Dietmar Pichler è vicepresidente dell’Ong viennese Vienna Goes Europe e fondatore dell’iniziativa Disinfo Resilience Network, che mira a mettere in contatto esperti di diversi settori per analizzare e smascherare le attività di disinformazione e propaganda. Il suo lavoro si concentra sulle interferenze straniere da parte di regimi autocratici, in particolare della Federazione Russa. Ha risposto all’intervista mentre si trovava in Ucraina.

Partiamo da una data, il 28 febbraio 2025, quando Volodymyr Zelensky è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump e da J. D. Vance. Quel giorno abbiamo assistito a una scena scioccante e a un messaggio molto chiaro: un’umiliazione del tutto in linea con quello che la propaganda russa ripete da anni sull’Ucraina. Cosa hai pensato e provato quel giorno?
Sono rimasto scioccato, ma non del tutto sorpreso, perché avevamo già sentito narrazioni simili in precedenza (penso a Elon Musk o a J. D. Vance): il problema, mi pare, è la normalizzazione delle narrazioni russe, secondo cui l’Ucraina vuole estendere la guerra e Zelensky è un guerrafondaio. Ho trovato invece molto interessanti le reazioni che ha suscitato, come alcune persone dell’estrema sinistra che mi hanno detto: “Non sono un fan di Donald Trump, ma ha ragione riguardo all’Ucraina”. Questo è un fatto davvero significativo e che mi ha molto sorpreso di fronte alla minaccia che rappresenta oggi la Russia per i Paesi dell’ex Cortina di ferro: dopo diversi decenni di Guerra Fredda e un antiamericanismo radicale a favore della politica di Mosca, oggi abbiamo un presidente americano che accusa la vittima, accusa l’Ucraina, accusa Zelensky e viene così celebrato dal Cremlino: e di fronte a questo le forze di estrema sinistra si schierano dalla sua parte. Si è così finalmente risolto l’enigma: per l’estrema sinistra la posizione a favore di Mosca è più importante dell’antiamericanismo.
Raccontaci del tuo percorso. Qualche anno fa, in molti -anche giornalisti e accademici- scherzavano sulla disinformazione, non ritenendola una cosa seria: i troll sono folklore e niente più, si diceva. Oggi invece ci siamo resi conto di quanto sia grave la questione e quanto rappresenti un’emergenza per la nostra società. Come hai iniziato a lavorare in questo ambito e come hai portato avanti il tuo lavoro su questi temi?
Sto ancora lavorando per costruirmi una carriera, ma finalmente oggi qualcuno mi ascolta. Ho iniziato ad andare in Ucraina a partire dal 2011, e, visitando quasi tutte le regioni del paese, sono stato spettatore di tutti i cambiamenti e le minacce, come le proteste di Euromaidan, l’invasione russa della Crimea nel 2014 e l’invasione segreta di Luhansk e Donetsk, in cui ancor oggi non si crede che i russi fossero coinvolti: lì comincia questo mio percorso.
Quando poi sono tornato a Vienna, ho avuto occasione di ascoltare tutte le narrazioni russe sull’Ucraina e, anche se non ero un giornalista, ho sentito come una sorta di dovere raccontare e riportare quello che avevo visto, perché sapevo bene quanto non fossero vere (come la narrazione per cui la lingua russa è vietata in Ucraina). Dopo aver lavorato per dieci anni nell’ambito della comunicazione della sanità pubblica, la pandemia e la maggiore tensione con la Russia mi hanno spinto, nel 2020, a lavorare come formatore di alfabetizzazione mediatica e come analista della disinformazione, portando avanti la mia carriera in questo ambito.
Anche noi andando a Kiev abbiamo riportato la stessa impressione: vai e quando torni ascolti qualcosa di completamente diverso da quello che vedi lì. Un fatto davvero straniante che dipende da un fitto lavoro di disinformazione. A questo proposito, puoi parlarci degli obiettivi del tuo Disinfo Resilience Network? Come sei arrivato a questo progetto?
L’idea alla base del progetto è coinvolgere e mettere in contatto diverse personalità (politologi, storici, ex diplomatici e giornalisti) che lottano contro la disinformazione e le campagne di influenza straniera, anche se non ne sono consapevoli: una rete non strutturata, di cui non si diventa membro, ma di cui si è già parte. Ed è importante, perché, da quello che vedo, l’approccio al tema è ancora molto tecnico: individuare, con l’analisi forense, i falsi creati dall’intelligenza artificiale (deepfake) o le fabbriche di troll resta molto utile, ma la disinformazione non si riduce a questo. Servono più persone provenienti anche da altri settori che si occupino della questione ...[continua]

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