25 febbraio. L’invasione
Quando un energumeno prepotente aggredisce un debole per sottometterlo, essere equidistanti significa essere complici del prepotente. Qui i “ma” sono del tutto simili al “anche le donne però...”, di fronte a uno stupro.
26 febbraio. Manifestare per la pace?
Che senso ha manifestare per la pace? Avremmo manifestato per la pace nel ’44? E perché allora cantiamo ancora oggi un inno alla guerra contro l’invasore? Dovremmo manifestare per sostenere la resistenza eroica dei “David” ucraini, dovremmo promuovere sottoscrizioni per fornire loro aiuti e armi, dovremmo formare una brigata internazionale come usava ai tempi dei nostri nonni e bisnonni, dovremmo manifestare contro i nostri governanti se, in nome dell’economia, bloccheranno la sanzione più grave. Ai pacifisti poi, quelli sinceri, una domanda. Cosa c’è in cima nella vostra scala di valori: la pace o la libertà?
27 febbraio. Finalmente con la resistenza!
Finalmente! Armi alla resistenza ucraina e sanzioni le più dure alla Russia. E la speranza assurda, fino a pochi giorni fa: che dalla resistenza disperata di una nazione che non fa parte né dell’Unione europea né della Nato, guidata da un presidente ebreo venuto dal nulla, e dai sacrifici che accetteremo di fare per sostenerla, nasca l’Europa che abbiamo sognato e una nuova associazione mondiale delle nazioni democratiche.
2 marzo. Lo statuto dell’Anpi
“Dare aiuto e appoggio a tutti coloro che si battono, singolarmente o in associazioni, per quei valori di libertà e di democrazia che sono stati fondamento della guerra partigiana e in essa hanno trovato la loro più alta espressione”.
Questo sta scritto nello statuto dell’Anpi. C’è qualche dubbio che la resistenza ucraina sia una guerra partigiana per la libertà e la democrazia? Che l’Ucraina sia stata invasa da una potenza soverchiante, non democratica, dove i cittadini che manifestano pacificamente vengono arrestati, dove gli oppositori del regime sono in carcere da anni o sono stati uccisi? Perché allora l’Anpi non è in prima fila nel dare “aiuto e appoggio” a tale resistenza armata?
3 marzo. La resistenza non-violenta
Adesso è l’Arci che denuncia l’aiuto militare alla resistenza ucraina in nome della resistenza non-violenta. Vien da chiedersi con quale arroganza intellettuale si azzardino a dire agli ucraini cosa debbono fare. Ma poi sarebbe più efficace? Ma ne sono sicuri? La resistenza non-violenta vorrebbe dire marciare contro i carri armati con uomini, donne, ragazzi. Credono che Putin si fermerebbe? Che Hitler, che diede la caccia ai bambini ebrei in tutta Europa, si sarebbe fermato? O si sarebbe fermato Stalin quando, negli anni Trenta, per piegare gli ucraini, usò l’arma della carestia provocando cinque milioni di morti? O, in realtà, intendono che, di fronte a una disparità di forze assoluta e a una cattiveria incrollabile, allora non resti che sottomettersi? Lo dicano, però. O dicano, piuttosto, che per loro la non-violenza è diventato un principio assoluto. Ma allora rinneghino la Resistenza italiana.
