Da bambino vivevo con la mia famiglia a Makhmur, una città di provincia del Kurdistan iracheno, andavo a scuola e facevo qualche lavoretto per aiutare in casa. All’inizio del ’75 però abbiamo dovuto fuggire per motivi politici, facevo la prima media. In quel periodo era in atto una guerra molto violenta fra il governo iracheno e i curdi, dopo che l’11 marzo ’74 era scaduta la tregua firmata nel ’70 fra Saddam e Barzani, il capo dell’unico partito curdo esistente allora in Iraq, il Partito Democratico del Kurdistan. Così è ricominciata la resistenza in montagna ed è durata fino al marzo successivo. I partigiani curdi erano molti, li appoggiava lo scià di Persia. E’ stato allora che hanno arrestato mio fratello Abdul, anche lui faceva la resistenza nel Pdk, ma gli avevano chiesto di restare a fare attività politica in città. E’ stato dentro qualche mese, lo torturavano sistematicamente perché facesse i nomi dei suoi compagni, ma lui non parlava. Gli hanno fatto varie torture, è stato legato alla finestra coi piedi sospesi in aria, spesso cercavano di bruciargli gli occhi con le sigarette e gli facevano anche altre cose molto più brutte. La sua fortuna è che stavamo in una città piccola, dove mio padre era piuttosto conosciuto e conosceva a sua volta delle persone influenti, tramite loro è riuscito a farlo rilasciare. Abdul allora aveva 24 anni, era già un intellettuale e un autore teatrale molto conosciuto nella nostra regione, scriveva romanzi e poesie. Il carcere lo ha distrutto, eppure può considerarsi fortunato, lui almeno ne è uscito vivo. Pochi giorni dopo il suo rilascio siamo scappati, abbiamo dovuto lasciare tutto e andarcene in fretta alla prima occasione, non era possibile programmare, l’unica cosa che ci importasse era salvarci, il pericolo non era solo per Abdul, anche altri miei fratelli venivano sospettati di essere attivisti politici e li fermavano regolarmente per interrogarli.
Ci siamo trasferiti ad Arbil, una città molto grande dove non ci conosceva nessuno, anche lì c’erano molti controlli, ma l’atmosfera per noi era meno tesa. I miei vivono ancora in questa città, io ci ho fatto le medie e le superiori e, nel 1980, ho preso la maturità. L’ultimo anno delle superiori fra noi ragazzi si cominciava a parlare della possibilità di andare all’estero, io all’inizio non ci pensavo neanche, mio padre non era nelle condizioni di darmi dei soldi per andarmene. Poi un amico, che ora sta in Svizzera, ha cominciato a insinuarmi l’idea. Io però continuavo a puntare sull’università irachena, mi stavo impegnando tantissimo per avere una media alta (da noi c’è il numero chiuso) e il venerdì (giorno festivo per i musulmani) facevo il muratore per mettere via qualche soldo. Alla fine ho preso 81/100, non abbastanza per iscrivermi all’università. Svanita questa speranza ho iniziato a fare le pratiche per il passaporto insieme a un amico. Naturalmente non potevamo chiedere il visto per motivi di studio, perché per questo in Iraq è necessaria una borsa di studio, potevamo ottenere solo un visto turistico. Inoltre per rilasciare il passaporto fanno un mucchio di controlli, intervengono anche i servizi segreti, ti mandano a chiamare e ti interrogano per sapere perché vuoi uscire, che passato hai... Succede anche agli iracheni. Il mio amico non ha avuto problemi, a me invece hanno tirato fuori tutta la storia di mio fratello, volevano sapere come avevo avuto i soldi per il viaggio. C’è voluto moltissimo tempo, a un certo punto avevo perso la speranza, a loro non importava che io non facessi politica. E pensare che era stato proprio Abdul a insistere perché finissi la scuola senza immischiarmi in storie di politica, insisteva perché non voleva che corressi pericoli né che facessi una vita dura come la sua: tutte le notti in giro a fare attività clandestina, riunioni, stampa di volantini. In quel periodo poteva dormire di giorno perché non aveva lavoro. Poi c’era mia madre, sempre in pensiero, mia madre che lo aspettava alzata per controllare se aveva le mani sporche di inchiostro o di vernice: "Dove sei stato?", gli chiedeva, e lui le diceva di non chiedere, di non impicciarsi, era il suo modo di proteggerci.
In Iraq c’è un regime totalitario, anche se il partito al potere, il Bahs, si dichiara socialista. Per lavorare devi avere la tessera del partito, persino a scuola si viene inquadrati. Le cosiddette manifestazioni "di sostegno a Sadd ...[continua]
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