di gloria associando indissolubilmente il suo paesaggio e la sua storia al nome di Mussolini.
Non facciamo di Forlì e delle sue vallate un posto di cui vergognarsi in un’Europa che sul riconoscimento delle proprie colpe ha costruito le sue democrazie e sta cercando di costruire la sua unità.

No, non accendiamo il faro del dittatore.

Fondazione Alfred Lewin