5 marzo. Il manifesto dell’Arci
In internet questo “manifesto” di convocazione, da parte dell’Arci, della manifestazione nazionale di oggi a Roma. Dopo la prima richiesta, quella della fine della guerra e del ritiro delle truppe russe, sparse fra le righe, tante, che elencano gli obiettivi inverosimili della retorica pacifista, riassumibili nella parola d’ordine finale: “basta armi, basta violenza, basta guerra”, si rintracciano alcuni punti molto precisi: gli organizzatori sono a fianco di “chi in Ucraina continua a opporsi alla guerra con forme di difesa civile non armata e non-violenta”, quindi non a fianco della stragrande maggioranza degli ucraini; “non aiuti militari” agli ucraini; “l’Ucraina, vittima di una contesa fra est e ovest”, il che è pure offensivo per il popolo ucraino, che non ha mai scelto nulla; “imperialismi uguali e contrapposti”; “nessun allargamento a est della Nato”; un’Europa che si fondi sulla “neutralità attiva”. Impressionante! Forse non se ne sono accorti, ma è tutto quello che vuole Putin. Auguriamoci che i tanti giovani che oggi parteciperanno stiano in cuor loro dalla parte di chi ha deciso di rischiare la vita per difendere la propria patria dall’invasore, così come, nel ’43, tanti giovani italiani scelsero di prendere le armi per liberare l’Italia, al fianco di tanti altri giovani venuti da molto lontano.
I “liberi e forti’ del pacifista Moneta. Uno scambio con un abbonato
Sulla rivista avete citato il pacifista Moneta, premio Nobel della pace che giustifica la guerra di difesa... Ma nel 1908 non c'erano gli ordigni atomici.
Ma cosa vuoi dire? Che siccome ci sono le atomiche, che fra l'altro ci sono da settanta anni, non dobbiamo e non possiamo più essere “liberi e forti”? Forse solo servi?
La bomba atomica c'è da 70 anni, ma è la prima volta, dopo la crisi di Cuba del ’62, che si apre lo scenario di una guerra atomica. Credo che non sia una differenza irrilevante. Il movimento pacifista (che avete gettato alle ortiche in toto ai tempi della Bosnia) cresce a dismisura proprio dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. C'è la consapevolezza di una soglia invalicabile...
A proposito dei tempi della Bosnia, io ricordo i quattro pacifisti italiani attaccati alle reti di Aviano per protestare contro la partenza degli aerei che, in pochi giorni di bombardamenti, fecero finire l’assedio, che durava da più di tre anni, di una Sarajevo martoriata dai colpi della contraerea ad alzo zero. Ricordo quando il sindaco di Tuzla, amicissimo di Alex Langer -che a Tuzla era di casa-, dopo la strage dei giovani, gli scrisse dandogli del “voi”: “Voi che non fate nulla”. E intendeva voi europei. Ricordo un dibattito a Verona, in cui Adriano Sofri, di ritorno da Sarajevo, fece fatica a raccontare cosa stava succedendo, perché i pacifisti presenti non volevano sapere, perché li avrebbe messi in imbarazzo; volevano solo protestare contro la decisione di far alzare gli aerei. Ricordo una “donna in nero” alla quale, dopo aver tentato inutilmente di argomentare, chiesi: “Per te sarebbe stato giusto bombardare i binari di Auschwitz?”; mi voltò le spalle stizzita e si allontanò. E ricordi il Kossovo? Dopo dieci anni di pratiche non-violente cosa avevano ottenuto? Una minaccia di genocidio. Lo stesso Rugova lo ammise.
Ora, io rifiuto la non-violenza in quanto principio, ma come forma di lotta assolutamente no. A volte può essere efficace a volte no. Basta guardare ai casi che hanno segnato la storia della nostra generazione: aveva ragione Martin Luther King e non le Pantere nere, Israele senza un esercito fortissimo non ci sarebbe più, mentre i palestinesi, se avessero adottato metodi non-violenti, forse oggi avrebbero uno Stato o sarebbero cittadini di un unico stato binazionale; negli anni Settanta, in Italia, associare le lotte alla violenza è stato catastrofico e in Algeria, senza l’uso della violenza non si sarebbero fermati gli islamisti, che, forse l’abbiamo poi dimenticato, sono stati i peggiori del mondo, colpevoli di sistematiche stragi di interi villaggi, bambini compresi; Mandela, in tempi diversi, ha usato entrambe le forme di lotta. Quindi se abbiamo una visione laica, prosaica, della non-violenza, sono d’accordo. Non accetto il principio perché di fronte al problema della legittima difesa e del pronto soccorso si confonde, non sa più cosa dire.
