Il cammino del progetto del museo sul fascismo di Predappio sembra arrivato all’ultima tappa, il tavolo, cioè, del ministro Lotti che dovrà pronunciare per la seconda volta la parola magica e per i più misteriosa: "Cipe” (la prima fu durante la sua visita lampo a Predappio mesi fa e la parolina suscitò un grande entusiasmo fra gli astanti). Inutile quindi ritornare sulle questioni in ballo, compresa quella della segretezza assoluta con cui un progetto così delicato e problematico è stato portato avanti: la parola d’ordine "di questa cosa meno si discute e meglio è” ha avuto successo. Ma su questo non c’è da meravigliarsi perché l’idea che, nella complessità, parlare e parlamentare siano solo perdite di tempo, va per la maggiore nel mondo.
Resta una domanda da porre, che però riguarda la stessa ragion d’essere del museo, e cioè il suo valore pedagogico e quindi la sua utenza; fra l’altro da quel poco che è trapelato, sarà un museo avveniristico, molto tecnologico, del tutto o quasi virtuale, con un grande uso di olografie, quindi, diciamo, con "effetti speciali” adatti, almeno così si crede comunemente, ad attirare i giovani. La domanda, che rivolgiamo a tutti i membri del comitato scientifico, agli amministratori regionali, ai ministri e sottosegretari competenti, è questa: cosa deve succedere se a un insegnante che ha portato la sua classe a visitare il museo, all’uscita i ragazzi chiederanno di andare a vedere la tomba del duce e casomai anche i negozi fascisti? E sarà molto probabile che i ragazzi lo chiedano, perché prima di partire, se già non sapevano tutto su Predappio, saranno andati su Internet.
L’insegnante potrà dire di no trasformandosi in un censore e alimentando così, fra l’altro, la curiosità dei ragazzi? Ma se il malcapitato dirà di sì allora dovrà accompagnare i ragazzi in posti orribili come i negozi, dove si vendono manganelli con su scritto "boia chi molla” e "me ne frego”, o come la tomba, dove nel libro presenze si può leggere ogni tipo di schifezza, anche razzista, e le pareti sono tappezzate da targhe inneggianti a camerati morti. E detto fra parentesi: ma come è stato possibile, anche legalmente, che in un cimitero pubblico una tomba privata potesse essere trasformata in un mausoleo, in un luogo di culto? Dov’era il sindaco?
Secondo voi va bene così? Che uscendo da un museo che racconta la persecuzione degli ebrei poi si faccia visita a una specie di mausoleo apologetico del massimo responsabile di quella persecuzione?
Vi siete posti il problema? Ne avete discusso almeno fra voi?
Per non parlare poi della possibilità che, dentro al museo, un insegnante e i suoi ragazzi si trovino a fianco di visitatori in maglietta nera, casomai attratti dalle olografie: se questi parleranno a sproposito a voce alta cosa deve succedere? Se l’insegnante volesse far lezione, seduta stante, ai suoi ragazzi dovrebbe mettersi a questionare e forse a "fare a botte”, ma "per dovere” dovrà far finta di niente e invitare i suoi ragazzi a venir via. Allora, ed è incredibile, avremmo fatto provare ai ragazzi realmente, altro che con olografie, quella che è una delle scene chiave di ogni fascismo: l’umiliazione dei padri dabbene, che non amano e non insegnano la prepotenza.
Ma ci avete pensato?
L’abbiamo chiesto a uno degli ideatori del progetto e la risposta è stata: "Certo, questo è un problema, ma lo affronteremo dopo”.
Ecco, forse è preferibile affrontarlo prima. Prima di spendere tanti soldi pubblici per fare un museo dove tanti insegnanti potrebbero dover decidere di non portare i loro ragazzi.
Gianni Saporetti