Sergio Givone insegna Estetica presso l’Università di Firenze. Recentemente ha pubblicato, per Einaudi, Eros-Ethos.

Cosa pensi dell’intervento intrapreso contro l’Afghanistan?
La prima domanda che mi viene in mente è questa: è una guerra o è qualcosa d’altro? Chi l’ha dichiarata l’ha chiamata così; d’altronde l’abbattimento delle torri è stato un atto di guerra, e la risposta è stata anch’essa un atto di guerra: ci sono già le vittime, e non sono poche, ci sono milioni di profughi. Che cos’è tutto questo se non un effetto della guerra? Nonostante ciò, io continuo a chiedermi se questa è davvero una guerra o qualche cosa di infinitamente più equivoco che ancora non riusciamo a pensare, che chiamiamo così in una sorta di automatismo linguistico. Una guerra per essere tale deve avere un nemico e un obiettivo; qui il nemico c’è, certo, ma quando definiamo nemico il terrorismo mondiale, ci troviamo di fronte ad un fantasma, a un’astrazione inafferrabile. Allo stesso modo, quando dall’altra parte, colpendone il simbolo, si individua come nemico l’Occidente, si fa un’operazione di astrazione ancora più grandiosa e inafferrabile.
In secondo luogo è una guerra di cui non si sa neppure quale sia l’obiettivo: “Sradicheremo il terrorismo!”. Ma ci può essere un obiettivo più generico e indeterminato, più irrealistico di questo? La guerra è la realtà più reale che ci sia, ma se ha un obiettivo irrealistico in che terribile contraddizione ci troviamo? Si stanno scaricando bombe sull’Afghanistan, ma i santuari del terrorismo sono dappertutto, e allora perché non bombardare anche la valle della Bekaa, il Sudan e l’Iraq? Perché non dichiarare guerra all’Iran, alla Siria? E’ davvero pensabile questo? Ecco, di fronte a questa domanda resto perplesso, perché non ho risposte. Sia ben chiaro, il mio non è un discorso pacifista, ci sono infinite forme di violenza alle quali non si può rispondere altrimenti, ma il punto è questo: con quali modalità?
Quando sento la Conferenza Episcopale parlare di “guerra giusta” (anche se non tutti i vescovi hanno fatto questo discorso, anzi, se c’è stata qualche parola diversa, altra, è venuta proprio da quel mondo) mi chiedo di cosa stiano parlando: ha senso applicare le categorie dell’etica a questa “cosa” che in realtà non sappiamo cos’è? In guerra, una volta morivano solo i soldati, poi nella seconda guerra mondiale, è morto il 50% di civili, nella guerra contro Saddam la percentuale si è alzata al 75-80%, adesso stiamo andando verso il 100% delle vittime civili, salvo piccole frange di militari. Un’azione militare -non chiamiamola più guerra- che ha per vittime il 99% di civili è pensabile con le categorie di San Tommaso o di Sant’Agostino?
Dall’altra parte, i politici parlano di “guerra necessaria”, trattando coloro che mettono in dubbio questa necessità come sprovveduti, gente incapace di fare i conti con la realtà. Ma io vorrei fare loro una domanda: mettiamo che l’attentato avesse colpito San Pietro, in fondo è uno degli obiettivi possibili, e con un enorme valenza simbolica. In questo caso, davvero, in base all’articolo 5 dell’Onu (l’articolo secondo il quale gli Stati Uniti d’America hanno dichiarato la guerra) l’Italia, avrebbe fatto la guerra all’universo mondo?
Se la logica è quella della reazione necessaria, come dicono i politici, certamente avrebbe dovuto, se no significa che stiamo entrando in un’altra dimensione, in cui bisogna pensare altrimenti che non con le categorie dell’etica -guerra giusta, guerra sbagliata- o quelle della politica -guerra necessaria, guerra non necessaria. Con questo non metto in discussione la necessità di una reazione violenta all’attacco alle torri gemelle, ma reazione violenta vuol dire tante cose: un conto è schierare gli eserciti e mandare bombardieri; un conto è fare operazioni di polizia concordate con i paesi interessati, precedute da un lavoro diplomatico molto sottile e paziente. Se invece questa è la sola forma di reazione possibile al terrorismo, allora bisogna sapere, senza infingimenti e senza raccontarci frottole, che stiamo andando verso la terza guerra mondiale.
Allora, se l’intenzione è quella di una vera e propria guerra diffusa su scala mondiale, me lo devono dire subito, e me lo devono dire i miei rappresentanti, cioè i politici, che spero siano più informati di me.
Infatti il terrorismo ha appoggi in almeno dieci stati arabi; questo significa che dovremo fare la guerra a tutti ed è facile prevedere un ef ...[continua]

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