Riguardo all’“atomica”: per alcuni dopo la minaccia di Putin è ancor più necessario venire a patti, per altri Putin, pronunciando quella parola, si è messo fuori dal consesso civile: con lui non si può più discutere, è diventato lui l’obiettivo. Per fare questo i tempi della resistenza ucraina devono avvicinarsi il più possibile a quelli delle conseguenze delle sanzioni. Ecco perché può essere decisivo dare ai resistenti ucraini armi adatte ad abbattere un elicottero, a mettere fuori uso un carro armato. L’obiezione è che una strategia così riformulata preveda da parte degli ucraini un sacrificio terribile. Ma la salvezza dell’Ucraina in realtà non dipende ormai da questo? Da una scomparsa di scena di Putin, o, comunque, da un suo indebolimento drastico? L’altra strada, quella di mettersi a trattare, è più realistica e meno pericolosa? Concedendogli cosa? Metà dell’Ucraina? Tutto l’accesso al mare? Ma Putin ne uscirebbe comunque rafforzato e più convinto che quella minaccia funziona. E perché allora non provare, un domani, di nuovo col resto dell’Ucraina che lui pensa e l’ha detto, che sia Russia, o anche con la Moldavia? E perché non pretendere che Svezia e Finlandia non entrino nella Nato, eccetera eccetera?
Comunque sia devono essere gli ucraini a decidere. E per ora loro ci chiedono armi per potersi difendere.
6 marzo. “Niente armi agli ucraini!”
Che pena sentire gli organizzatori della manifestazione di Roma, anche Landini, sostenere l’obiettivo della manifestazione, l’unico vero, concreto, perché rivolto al nostro governo: “Niente armi agli ucraini”. “Per non aumentare la tensione”. Una superpotenza sta invadendo e bombardando un paese sovrano, colpendo i civili, distruggendo città, e questi sanno solo dire che “non va aumentata la tensione”? Un organizzatore ha detto che devono essere gli ucraini a fare il primo gesto, quasi a dare l’esempio a Putin. La vittima deve deporre le poche armi che ha per dare l’esempio all’aggressore che le è già addosso! La verità è che se l’America, come spiega oggi la Repubblica, non avesse dato per tempo le armi anticarro agli ucraini, oggi i russi sarebbero a Kiev, il fantoccio sarebbe al potere e l’epurazione sarebbe iniziata. Infatti: per non aumentare la tensione, è proprio questo che bisogna evitare: la resistenza degli ucraini. Putin ha pronunciato le parole fatidiche: “allarme atomico” e quindi l’Ucraina va sacrificata. Bersani s’è chiesto cosa voglia in fondo Putin: “Credo una sfera di influenza”. Beh, diamogliela, cosa sarà mai, tuttalpiù vediamo se, dell’Ucraina, riusciamo a dargliene solo un pezzo. Bersani dovrebbe almeno ripetere quel che fece capire Berlinguer, che eravamo fortunati noi a essere nella “sfera d’influenza” di qua.
State tradendo tutti gli ideali di una sinistra democratica. E non parlate più della nostra guerra partigiana, per favore. La guerra per i tedeschi e i fascisti era persa, l’“imperialismo uguale” stava liberando l’Italia, i partigiani aumentarono solo la tensione.
