(Prosegue dal numero precedente)

[...] Qua e là restavano ancora in piedi situazioni democratiche, perché qualche benefica tradizione nazionale liberale faceva da contrappeso alla fatale tendenza degli apparati statali, che era per tutti la tendenza verso la forma totalitaria.
Il comunismo russo era stato una manifestazione assai rozza di questa tendenza, poiché per realizzarsi era passato attraverso il crollo totale di uno Stato arcaico e ne aveva ricostruito dal nulla uno nuovo intorno al partito bolscevico. Più complesso, più capace di utilizzare strumenti di comando già esistenti e di sfruttare cinicamente il diffuso senso patriottico dei cittadini, era il processo di formazione delle tirannidi in Europa, ma infine il risultato era sensibilmente lo stesso, poiché gli Stati totalitari europei adottavano come quello sovietico il metodo del terrore e dell’inquadramento spirituale delle masse, mentre l’Urss scrollava progressivamente da sé le soprastrutture internazionaliste, diventando anch’essa nazionalista.
Nei paesi rimasti democratici le forze di destra simpatizzavano sempre più per i metodi fascisti, che le mettevano provvisoriamente al riparo dagli attacchi delle classi lavoratrici. Le forze democratiche di sinistra erano sinceramente antifasciste, difendevano lo Stato democratico là dove esisteva, ne sognavano la restaurazione là dove era caduto. Alla loro sincerità non corrispondeva tuttavia un’eguale intelligenza politica. Promuovevano e sognavano tranquillamente nazionalizzazioni e pianificazioni nazionali senza rendersi conto di servire inconsapevolmente la tendenza dei popoli europei a chiudersi in Stati sempre più autarchici, sempre più incuranti di qualsiasi solidarietà internazionale, sempre più rivali fra loro, obbligati a prepararsi sempre di nuovo a nuove guerre. Mi stupiva, ogni volta che ci riflettevo sopra, il fatto che le democrazie fossero condannate a morte dalla divisione dell’Europa in Stati sovrani, dalla permanente tendenza di questi alla reciproca sopraffazione, e che tuttavia nel campo democratico mancasse qualsiasi seria idea costruttiva circa un qualsiasi modo di venire a capo di questa situazione.
Il problema della guerra, la quale (era ormai evidente) sarebbe tornata sulle terre d’Europa da un momento all’altro, mi ha portato a guardare più da vicino la povera Società delle Nazioni, di cui le democrazie erano andate così fiere, e a incontrarmi con il pensiero federalista, il quale ne dimostrava la irrimediabile vacuità, e indicava negli Stati Uniti d’Europa l’ordine politico capace di assicurare veramente la pace e la libertà sul vecchio continente. Poiché andavo cercando chiarezza e precisione di pensiero, la mia attenzione non è stata attratta dal fumoso, contorto e assai poco coerente federalismo ideologico di tipo próudhoniano o mazziniano che allignava in Francia e in Italia, ma dal pensiero pulito, preciso e antidottrinario dei federalisti inglesi del decennio precedente la guerra, i quali proponevano di trapiantare in Europa la grande esperienza politica americana.
La federazione europea non mi si presentava come un’ideologia, non si proponeva di colorare in questo o quel modo un potere esistente. Era la sobria proposta di creare un potere democratico europeo, nel cui seno avrebbero ben potuto svilupparsi ideologie, se gli uomini ne avevano proprio bisogno, ma che era assai indifferente rispetto a esse. Era la negazione del nazionalismo che tornava a imperversare in Europa. Era il riconoscimento della diversità e della fratellanza delle esperienze nazionali dei popoli europei, in mezzo alle cui lingue, ai cui scrittori e pensatori vivevo da anni senza mai sentirmi più vicino a loro se italiani, più lontano se stranieri. Era la vera messa fuori legge della guerra tra gli europei. Era la via d’uscita dalle assurde ma apparentemente inevitabili autarchie economiche. Era l’unica risposta ragionevole al problema altrimenti insolubile, che tormentava l’Europa dal 1870, della pacifica convivenza della Germania con gli altri popoli del vecchio continente. Era infine e soprattutto la possibilità per la democrazia di ristabilire il suo controllo su quei Leviatan impazziti e scatenati che erano ormai gli Stati nazionali europei, poiché lo Stato federale avrebbe impedito loro di diventare strumenti di oppressione e sarebbe stato da essi impedito di diventarlo a sua volta.
Questo insieme di considerazioni faceva sì che l’idea della federazione europea assumesse ...[continua]

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