Mauro Martini è professore di Lingua e Letteratura Russa presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Trento.

Per chi segue le vicende del Caucaso era facilmente prevedibile che la Cecenia sarebbe tornata ad occupare la cronaca internazionale...
La situazione del Caucaso era da tempo complicata da un fatto molto semplice, che nel 2001 scadono i famosi 5 anni della pace in Cecenia stipulata nell’estate del 96, subito dopo la rielezione di Eltsin per il secondo mandato. Quella infatti era sta una pace furba, nel senso che aveva bloccato ogni tipo di combattimento, senza però prevedere alcuna soluzione immediata per quello che era poi il problema reale, cioè lo status della Cecenia; se dovesse essere repubblica indipendente o regione autonoma, quale peraltro era già all’interno della Federazione russa, in questo caso semmai allargando i margini dell’autonomia.
A questo possiamo aggiungere che la Cecenia non è in grado di garantire i propri confini. Come si è visto anche quando si è acutizzata la crisi in Daghestan. E soprattutto è rimasto disatteso il risarcimento da parte russa dei danni di guerra.
Allora, siccome il trattato di pace sui due problemi principali non si era esposto, il problema della Cecenia è rimasto tutto intero. Infatti, i danni di guerra non sono stati pagati, se non in minima parte a grossa fatica. E soprattutto nulla è stato fatto per chiarire cosa la Cecenia sia. Certo, i ceceni si considerano assolutamente indipendenti, però formalmente non lo sono.
Con il 2001 ormai alle porte, in pieno periodo elettorale, la Russia ha così deciso di risolvere il problema ceceno in maniera radicale. Ha preso come pretesto l’incursione di agosto in Daghestan e la successiva ondata di attentati terroristici in alcune città della Federazione, per annullare l’esistenza stessa della Ichkeria, il nome con cui i ceceni indicano la loro piccola repubblica. E non vi sono dubbi che l’obiettivo ultimo sia quello. Il comando delle truppe russe nel Caucaso si è dato infatti una serie di risultati strategici da conseguire progressivamente. In un primo tempo si era parlato della costituzione di un cordone sanitario che isolasse la Cecenia, poi si è detto che questo cordone non poteva limitarsi a una fascia di pochi chilometri, per cui si è trasformato in una sorta di divisione del territorio ceceno al di qua e al di là del fiume Terek. Nel momento in cui parliamo, le truppe di Mosca hanno varcato il Terek e si sono spinte alla periferia della capitale cecena, Groznyj, che prima o poi verrà espugnata, sia pur con relativa prudenza ispirata dal ricordo del fallimentare attacco di fine 1994.
Ogni qualvolta riesplode la crisi in Caucaso, le spiegazioni avanzate vanno dal petrolio agli interessi dei banchieri russi...
In effetti, finora la motivazione più frequente è che qualcuno avrebbe interesse a destabilizzare la zona del Caucaso per appropriarsi della famosa riserva di greggio del Caspio. In realtà, a mio avviso, questa è una spiegazione decisamente insufficiente. In primo luogo, perché molto banalmente, più passa il tempo e più si riducono non solo la quantità, ma soprattutto la qualità di quella riserva. Tra l’altro, essendo quello un greggio pieno di paraffina, bisognerebbe costruire impianti per raffinarlo immediatamente sul posto. E questa è un’operazione complicatissima, perché il fondale del Caspio è mosso, quindi anche la costruzione di giacimenti off-shore a ben vedere pare poco verosimile.
Ad ogni modo, l’idea sarebbe di portare questo greggio del Caspio in zone sicure. E allora si destabilizza il Caucaso per far sì che gli investitori facciano pressioni affinché gli oleodotti vengano trasferiti su altre tratte, in particolare su quella che va dalla Georgia alla Turchia, insomma in una zona sicura per gli occidentali. In tal modo si spiega perché, dopo anni di trattative, si sia arrivati a un accordo su un oleodotto Baku-Cayhan, vale a dire dalla capitale dell’Azerbajdzan a un terminale turco sul Mediterraneo con transito attraverso la Georgia. In questo modo la Russia viene infatti esclusa sia dal controllo del flusso di questo petrolio sia dalle royalties che frutta la concessione di un oleodotto sul proprio territorio.
E qui forse vale la pena di aprire una piccola parentesi sul fatto che la Russia a suo tempo non riuscì a entrare direttamente nei consorzi del Caspio, perché era il 92-93 e proprio non aveva i soldi. E i consorzi per il greggio operano in uno scenario t ...[continua]

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