12 marzo. “Arrendersi”
La contrapposizione demenziale fra resistenza e negoziato (tutti, anche i ragazzini, e forse anche Landini, sanno che l’esito di qualsiasi trattativa è condizionato dai rapporti di forza. Che, cioè, far strage di carri armati dell’invasore può favorire un negoziato) è durata due giorni. Di fronte all’intensificarsi dell’aggressione e al rifiuto di ogni compromesso da parte dell’aggressore (che evidentemente aveva fini diversi da quelli previsti e sperati) ora si parla apertamente della necessità di arrendersi. “Meglio schiavi che morti” è la nuova morale da insegnare ai nostri ragazzi. Se non sei sicuro di avere la meglio sul branco in azione, voltati dall’altra parte, non aggiungere danno al danno. L’aggredito che non si arrende diventa il responsabile di quel che sta accadendo e accadrà. La colpa ricadrà su di lui. Gente di sinistra che sputa su secoli di rivolte, di lotte degli oppressi, spesso intraprese malgrado le scarse probabilità di vittoria, su resistenze armate alle cui azioni seguivano rappresaglie da parte degli invasori. Gente di sinistra che invita a piegarsi al mostro fascista.
13 marzo. Al caldo
Cosa possiamo fare? Continuare impotenti a guardare in tv il martirio di un popolo? “Stando al caldo”, come ci rinfaccia un interlocutore. Già, stando al caldo. E se fosse proprio lì l’unica cosa, ma anche la più importante, che potremmo fare? Se Germania e Italia interrompessero l’acquisto del gas russo sostenuti da una stragrande maggioranza di cittadini disposti a ridurre il riscaldamento fino alla primavera? Di un grado o due gli anziani e le famiglie con bimbi piccoli e proprio del tutto gli altri, restando al freddo come gli ucraini? E se poi accettassimo di buon grado una tassa una tantum per garantire l’acquisto, da altri, di un gas più costoso, per permettere ad aziende e ospedali di continuare a lavorare? Sarebbe l’annuncio di un’alba radiosa nella storia d’Europa (ovviamente ho fatto un sogno).
16 marzo. Il male assoluto
Ci siamo di nuovo con la guerra come “male assoluto”. Decidiamo, ognuno di noi decida in cuor suo, se il male assoluto è la guerra o Auschwitz. Da lì discende tutto il resto.
Voglio solo dire che la persecuzione, la prepotenza, l’aggressione verso l’inerme o il debole, verso un gruppo umano, una minoranza, verso un popolo, è il “male assoluto”, se vogliamo usare questa espressione. Assoluto perché non ci sono eccezioni. E Auschwitz è stato il punto più terribile, tuttora ineguagliato, di questo male. La guerra invece, che è certamente un male, è un male relativo, proprio perché può essere la risposta difensiva a una persecuzione o a un’aggressione; una risposta necessaria non solo per scongiurare o rimediare al male fatto o tentato, ma anche per cercare di convincere altri, e noi tutti maschi al fondo, a stare lontani dalla tentazione della prepotenza, che, si sa, è altamente contagiosa. Quindi la guerra, a volte, può essere giusta, anche se l’accostamento fra le due parole ci ripugna.
16 marzo. Bravo Biden!
Bravo Biden a mettere gli eroici ucraini nelle condizioni di potersi difendere con efficacia!
Qualcuno ha scritto che “la logica dei blocchi blocca la logica” e che così il clima diventa spaventoso. Ma cosa c'entra la logica dei blocchi? Da una parte ci sono paesi democratici, con tutti i difetti del mondo, dall’altra una potenza “tecnicamente” fascista, anche se non si professa tale, che vuol sottomettere e, in pratica, annettersi, un paese sovrano e democratico (la storia del “cuscinetto” e della neutralità è agghiacciante. Accetteremmo da un vicino potente, e particolarmente espansionista e aggressivo, la pretesa di fargli da “cuscinetto”, accetteremmo che ci detti un articolo della nostra costituzione?). Insomma, negli anni Quaranta avremmo potuto ripetere “che la logica dei blocchi blocca la logica”? Ecco, fatte tutte le dovute differenze, è così anche oggi.
