Sergio Givone insegna Estetica presso l’Università di Firenze. Recentemente ha pubblicato, per Einaudi, Eros-Ethos, in cui si trattano, fra l’altro, le tematiche al centro di questa intervista.

Il documento Ratzinger, con questa sua insistenza sulla verità, legittima probabilmente, ha suscitato non poche perplessità. La sensazione è che ci sia qualche problema, qualcosa di urtante…
E come se c’è un problema! Si tratta però di capire da dove venga questo problema e perché ci urti così tanto.
Io credo che un documento come quello di Ratzinger, che qualcuno ha cercato di edulcorare, abbia un suo nucleo duro con cui bisogna fare i conti.
Per iniziare le racconto un episodio: qualche mese fa in questa stanza, su quel sofà, era seduto un imam, un signore molto bello, dal lungo vestito bianco e nero, la barba candida. Lei mi chiederà cosa ci facesse un imam seduto lì. Niente di strano: voleva incontrare un professore dell’università di Firenze con cui aprire un possibile dialogo e così, attraverso l’ambasciatore iraniano presso la Santa Sede, era stato combinato l’appuntamento.
Ma il dialogo assolutamente non è stato possibile per il modo in cui l’imam, che tra l’altro era docente alla famosissima università di Qom, impostava il problema della verità, della verità rivelata.
Riassumo molto brevemente. L’imam, che non parlava alcuna lingua occidentale, era l’ambasciatore a fare da interprete, mi chiese: “Chi ha scritto la Bibbia?”, “Mosé, i Profeti”, “Bene, e chi ha dettato la Bibbia a Mosé, ai Profeti?”, “Dio”; “Dettato, -ha subito sottolineato l’imam- dunque a qualcuno che ha raccolto quelle parole e le ha rese, a suo modo, nella sua scrittura; lo scrittore è un uomo e le parole, non può che adattarle, interpretarle”.
Mi chiedevo dove volesse arrivare. A quel punto ha aggiunto: “E il Corano?”, io son rimasto perplesso, perché pensavo valesse la stessa risposta, e lui: “No, il Corano è stato dato, portato dal cielo e dato nelle mani di Maometto dall’arcangelo Gabriele”.
Mi ha visto un po’ perplesso; non che non lo sapessi, lo sapevo, ma avevo dimenticato; infine mi ha detto: “Dobbiamo forse pensare che Maometto mentisse? Il Profeta? Lei pensava questo?”, “No”, “Dunque quella è la parola di Dio, così come è stata concepita, pensata, scritta da Dio stesso”.
Ecco che cosa per questo imam è verità rivelata: una sorta di evidenza incontrovertibile, che non è da interpretare, perché è la parola di Dio, che è assolutamente trasparente a se stessa e come tale deve parlare all’uomo.
L’uomo, quindi, non l’interpreta, non si può neanche dire che l’accolga e la faccia sua, deve semplicemente rispecchiarsi nella parola, deve servire la parola, asservirsi totalmente ad essa.
Ora, la Bibbia è un’altra cosa, la Bibbia è il rivolgersi di Dio all’uomo attraverso uno scrittore, e l’uomo è tenuto dunque ad ascoltare questa parola, a farla sua, ad appropriarsene, ad interpretarla. Nasce così una vicenda non solo ermeneuticamente forte, ma fortemente drammatica. Alla domanda che viene dall’esperienza: “Perché Dio parla in modo così oscuro all’uomo? Per speculum et in enigmate?”, qualcuno ha risposto: “Perché se non parlasse così non sarebbe Dio”.
Se la parola di Dio fosse una sorta d’imposizione dall’alto, fosse detta una volta per tutte, senza dare adito a interpretazioni, non sarebbe un dono, non sarebbe qualche cosa che Dio concede all’uomo interrogandolo e quindi provocandolo, sollecitandolo; sarebbe la comunicazione di un Dio autoritario. Ecco le due tradizioni. E’ vero che entrambe, sia la Bibbia che il Corano, sia la tradizione ebraico-cristiana che l’Islam, sono religioni della parola, però là c’è una parola che sono gli ipsissima verba Dei; qui c’è la parola di un Dio che parla come in uno specchio, uno specchio appannato, come un padre parla a un figlio, che non gli si impone, ma gli dà per cenni un suggerimento, aspetta che questa parola diventi cosa sua, fiorisca in lui. Sono due atteggiamenti fondamentalmente diversi. Così io e l’imam non potevamo trovare un punto d’incontro, anche se ci riconoscevamo in un comune orizzonte: di essere non solo figli dello stesso Dio, ma della stessa concezione religiosa per cui Dio parla all’uomo.
Ma un conto è un parlare per imporsi all’uomo in modo incontrovertibile; un conto è, invece, interrogare, stimolare l’uomo a una risposta, dargli un suggerimento.
Perché dico questo? Perché quando io leggo un documento come quello del cardinale Ratzinger e cer ...[continua]

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