Sono onorato di essere qui oggi a condividere alcune riflessioni su Nicola Chiaromonte, eroica figura antifascista della "Generazione della Resistenza”, la vita e l’opera del quale, saranno presto, così spero, celebrate e studiate con maggiore ampiezza sia in Italia, suo paese natale, che in altri paesi. Nello specifico, vorrei parlarvi dell’impatto che Chiaromonte ebbe su un gruppo influente di americani mentre si trovava in esilio a New York negli anni ’40. Il suo umanesimo, che lasciò una traccia così profonda, fu il frutto di una dura esperienza di vita durante l’era di Hitler e Mussolini e delle ideologie che giustificarono il genocidio durante la seconda guerra mondiale; rappresentò la speranza che potesse esistere un’alternativa, che la giustizia, il dialogo e l’idea di comunità fossero ancora praticabili pur nell’ombra dell’Olocausto e di Hiroshima. Io sono convinto che le idee di Chiaromonte, fondate sul principio etico classico del "limite”, siano più attuali che mai oggi, a trent’anni dalla sua morte, non solo per gli americani, ma per molti altri che fanno parte della comunità globale, specie in quest’epoca caratterizzata dall’estremismo e dagli abusi di potere.

1. Ho scoperto Nicola Chiaromonte una decina di anni fa, mentre facevo ricerche per la mia dissertazione di dottorato: uno studio sulla figura del dissidente newyorkese Dwight Macdonald, giornalista e critico. Macdonald era un membro del gruppo della "Partisan Review” che nel 1930 si occupava di marxismo -prima che le purghe di Stalin lo inducessero a rifiutarne le pretese utopistiche. Macdonald mi interessava in quanto il più vivace, iconoclasta -e quindi meno datato- degli intellettuali newyorkesi di quel periodo. Chiaromonte una volta lo descrisse affettuosamente come un’"intelligenza libera”, "un americano vecchio stile, un individualista esuberante e ricco di immaginazione”, come da miglior tradizione del paese che, per carattere e convinzioni, risultava incapace di ortodossia ideologica (questo andava con l’idea di Chiaromonte che "nessuna ideologia preconfezionata poteva avere presa sulla realtà americana”). Altri furono meno indulgenti sulle eccessive esuberanze di Macdonald. Un esasperato Leon Trotsky, alla fine degli anni ’30, mentre rifiutava con rabbia le domande sugli esordi sanguinosi della Rivoluzione bolscevica, commentava il suo atteggiamento con queste parole rimaste famose: "ognuno ha diritto alla propria stupidità ma il compagno Macdonald abusa di questo privilegio”. All’interno dell’atmosfera di conformismo patriottico e di autocensura che caratterizzò l’entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, Macdonald fu uno dei pochi che rifiutò di mettere a tacere le sue facoltà critiche. Nel 1944 aveva lasciato la "Partisan Rewiew” per mettere in piedi un proprio giornale di opinione, chiamato semplicemente "Politics”, che doveva servire come forum di discussione sulle politiche degli stati alleati, per dar voce ai rifugiati europei e ai veterani della Resistenza e per incoraggiare il dialogo fra le alternative democratiche alle potenze militarizzate che, come giustamente aveva predetto, si sarebbero trovate l’una di fronte all’altra dopo la fine della guerra.
Fu durante questo periodo di sperimentazione che Macdonald incontrò e divenne amico di Nicola Chiaromonte, nuovo ingresso nella crescente comunità di esuli a New York. L’influenza fu immediata e così totale da far dire in seguito a Macdonald che la rivista "Politics” era "una coproduzione italo-americana”. Anche la scrittrice Mary McCarthy entrò a far parte di questo gruppo di amici. Per lei "parlare con Chiaromonte fu un’esperienza nuova e così stimolante che non si esaurì mai”. McCarthy ricordava con particolare tenerezza le discussioni dell’estate ’45 su Shakespeare, Tolstoj e la misteriosa scrittrice contemporanea Simone Weil, durante una vacanza a Cape Cod la cui tranquillità fu distrutta dalla notizia della bomba atomica. Chiaromonte ammirava l’apertura e l’entusiasmo dei suoi amici americani che, a loro volta, erano affascinati dalla calma saggezza, dalla profondità e dalla "serietà” di "questo bell’uomo, scuro di pelle, che sembrava un monaco”.
Come altri esuli del gruppo Macdonald-McCarthy, legati alla rivista "Politics” (importante era la presenza di Hannah Arendt), Chiaromonte aveva portato con sé il peso di anni di lotta al fascismo e alle sue orribili conseguenze. La maggior parte di voi conosce la sua storia. Nato nel 1905 nel ...[continua]

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