22 marzo. Il pericolo di vincere
Speriamo che sia vero che gli ucraini stanno vincendo, ma anche, o proprio, in questo caso, il pericolo, per loro, può diventare massimo. Allora vien da chiedersi se gli Alleati abbiano tracciato una linea rossa invalicabile da parte della Russia, pena l’estensione della guerra. E vien da chiedersi se non sia il caso di comunicarla solennemente. Non credo che possa essere solo quella del “centimetro di Polonia”. Se Putin dovesse usare mezzi di distruzione di massa (chimici, batteriologici o atomici tattici) si potrebbe accettarlo? Su questo qualcosa gli americani hanno detto. Ma se diventasse chiaro che, tramite l’uso di tali armi proibite, o anche solo tramite un’intensificazione massiccia di bombardamenti indiscriminati al fine di terrorizzare la popolazione per spingerla alla fuga, tramite la cancellazione di intere città e cittadine e le deportazioni di massa, il tentativo è diventato quello di un genocidio, di una “pulizia etnica” non verso una minoranza ma verso un intero popolo e verso un’intera nazione, allora bisognerebbe che Putin, i suoi accoliti e il popolo russo sapessero che sarà detta la parola “basta”.
27 marzo. La Nato
A chi pensa che la Nato sia responsabile, in parte o in tutto, di quello che sta succedendo, chiedo: pensate che i paesi confinanti che per quasi mezzo secolo sono stati sotto il tallone del vicino potente e prepotente, che quando hanno provato a ribellarsi si sono trovati nelle proprie strade i suoi carri armati a cannoneggiare i rivoltosi, che per decenni hanno visto il resto dell’Europa, agiata e libera, dialogare con il prepotente per interesse e quieto vivere, una volta liberati per via del crollo del regime oppressivo del vicino e diventati paesi democratici, ebbene pensate veramente che non avrebbero chiesto di condividere, insieme agli altri paesi europei e all’America, il patto di reciproca protezione? E pensate che europei e americani avrebbero dovuto respingere la richiesta? Insomma, quei paesi avrebbero dovuto accettare di restare per sempre neutrali e disarmati, cioè, di fatto, soli e indifesi all'ombra del vicino, divenuto nel frattempo di nuovo potente e prepotente?
(Nel ’58, due anni dopo la repressione russa della rivolta degli operai e dei cittadini ungheresi, fu fissato il giorno della fucilazione del capo della rivolta, oggi eroe nazionale, il “comunista umanitario” Imre Nagy. Ebbene il capo dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, uno dei padri della nostra costituzione, intervenne, ma per chiedere di posticiparne di due mesi l’esecuzione perché in Italia c’erano le elezioni. Non è incredibile che a distanza di più di cinquant’anni, tanti dei discendenti ormai lontani del Nostro, non provino, e si sente, alcuna simpatia verso gli “insorti” ucraini?)
28 marzo. Smentire Biden
Sono tutti talmente convinti che Putin sia un criminale pericoloso per il mondo e vada deposto, che bisogna assolutamente smentire Biden che l’ha detto, bisogna dissociarsi, far passare il presidente americano per un irresponsabile, perché non si sa come potrebbe reagire il criminale. (In Europa abbiamo già il cappello in mano? E speriamo che Macron non assomigli sempre più a un Daladier).
Biden invece ha ragione. Forse il modo così diretto è stato un errore, ma parlava in Polonia e in gioco forse c’è ben altro, il rischio, cioè, che per le paure dell’Europa Putin, che forse sta perdendo la guerra, vinca la pace, ottenendo lo smembramento dell’Ucraina. Sarebbe un risultato terribile e un esempio per tutto il mondo di come la prepotenza, la brutalità, i crimini di guerra e contro l’umanità, paghino.
3 aprile. Bucha
Cosa possiamo fare? Quasi niente. Sperare che l’Europa decida per lo stop al gas e che Stati Uniti, Inghilterra e Germania forniscano al più presto le armi “offensive”, dare quel che si può per aiutare i vivi e spegnere, chi può, la caldaia, per ricordare i morti.
(a cura di Gianni Saporetti)
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