Terry O’Keeffe è stato decano all’Università di Ulster, Northern Ireland, dove ha insegnato per 38 anni. Sposato, due figlie, vive a Belfast.

Sono nato a Belfast, in Irlanda del Nord, da una famiglia tipicamente irlandese: mio padre, che ha fatto il giornalista tutta la vita, era nato a Liverpool, dove la sua famiglia, originaria di Dublino, era emigrata per lavoro. Mia madre è di Belfast; insomma, il tipico background nazionalista e cattolico. In Irlanda del Nord c’è questa specie di linea di separazione, quasi “etnica”: o sei cattolico o sei protestante; nazionalista o unionista. Dovrei dire che da parte di mia madre, se si va indietro di due generazioni, il mio bisnonno era un businessman unionista, e suo padre un pastore presbiteriano, questo per dire che in Irlanda del Nord le cose non sono mai semplici, ci sono questi attraversamenti… Io sono cresciuto nella parte occidentale di East Belfast, e tutti i miei amici erano protestanti… E’ stato alla scuola media che è iniziata la separazione…

L’idea di diventare un prete mi ha colto presto. Sono nato nel 1941 e negli anni Cinquanta la maggior parte dei giovani uomini cattolici era spinta in questa direzione. Io comunque ho frequentato un’università laica, vestivo normalmente e ricordo che quando a quei tempi venivo a Roma, mi faceva una certa impressione vedere tutti questi studenti vestiti di nero. Questo mio percorso anomalo, appunto in un’università laica, mista, con maschi e femmine, atei, cattolici e protestanti, comunisti, credo sia stato importante. Solo dopo aver conseguito la laurea in Filosofia, quando ho iniziato Teologia a Dublino, sono entrato in quell’ambiente.
Quella nuova disciplina all’inizio aveva messo molto in difficoltà sia me che i miei compagni. Vivevamo con disagio soprattutto il controllo sulle nostre letture, ma anche rispetto ai quotidiani, alla radio. Eravamo, in qualche modo, tagliati fuori dal mondo. Nel 1966, per un breve periodo, mi misi a lavorare in un orfanotrofio. Ma il vescovo mi incoraggiò a procedere con i miei studi. Mi invitò ad andare a Roma a studiare Diritto Canonico. Ero molto portato per la materia, ma non riuscivo a vedere il mio futuro in un ambito intellettuale così arido. Se mi avesse chiesto cosa preferivo, avrei detto le Scritture. Ma lui disse che c’era bisogno di un filosofo. Comunque dissi di no.
Io intanto mi ero appassionato a un filosofo e teologo protestante, Paul Tillich, e avrei voluto conseguire il mio dottorato su di lui. Così mi misi a fare delle ricerche per conto mio e scoprii che il posto migliore era a Strasburgo, in Francia. Inviai la mia domanda, e quando ero ormai pronto a partire il vescovo mi fece chiamare: “Padre Terry, dove stai andando?”. “A Strasburgo”, “Bella città, cosa vai a fare?”, “Un dottorato di studi religiosi su Paul Tillich”, lui non ne aveva mai sentito parlare e quando aggiunsi che si trattava di una facoltà di teologia protestante, lui chiuse la conversazione: “Impossibile”. Io ero già stato accettato, avevo anche pagato le tasse di iscrizione. La mia controproposta fu l’università cattolica di Lovanio, ma lui disse: “Assolutamente no. Troppo vicina all’Olanda, il cattolicesimo olandese è al collasso”. E fu così che alla fine fui mandato in Francia: “Vai a Parigi, là sarai al sicuro”. Figuriamoci, era la vigilia del ’68…
Comunque presi la mia “Licenza” a Parigi, nel 1966. L’esame consisteva nel tenere una lezione su un soggetto davanti a una sorta di giuria. A un certo punto il mio francese mi abbandonò e nel panico chiesi di concludere il mio esame in latino. Noi avevamo avuto un’istruzione tale per cui potevamo parlarlo correttamente…
Questo evidentemente mise la giuria un po’ in imbarazzo, ma mi fecero continuare. Credo di essere stato l’unico a conseguire il diploma in latino! Successivamente mi trasferii in un altro campus. La Sorbona allora aveva perso i grandi filosofi, Paul Ricoeur, Levinàs, che si erano trasferiti al nuovo campus di Nanterre, un luogo molto più cupo, in cemento… Era però un campus molto radicale, tanto che quando esplose il 68… Un giorno ero in un piccolo gruppo di discussione con Levinàs, uno dei maggiori filosofi del XX secolo, ma anche uomo estremamente gentile. Lui era in un punto molto difficile della sua esposizione e in quello stesso momento qualcuno spalancò la porta, la folla degli studenti si precipitò dentro al grido di: “La filosofia borghese è finita”. Levinàs, col suo modo pacato, rispose: “Bene, b ...[continua]

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